“A chi dobbiamo attribuire la responsabilità di quanto accaduto nel romanzo manzoniano I promessi sposi? Al maligno don Rodrigo o al pauroso Don Abbondio e a tutti quelli come lui? Che il male sia fragile può sembrare in controsenso, ma non lo è”. A cominciare dall’introduzione, l’autore de Il pensiero resistente porta inevitabilmente a mettere in discussione molte certezze su ciò che sembra chiaro. Ci propone una dimensione più intrinseca, di ricerca mentale. con “pagine che invitano a riflettere, ad avere coraggio nel rifiutare di adeguarsi e, soprattutto, a spendere la propria esistenza per valori fondamentali come la giustizia, la libertà, l’uguaglianza”.
Adottando “con licenza” la frase di don Lorenzo Milani “l’obbedienza non è (sempre) una virtù”, come recita il sottotitolo, Lorenzo Tibaldo interviene non nella discussione, piuttosto nel dialogo sul tema sempre attuale della Resistenza, delle resistenze, con un nuovo testo, che necessariamente, ci propone la dimensione universale del pensiero e dell’azione. Il pensiero resistente, appunto.
Anche l’autore è un insegnante e ha dedicato numerose opere a personalità che si sono opposte al nazifascismo o hanno affermato in tutto il mondo, pagando spesso il prezzo più alto, i valori di libertà, democrazia e solidarietà. Alcuni titoli, tra gli altri: “La Rosa Bianca. Giovani contro Hitler”; “Willy Jervis (1901-1944)”; “Il viandante della libertà-Jacopo Lombardini (1892-1945)”; “Sotto un cielo stellato. Vita e morte di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti” (con prefazione di Giuliano Montaldo). Ai due lavoratori italiani emigrati negli Stati Uniti, accusati di omicidio e giustiziati nel 1927, nonostante i dubbi emersi durante il processo, Tibaldo ha dedicato più lavori: curando le loro “Lettere e scritti dal carcere” (con prefazione di Furio Colombo); “Mussolini e il caso Sacco-Vanzetti”; e il più recente “Sacco e Vanzetti. Innocenti”.
Non sono un esperto di questioni religiose, e dunque non ho la pretesa di aggiungere elementi ai contenuti curati con l’occhio del ricercatore appassionato e costruiti nel tempo anche attraverso le precedenti pubblicazioni, ma la lettura del libro mi ha coinvolto. E ritengo utile proporre riflessioni, scaturite da pagine che possono contribuire a un sempre più urgente confronto culturale sulla necessità di resistere e su come si può resistere.
Da Socrate al cardinale Oscar Romero, passando dal frate filosofo Giordano Bruno al sacerdote Giovanni Minzoni, dal deputato socialista Giacomo Matteotti e la giovanissima Sophie Scholl fino al teologo luterano Dietrich Bonhoeffer e al presbitero e matematico Pavel Florenskij, le personalità proposte sono raccontate non semplicemente con biografie immerse nei fatti della grande storia, ma con i loro pensieri in divenire, che si sviluppano attraverso le loro scelte, determinandone il modo di essere e di vivere. Partendo dalla prima fra tutte le scelte: continuare a pensare anche quando si sarebbe potuto non farlo. In altre parole, decidendo di resistere, soprattutto se il solo ragionare libero rappresenta la più dura e aperta contrapposizione alla logica del più forte e del facile pensiero unico. Ed esponendosi, fin quasi all’isolamento, se la critica riguarda l’ambito di appartenenza, non unicamente l’oppressore esterno. Quindi, al contempo, pensare è una scelta di dignità.
Ed è opportuno, prendendo spunto dal testo e dai suggestivi titoli dei capitoli, citare brevi tratti sui protagonisti.
Socrate, in “morte di un uomo onesto”, dice: “finché io abbia respiro, e finché io ne sia capace, non cesserò mai di filosofare e di esortarvi e ammonirvi, chiunque io incontri di voi e sempre, e parlandogli a mio solito modo”. Socrate è ben consapevole di essere percepito come una anomalia ad Atene, tuttavia non ubbidirà al potere e al senso comune della maggioranza, ma alla propria coscienza di uomo libero.
E Giordano Bruno, “verso l’aria spiego le mie ali”, voleva vivere per filosofare, non sopravvivere. Incarna la lotta della libertà di coscienza contro il dogmatismo: “Quindi l’ali sicure a l’aria porgo/ Ne temo intoppo di cristallo o vetro/ Ma fendo i cieli e a l’infinito m’ergo/ E mentre dal mio globo agli altri sorgo/ E per l’eterio campo oltre penetro/ Qual ch’altri lungi vede, lascio al tergo”. E diviene, con la sua scelta, uomo simbolo della lotta a tutti i crimini contro la cultura, intesa come indipendenza intellettuale e responsabilità dell’individuo.
Uomo di chiesa oltre che del mondo è don Giovanni Minzoni, narrato nel capitolo “passare il Rubicone”. Il sacerdote di Argenta aveva ben compreso la natura del fascismo, ne aveva subito colto l’essenza totalitaria, non solo per l’uso sistematico della violenza, ma per la pervicacia di voler organizzare e monopolizzare la formazione di tutti i giovani italiani. Da qui lo scoutismo e la sua uccisione a bastonate per man fascista.
“Non siamo servi del nostro simile”. Con questo capitolo si introduce la figura dell’on. socialista Giacomo Matteotti. Matteotti vede nella scuola una importanza specifica, la indica come elemento indispensabile per lo sviluppo anche economico dell’Italia, perché l’istruzione e la cultura del popolo, e non solo di pochi, è utile “per farla divenire tutta capace di una più intensa e migliore produzione, nella grande gara fra i paesi civili del mondo”. Man mano che il fascismo imponeva la sua forza, Matteotti non desistette, portò avanti con coraggio la sua lotta perché “né il socialismo, né la libertà vengono da sé. Bisogna conquistarseli. E ogni conquista della classe lavoratrice è stata anche dolorosa e faticosa”. La sua non era una lotta contro, ma in favore. L’opposizione fine a sé stessa non gli interessava. Al fascismo, andava opposto carattere, intransigenza e rigore.
Nella Germania hitleriana, i giovani della Rosa Bianca portarono a compimento la loro opposizione attiva proprio sul terreno della cultura, si concentrarono sulla manipolazione delle parole, per riscoprire la verità, contro le semplificazioni dense di falsità della propaganda nazista. Un tratto distintivo che, col titolo “la trota di Schubert”, caratterizza la militanza di Sophie Scholl basata proprio sulla presa di coscienza della responsabilità individuale. “Se ognuno aspetta che sia l’altro a dare il via all’opposizione, i messaggeri della Nemesi vendicatrice si avvicineranno sempre di più”.
Il teologo Dietrich Bonhoeffer ricorda la contrapposizione tra obbedienza e libertà, quando esse non rientrano in una dimensione di compatibilità perché “l’obbedienza senza libertà è schiavitù, la libertà senza obbedienza è arbitrio”. “Chi ha paura è già caduto” è il capitolo dedicato al teologo. Il compito che Bonhoeffer assegna agli uomini deriva anche da una concezione di un cristianesimo non religioso, che rifiuta un Dio deus ex machina che risolve tutti i problemi umani, che sta al di là della vita. Bonhoeffer propone un Dio incarnato nella storia e nelle sofferenze degli uomini. Il cristiano non può sottrarsi al mondo, chiudendo gli occhi di fronte al male, né cedere ad esso o venire a patti, perché Gesù Cristo ha assunto una responsabilità vicaria per gli uomini: facendosi uomo si è messo al posto di tutti gli uomini, e in tale sostituzione vicaria sta la radice della responsabilità umana. Bonhoeffer critica la chiesa che non è umana e incarnata, producendo un pensiero che è scuola di resistenza. “Tutto passa, ma tutto rimane. Questa è la mia sensazione più profonda: che niente si perde completamente, niente svanisce, ma si conserva in qualche modo e da qualche parte. Ciò che ha valore rimane, anche se noi cessiamo di percepirlo”.
E la forza del pensiero che resiste arriva con Pavel Florenskij, filosofo, presbitero e matematico russo, direttamente da “il vento della steppa”, il capitolo a lui dedicato. Florenskij, vessato e incarcerato nei gulag sovietici, attraverso la fede e l’infinita passione per la ricerca scientifica, la filosofia fondata sul perenne dubbio e sullo stupore. Opposizione, dunque, culturale, dove fede, scienza e ragione stanno insieme, portata dentro ad un sistema che lo rifiutava.
Tra i maestri del pensiero libero, Oscar Romero è l’unico, per ragioni anagrafiche, che ricordo e che ho vissuto. Il capitolo dal titolo azzeccatissimo, “la messa incompiuta”, ci rimanda direttamente alla sua uccisone avvenuta proprio mentre celebrava messa il 24 marzo 1980. Una resistenza ai militari golpisti, ai ricchi latifondisti, alla borghesia reazionaria salvadoregna, da parte di un arcivescovo che nelle sue omelie, non fa sconti a nessuno e la cui riflessione evangelica diventa anche progetto di una società fondata su giustizia, pace e solidarietà.
Gli otto protagonisti de Il pensiero resistente rimandano a uno spirito di lotta, non violenta. Tutte le figure tratteggiate, non hanno agito a sostegno dei loro pensieri, dei loro ideali, con gesti rabbiosi o aggressivi. Né hanno usato la sopraffazione dell’uomo sull’uomo, al contrario hanno subito violenza e in tutte le sue forme: verbale, psicologica e fisica. Hanno combattuto solo, si fa per dire, con la ragione, il pensiero, con lo sguardo al futuro, ai posteri. In questa logica è necessario superare la sciocca semplificazione che indentifica nell’espressione “non violento”, il porgere l’altra guancia. Morire e sacrificarsi per un mondo migliore, denunciando le oppressioni e risvegliando le coscienze, con atteggiamento non violento, è più dell’astenersi dall’usare mezzi violenti, e tantomeno rassegnarsi alla non lotta. L’atteggiamento non violento non esclude lo scontro di idee. Ed è ciò che gli altri, i violenti, non tollerano: il confronto. Avere sempre un ragionamento in più, è ciò che dimostra la forza del pensiero. I comportamenti violenti non appartengono ai pensatori, ma di chi li ammazza. Ecco perché l’atteggiamento non violento va oltre le appartenenze, è una modalità universale dell’umano. La lotta che usa il pensiero per sostenere le proprie ragioni rimane, come esempio. Quanta attualità c’è sull’uso quotidiano della violenza. E c’è un parallelismo, voglio aggiungere, fra la violenza –nelle forme verbali, psicologiche e fisiche – e fascismo e criminalità organizzata.
I testi ci propongono una riflessione su una attitudine sempre nuova proprio perché, nella sua attuazione (o non attuazione) si sono consumate antiche (e speriamo non future) miserie: l’importanza dell’unità. Nelle diversità dei protagonisti comprendiamo che il messaggio di non omologarsi non ha una caratterizzazione specifica in quel momento storico, né nelle vicende specifiche. È una idea universale di unità che sovrasta tempo e luoghi, che vede nel risvegliarsi dall’apatia e dall’indifferenza il senso dello stare insieme. Quanta attualità anche in questa riflessione. La resistenza ha bisogno di pensieri lunghi, non di semplicistiche e, soprattutto, personalistiche visioni che vorrebbero appaltarsi il tutto. Al contrario, il pensiero è resistente se messo a disposizione di ciascuno, cominciando a dare l’esempio. Certo, tradurre questo intento non è facile, come dimostrano le biografie degli otto protagonisti de Il pensiero resistente. Anche in questo caso ci viene in aiuto un approccio umanistico: il coraggio. Tutto il testo è intriso di questa parola, non solo come riferimento storico. Perché oggi siamo in grado di elaborare quelle esperienze di pensiero, possiamo elevarle a riflessioni utili, per usare il coraggio di “pensare a quello che si dice” e non a “dire quello che si pensa”. Così il pensiero può divenire momento fondativo di un modo diverso di ragionare che supera il tempo in cui si è prodotto. In questo modo, ci dice l’autore, i protagonisti hanno dato maggiore significato alla propria esistenza e anche alla storia.
Il messaggio è attuale. Ancora, ieri come oggi, una parte della società vive infrangendo e reprimendo la dignità umana. La lotta del nostro tempo deve mirare a tutelarla in tutte le sue forme. Come diceva Bertrand Russell: “Siate voci fuori del coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai”. Il seme del pensiero va curato, accudito e protetto, perché cresca resistente.
Paolo Papotti, componente della Segreteria nazionale Anpi, responsabile Formazione
Pubblicato sabato 14 Novembre 2020
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