Queste pagine potrebbero essere uno strumento d’informazione e dibattito anche per gli insegnanti e gli studenti dei licei. Ne esce un’Italia ancora implicata nei traumi del dopoguerra ma in via di trasformazioni imponenti e la presenza di una gioventù affamata di vita, di progresso e di giustizia. L’autrice (che abbiamo conosciuto anche come curatrice dell’antologia “I poeti incontrano la Costituzione”) punta a mostrarci il farsi strada della logica del grande business, rinsanguato dal boom economico e tecnologico, l’avanzare graduale di una strategia di conquiste illusorie di benessere, lo stordimento dell’immaginario collettivo con sempre nuovi accattivanti prodotti fino agli stupefacenti capaci di inquinare l’esistenza di un’intera società. Il potere del capitale e del profitto la fa sempre più da padrone fino a distruggere a 300 gradi la salute pubblica, il paesaggio, la cultura con l’illusione del progresso.
In questo scenario vive l’autrice, bambina poi donna che sperimenta sulla sua pelle, nella casa di Firenze, nei pressi del campo di Marte, la liberazione dalla crisalide tradizionalista familiare e nello stesso tempo la trappola consumistica.
La carica emotiva del libro è proprio nel fremere di un vissuto, quello dell’autrice, nella sua volontà di conoscere, di esprimersi in modo creativo, di emanciparsi dalla sudditanza di un’educazione oscurantista, di conquistare l’indipendenza. Carla è in qualche modo rappresentativa mentre si evolve, mentre la sfiorano o la investono eventi, persone, scoperte, che ci fanno ritrovare come eravamo in quel ventennio decisivo e carico di imprevisti. Citiamo a caso alcune tra le molteplici figure di cui è pieno il testo, ognuna ha avuto un ruolo non indifferente: papa Roncalli; il sindaco La Pira; Danilo Dolci; il libero pensatore Braibanti; Kennedy; Jurij Gagarin e il suo volo trionfante; l’astronauta Valentina Tereskova, prima donna nello spazio; la cantante Mina che sceglie con sfida anticonformista di essere ragazza madre; Fred Buscaglione cantautore scanzonato che scompiglia la quiete canzonettistica; lo scrittore Jack Kerouak col suo mito del viaggio on the road.
Riviviamo il lutto di tante famiglie di lavoratori italiani a Marcinelle, una delle più gravi tragedie minerarie della storia; il ricordo della guerra di Liberazione a Firenze; i fucilati del Campo di Marte; i primi convegni per difendere la Resistenza e in seguito la scoperta dell’armadio della vergogna che nasconde i crimini nazisti; l’alluvione dell’Arno del ’66 con i giovani volontari, gli “angeli del fango” e la rivolta vittoriosa di Genova contro la svolta neofascista del governo Tambroni. Tutte queste tessere sono segnali di mutamenti di idee, mode, comportamenti. Da un lato l’azione corruttiva del tessuto vivo e solidale della società uscita dalla Resistenza e dalle grandi battaglie sindacali attraverso il consumismo, la seduzione degli oggetti, l’abbaglio della modernizzazione, l’unificazione nella liturgia del marketing, che promette benessere. Dall’altro le lotte quotidiane delle classi lavoratrici e l’esplosione di una rivolta giovanile che riprende i vecchi ideali e porta al ’68 (“Sembrava di essere entrati in una dimensione percettiva più ampia”, scrive Carla). Ma poi subentra il ripiegare nella pagina oscura del terrorismo o nel riflusso, nell’egoismo, nell’integrazione nei ranghi gerarchici. E sarà il trionfo dell’effimero.
In questo crogiolo di vent’anni, le tappe dell’autocoscienza femminile di Carla passano dall’immaginazione al disegno, all’incisione, alla scuola d’arte, all’esperienza di modella nello studio di uno scultore, ma anche alle manifestazioni, alla contestazione, al lavoro di stilista e alla conquista di una libertà sessuale e sentimentale emancipata dai tabù di stampo clericale. La seguiamo fino al suo trasferimento a Roma. Fino all’addio a quei legami fisici e di cuore che l’hanno imprigionata. Quando sceglie la realizzazione nell’arte, è un’alternativa all’amarezza di una generazione dalle speranze deluse, così ben interpretata da Lucio Dalla nella canzone L’anno che verrà: “Caro amico ti scrivo…”, simbolo della fine degli anni 70.
Serena d’Arbela, giornalista e scrittrice
Pubblicato mercoledì 20 Febbraio 2019
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