Otello Profazio

Io canto con lo stomaco, mi consumo quando canto e questo credo arrivi perfettamente a chi mi ascolta. Otello Profazio

 

Otello Ermanno Profazio (Rende, Cosenza, 26 dicembre 1935), etnomusicologo, cantautore, è il cantastorie calabrese per antonomasia. Esperto nell’arte di strutturare in racconto la storia e la cronaca attraverso modalità spettacolari che inducano il pubblico alla riflessione, ad un ascolto attento e partecipe. A lui si deve un lavoro immane di ricerca, catalogazione e divulgazione dei canti popolari della sua terra. Un repertorio che narra di rivolte, di ingiustizie sociali, di emigrazione, e che è la voce di un popolo. Il popolo di un Sud abbandonato dallo Stato dopo l’unificazione, che ha elevato i briganti a propri rappresentati e il brigantaggio a sistema di organizzazione sociale e politica privilegiata.

Il suo interesse verso la cultura popolare lo ha portato a ricercare anche in Sicilia, in Puglia e in Lucania, e lo ha reso la voce più autentica del Meridione. Voce di denuncia, voce degli ultimi.

Si avvicina alla musica negli anni del dopoguerra e della ricostruzione. Vanno per la maggiore voci come quella di Nilla Pizzi, Claudio Villa che di lì a poco si esibiranno sul palco di Sanremo. Sono voci che cantano un’Italia in cerca di spensieratezza e di evasione. Ma l’Italia arranca, tra disoccupazione, emigrazione, morti sul lavoro, scontri di piazza, distruzione del patrimonio culturale, sparizione del paesaggio rurale.

Al nord ci sono Cantacronache, la scuola dei cantautori, quella genovese e quella milanese, con le storie degli emarginati, a scavare sotto le macerie di un’Italia in affanno. Al sud questa Italia trova espressione nei cantastorie che girano i paesi e le piazze con in braccio una chitarra. Come Orazio Strano, Vito Santangelo, Cicciu Busacca.

Da questa realtà parte Otello. Che ascolta gli artisti di strada, e annota. Perché “Profazio ricercatore a modo suo lo è sempre stato, per indole e inclinazione […]. Mosso dalla curiosità verso il mondo in cui è nato e cresciuto, dotato di una memoria non comune e di una più rara capacità di ascolto, racconta di aver sempre registrato tutto quello che riteneva interessante, ancor prima di aver preso l’abitudine di annotare su carta ogni espressione, frase o detto, fosse anche una variante locale, degni di essere ricordati”. [Domenico Ferraro, Vinni cu’ vinni e c’è lu triculuri in Profazio, L’Italia cantata dal Sud, 2011].

La sorella canta sia canzoni dell’epoca che della tradizione, insegnandogliele. In famiglia si acquistano dischi, esiste un grammofono “La voce del padrone” e la radio è sempre accesa. Ma è il padre soprattutto ad appassionarlo alla musica: intorno ai quindici anni, studente del ginnasio di Reggio Calabria, Otello riceve i primi rudimenti di chitarra, semplici accordi per accompagnare tarantelle e stornelli. Servono alla comunità. I cantori, contadini e artigiani, mantengono in vita le antiche festività nelle quali è sempre presente il canto con l’accompagnamento musicale. È un repertorio snobbato dai circuiti mediatici nazionali, ma ricchissimo.

Otello comincia a studiare e poi ad “aggiustare” quei pezzi, intervenendo con piccole modifiche, collegando frammenti sparsi, reinterpretando i brani mantenendo però vivo il significato dei testi e senza distanziarsi troppo dai moduli della tradizione. Questo al fine di crearsi un repertorio col quale esibirsi.

Il ragazzo ha il dono di una voce luminosa. Un talento naturale che resterà tale negli anni. Non omologato da studi o tecniche. “Cantare – dirà – è come fare l’amore, dico cantare di folk, non è una cosa di corde vocali. Se uno va a scuola non può esprimere quello che sente, perché è sempre sottomesso a quello che gli hanno detto. Quindi io non mi esercito mai […]. Canto e suono davanti al pubblico, l’importante è comunicare” [Decaria, Giordano, Storie di cantastorie, p. 275].

Tra i primi canti recuperati e reinterpretati da Otello c’è un classico del repertorio popolare, U ciucciu, composto sulla base di strofe preesistenti derivate da una versione abruzzese. È una canzone di protesta sociale che racconta di un mondo di miseria in cui è più importante l’amore per un asino, di quello per una moglie. Da una parte c’è la demistificazione del sentimento amoroso, esotico e inconsistente, così di moda nelle canzonette del dopoguerra, dall’altro c’è l’immersione profonda nel mondo dei poveri derelitti che popolano le campagne desolate per i quali gli animali valgono più degli affetti famigliari, in quanto beni di sussistenza.

L’interesse musicale di Otello si appoggia su questi presupposti, non ha niente a che vedere con le canzonette prodotti industriali nel nascente sistema della cultura di massa. Questo suo anticonformismo, però, non è un ostacolo. U ciucciu piace. Piace a Nunzio Filogamo che in quegli anni conduce la trasmissione radiofonica itinerante “Il microfono è vostro” nella quale i dilettanti hanno occasione di esibirsi.

Piace anche alla casa discografica Cetra che nel ’53 la incide su un vinile a 78 giri insieme a U mastru pettinaru.

Il successo è piuttosto immediato, Otello è seguito da un pubblico locale che apprezza la riproposizione di canti della tradizione in vesta rinnovata. Ma il giovane cerca più vaste platee. Le trova attraverso nuove incisioni, in cui affronta tematiche aspre, di contestazione sociale: la mafia, il rapporto tra masse meridionali e Stato, gli omicidi della criminalità organizzata.

Canzoni come Il barone dei fiori, requiem per un uomo ammazzato a colpi di lupara per aver voluto imporre il prezzo dei fiori secondo il sistema del racket.

E Lu capubastuni, storia dell’uccisione del figlio del boss di una gang mafiosa.

Sono cronache di assassinii accaduti davvero. L’argomento è sconcertante, inusitato per la canzone di allora. E Otello si rivela personaggio al di fuori di ogni definizione.

Così, negli anni del folk revival, il suo lavoro viene apprezzato e sostenuto dalle case discografiche che incidono i suoi album mentre la Rai gli propone trasmissioni radio e televisive.

Calabria (’63) rappresenta l’espressione della sua vocazione di etnomusicologo alla scoperta dei brani della tradizione popolare come gli Stornelli calabresi

il canto d’amore Calabrisella,

la tarantella E ballati ballati.

Intero album:

Al brigante Musolino Otello dedica il successivo concept album (’63), in cui i canti si susseguono svelando un’unica storia. Ovvero la vicenda di Giuseppe Musolino che divenne brigante per combattere le ingiustizie sociali della sua terra. Di questo “brigante buono” Otello narra in dieci poesie la vita e le gesta, utilizzando la tecnica narrativa del racconto in prima persona, lasciando dunque alla voce del protagonista la descrizione e il resoconto delle sue imprese. Personaggio estremamente popolare (Giovanni Pascoli scrisse una ode rimasta incompiuta), questo bandito giustiziere fu autore di numerosi omicidi per i quali fu condannato all’ergastolo. Gli venne successivamente riconosciuta l’infermità mentale e fu dunque ricoverato presso il manicomio di Reggio Calabria. Qui il medico che lo ebbe in cura registrò le loro conversazioni. Che sono state, poi, in parte riportate da Otello nell’album. La voce che qui si sente è proprio quella autentica del bandito. Nell’opera di Otello di lui emerge l’aspetto più umano, di chi ha dovuto fare la guerra per la difesa di principi di giustizia sociale e che in fondo ciò che ha sempre chiesto era un po’ di amore. Full album:

Tre ballate, attribuite allo stesso Musolino, riscostruiscono la sua vicenda: Carogna carogna; in cui il protagonista piange sul suo destino ignobile: carogna è chi lo ha tradito e calunniato condannandolo al carcere.

In In carcere il brigante racconta della cattura e del trasferimento in prigione mentre la madre grida: “Pietà!” e la gente: “Mandatelo in galera ’sto tiranno!” Condannato a ventuno anni, lui medita solo vendetta per ristabilire l’onore violato.

Mi chiamano brigante è la narrazione della caccia all’uomo da parte delle forze dell’ordine che circondano la casa della famiglia di Musolino, soprannominato brigante assassino.

A queste canzoni Otello aggiunge sue creazioni che danno coerenza e continuità alla storia. Perché questo è il suo metodo, una sorta di “contaminazione creativa”: a partire dalla citazione di un reperto folklorico, egli costruisce per imitazione una sua composizione reinventando nuovo materiale. Una rielaborazione che è probabilmente “la migliore forma di adesione alla realtà di una civiltà e di una cultura” [Fortunato Pasqualino, Amuri e Pilu, Torino, Cetra].

Altro capolavoro di Otello è l’album Profazio canta Buttitta: Il treno del sole (’64), nato dalla collaborazione con il poeta siciliano Ignazio Buttitta. Testimone partecipe della realtà siciliana, è il cantore dei suoi mali aggravati da mafia, clientelismo, potere clericale che si manifestano nelle forme della violenza e della sopraffazione del più debole, costretto alla sudditanza o all’emigrazione. Il suo non è solo un discorso di denuncia, è anche “un invito a rompere le catene, a conquistare la libertà” [Lombardi Satriani, in De Pascale, Otello Profazio. A viva voce, p. 105]. I due autori affrontano temi sociali, le disgrazie degli ultimi in quella terra dimenticata dallo Stato. Li accomuna lo stesso spirito di rivincita nei confronti delle tante rivoluzioni tradite e la medesima vicinanza alle istanze del mondo popolare del sud con le sue atmosfere visionarie, il senso di desolante abbandono, la condanna a una vita di precarietà. Il desiderio di rivalsa.

La canzone Lu trenu di lu soli è il racconto dell’epopea di un emigrante siciliano in cerca di lavoro. Lo trova a Marcinelle dove però morirà ucciso dal crollo della miniera.

Portella della Ginestra è la cronaca della strage avvenuta il 1° maggio ’47 nell’omonima località, per opera del clan di Salvatore Giuliano che spara contro la gente comune riunita per festeggiare la festa dei lavoratori.

Lamentu pi la morti di Turiddu Carnivali è dedicato al sindacalista palermitano ucciso dalla mafia nel ’54.

Storie e leggende del sud (’65) è un’altra raccolta di classici calabresi ma anche lucani e soprattutto siciliani. Siciliana è La leggenda di Colapesce. La sua origine si perde nei secoli, protagonista è un giovane di Messina, abile nel nuoto. Così bravo da riuscire per lungo tempo a restare immerso, come un pesce. Un giorno l’Imperatore gli chiede di scandagliare il fondo del mare per vedere le fondamenta della Sicilia. Colapesce si butta ma non torna più a galla. Qualcuno pensa sia morto, invece un giorno si sente la sua voce: non potrà più tornare, tre colonne sostengono la Sicilia, ma una sta per cedere, tocca a lui reggerla altrimenti la sua amata terra sparirà per sempre.

Tipicamente siciliani sono anche Vitti ’na crozza: un innamorato trova un teschio che gli racconta il dolore e la nostalgia per la sua vita;

e La baronessa di Carini, racconto di una giovane baronessa assassinata dal padre perché innamorata di un cavaliere. Otello dichiara di averla appresa da un cantastorie del suo paese, don Mimì Pellicone. Mescolando questa ad altre versioni ne esce una del tutto personale.

Dal vivo, nella trasmissione Rai “Questo e quello” con Giorgio Gaber.

La Canzone del flauto è una fiaba che narra di una principessa trasformata in zufolo dal fratello avido e traditore.

All’armi, all’armi la campana sona, rievoca la battaglia di Stromboli del 1561, provocata dalle incursioni saracene.

Il repertorio di Otello è sempre più una commistione di cronache locali e di antiche leggende. In I paladini di Francia (’66), rinnova la vicenda della medievale chanson de geste, dei paladini alla corte di Carlo Magno, a cui unisce suggestioni dell’opera dei pupi della tradizione siciliana. Gli eventi principali ruotano attorno alla Chanson de Roland, alle peripezie di Orlando fino alla sua morte nella battaglia di Roncisvalle: Rinaldo svegliati.

Eventi dispiegati con la voce da cantastorie e da puparo in una sapiente combinazione tra linguaggio quotidiano e narrazione melodrammatica. La ricchezza del patrimonio folcloristico italiano, grazie a questo lavoro, appare inesauribile.

Non solo. Otello non intende semplicemente mostrare la qualità artistica e culturale del patrimonio del sud. Attraverso la tradizione musicale, affronta infatti un argomento di interesse politico e sociale, ovvero l’unificazione nazionale. L’Italia cantata dal sud (’70) è un nuovo concept album in cui gli episodi e i personaggi del Risorgimento nazionale, come Garibaldi o Vittorio Emanuele, sono giudicati dal punto di vista di un meridione conquistato. Con gli occhi delle plebi che vedono umiliata ogni promessa di miglioramento delle loro condizioni di vita.

È un album di denuncia sociale in cui l’autore costringe a riflettere. Tutto è rimasto immutato e i problemi sono gli stessi: povertà, emigrazione, mafia. Il disco, infatti, si apre e si chiude con uno stornello che esprime la meraviglia di un siciliano nel sentirsi chiamare italiano: “Fiore di grano/ditemi, è o non è un fatto strano/nacqui in Sicilia e sono italiano” [De Pascale, p. 49]. È il racconto di un secolo di Storia visto dalla parte degli esclusi. Una controstoria dell’unità d’Italia e delle vicende del meridione, inesistente sui libri. Rilettura analoga si ritrova nel contemporaneo album L’Unità di Stormy Six.

Garibaldi popolare racconta l’attesa della liberazione, ma l’eroe dei due mondi perde carisma, presentato come venditore di pomodori.

Guvernu ’talianu e La leva illustrano il fallimento del Regno d’Italia che a questo sud ingannato si rivolge solo per riscuotere tasse, costringere alla leva, condannare la povera gente alla miseria.

e

 

Con la Ballata campestre per Nino Martino, brigante Otello riprende il tema del brigante buono in lotta per i diritti della povera gente e del brigantaggio come forma di giustizia sociale in contrapposizione a uno Stato visto come ladro e traditore.

Intero album:

Nel ’71 esce Sollazzevole che, oltre alle rielaborazioni di canti popolari, presenta la produzione cantautorale di Otello. Tra i canti tradizionali c’è San Giuseppe, in cui la figura dello sposo di Maria è desacralizzata, di lui si dice che fu il primo socialista.

La Tarantella cantata è un vivace divertimento musicale;

mentre in Carcere e villeggiatura si ironizza sulla vita dei detenuti nelle carceri del sud.

È un disco allegro, in cui la gioia, tra i principali sentimenti espressi dal canto popolare, oltre all’amore, all’odio e al dolore, diventa giubilo ed esultanza. Emozione da condividere. Intero album:

Non manca nell’opera di Otello il tema religioso. Il concept album Gesù, Giuseppe e Maria (’73), lo affronta nella narrazione delle vicende della Sacra Famiglia, attraverso la lettura dei Vangeli nell’ottica della spiritualità popolare. Una interpretazione che mette in luce l’aspetto più profondo dei protagonisti, il racconto di una “umana famiglia” [De Pascale, p. 55]. Otello canta “il vangelo del popolo, dei poveri, dei diseredati, dei puri e semplici di cuore: personaggi veri che vivono un rapporto quotidiano e diretto con la divinità” [Decaria, Giordano, Storie di cantastorie, p. 254].

Così, il San Giuseppe del Testamento di San Giuseppe è un padre che si rivolge a Maria, sua moglie, per raccomandarle il figlio, con la preoccupazione che non lo cresca vagabondo.

Intero album:

L’incontro con la poesia di Buttitta produce un altro capolavoro, l’album forse più autoriale di Otello, Qua si campa d’aria (’74) in cui riemergono le tematiche della mafia e dell’emigrazione, ma attraverso composizioni originali. Come Tua è la colpa, Io faccio il poeta, la celebre e sconcertante Mafia e parrini, nate dalla collaborazione dei due artisti.

Di Otello sono invece: Qua si campa d’aria, ode alla terra del sud: senza fabbriche e lavoro, senza ospedali, senza scuole e istruzione. Perché al sud, ironicamente, si può campare d’aria.

E I frati di Mazzarino, ispirata a un fatto di cronaca con protagonisti i frati di Albano, accusati di contrabbando di sigarette.

L’album ottiene il disco d’oro per aver superato il milione di copie vendute.

Amuri e Pilu (’76) è dedicato alla donna, a come essa appare allo sguardo maschile. L’uomo ha due vie per raggiungerla: quella tortuosa del sentimento amoroso e quella più facile della passione carnale. La donna, infatti, in questi canti non è amata. È di fatto, la “cosa” di cui vantare il possesso da parte di un uomo narciso che ama solo se stesso. Così la donna è celebrata per il suo organo sessuale, come nella canzone Lu conigliu: Se non tocco quel pelo/non posso più campare.

Mentre Pilu pilu esalta il maschio latin lover che conquista donne di qualsiasi nazionalità.

Con l’album Scibilia nobili (’78) si torna ai racconti leggendari. Protagonista è la giovane sposa Scibilia rapita dai turchi e poi liberata grazie al riscatto pagato dal marito.

Molto suggestiva è anche la Leggenda di un carcerato siciliano, graziato da Re Ferdinando, per intercessione di Sant’Agata. Si racconta di questo carcerato che viene udito lamentarsi per il fatto di non poter partecipare alla festa per la santa. Il re gli concede l’uscita ma gli impone di tornare presto. Così fa il carcerato compiacendo il re per il rispetto della parola data. In realtà è Sant’Agata che ha fatto il miracolo.

Intero album:

In questi stessi anni Otello realizza una serie di lavori – Patti Marina in Sicilia, Guardavalle in Calabria, Petina degli Alburni in Campania, Cassano Jonio in Calabria – che rientrano nella collana “I Paesi Cantano”, ovvero ricerche e registrazioni effettuate sul campo, in cui sono gli autentici cantori, scovati da Otello nelle campagne, a eseguire melodie della tradizione contadina. Sono anziani testimoni della vita di un tempo, scandita dai canti per la vendemmia, per la raccolta delle olive, o per un particolare evento famigliare come la nascita di un bambino. Canti che sarebbero andati perduti per sempre.

Tra Scilla e Cariddi e Mannaja all’ingegneri (’78) sono due lavori in cui Otello riprende i suoi classici con l’aggiunta di qualche nuovo tassello: la Storia di Re Bifè è una divertente filastrocca che racconta di una principessa che perde un uccello. Il padre la darà in sposa a chi lo ritroverà. Un vecchio si presenta con l’animale e pretende di avere la figlia, ma il padre lo caccia malamente.

Mannaja all’ingegneri è una canzone sull’emigrazione, su chi è costretto ad andare all’estero in cerca di lavoro, maledicendo l’ingegnere che ha costruito la ferrovia.

Non solo canti e dischi fanno di Otello un grande divulgatore delle storie e dei mali del sud. Ci sono anche le “Profaziate”, liriche pubblicate sul quotidiano la Gazzetta del sud in cui Otello si sofferma su temi di politica e di attualità, spesso con intento critico.

Queste sono poi diventate sketch televisivi per Video Calabria:

 

e

La sua carriera lo ha portato a esibirsi in tutto il mondo – dal Canada, all’Argentina, dall’Australia alla Germani – emozionando quegli emigrati italiani di cui ha cantato la disperazione; e nei maggiori festival come il Folk Festival del Teatro Alfieri a Torino, nel ’65, presentato da Roberto Leydi. Tra i fondatori del Folkstudio di Roma è stato anche l’artefice della carriera di tanti artisti, da Rosa Balistreri a Matteo Salvatore, fino a Francesco De Gregori e Antonello Venditti. Perennemente impegnato nella divulgazione della canzone popolare ha preso parte e curato trasmissioni radio come “Quando la gente canta” e “I paesi cantano”. Sue canzoni sono inoltre presenti in pellicole cinematografiche, tra cui Amuri amuri cantata in “L’amante di Gramigna” di Lizzani,

“A cavallo della tigre”

“Delitto d’amore” di Comencini e “La commare secca” di Bertolucci.

Nel ’63 e ’64 partecipa a varietà televisivi con Giorgio Gaber: “Canzoniere minimo” e “Questo e quello” dove i due riprendono il canto anarchico Addio Lugano bella, insieme a Enzo Jannacci , Lino Toffolo, Silverio Pisu.

Tra le altre collaborazioni televisive spicca quella con Cochi e Renato nel ’73 in “Il poeta e il contadino” e in “E noi qua” con Nanni Svampa e Lino Patruno.

Negli anni Settanta è a “Canzonissima ’74” e a “Un disco per l’estate ’75”, dove interpreta il suo repertorio di canti folk come Tarantella cantata

e Tummina tummina.

Viene invitato al programma Rai “Adesso Musica” in occasione di uno speciale dedicato al folklore italiano e in una successiva puntata sulla canzone religiosa popolare. Qui si esibisce nel canto Mamma pigghiu licenza, dialogo tra Cristo e la Madonna.

Altra trasmissione sul canto folk della Rai è “Italia bella mostrati gentile” realizzato nel ’76. Un viaggio attraverso il canto popolare italiano con la sua consulenza musicale e la partecipazione dei maggiori protagonisti, da Caterina Bueno a Maria Monti, da Rosa Balistreri a Nanni Svampa.

Otello ha cantato la pena di vivere delle classi subalterne, la fatica che spezza e che neanche rende, le condizioni di lavoro disumane, l’oppressione che uomini e donne sono stati costretti a subire. In Preghiera un povero scalpellino si rivolge al Padreterno perché faccia giustizia sociale: “Fai uguale il destino/ ché uguali ci creati /e uguali devi disfarci”.

“Restauratore della canzone meridionale”, come ama definirsi, la sua opera poetica è un grande archivio di canzoni di protesta, di lotta sociale in cui spesso predomina l’ironia, che serve a demistificare l’operato dei potenti, di coloro che avrebbero potuto cambiare la condizione di un Sud in miseria, lasciandolo, invece, ulteriormente in abbandono.

Per questa sua poetica autoriale e per l’incessante lavoro di studio e divulgazione della cultura popolare nel 2016 ha ricevuto il Premio Tenco alla carriera.

Otello Profazio in una sua recente intervista.

Chiara Ferrari, coautrice del documentario Cantacronache, 1958-1962. Politica e protesta in musica, autrice di Politica e protesta in musica. Da Cantacronache a Ivano Fossati, edizioni Unicopli