«L’idea di un film su don Giovanni Minzoni la caldeggiavo da tempo», racconta Stefano Muroni a una sala strapiena come non ti aspetti (l’emergenza coronavirus sembrava distante anni luce).

Siamo a Roma, “Cinema delle Provincie”, lo scorso 31 gennaio. L’attore ferrarese ha voluto presentare, insieme al cast quasi al completo e a chi ha concorso a realizzarlo, il lungometraggio “Oltre la bufera” (100 minuti) sugli ultimi anni di vita e sulla morte del sacerdote ucciso a bastonate dai fascisti il 23 agosto 1923.

Aveva 38 anni quando venne ammazzato, quel prete così fuori dagli schemi e dalle convenzioni del tempo.

Un film realizzato da giovani. Della generazione Y sono il protagonista Muroni; la moglie e produttrice per Controluce, Valeria Luzi; il regista Marco Cassini; Piero Cardano, lo squadrista Augusto Maran; Michela Ronci, la sposa Linda; Enrica Pintore, Matilde, per citare alcuni degli interpreti. E c’è chi ha scoperto la figura del martire antifascista, rivela alla platea, solo perché coinvolto nel set, nella ripresa, nel montaggio. E ne è rimasto affascinato.

Proiezione di “Oltre la bufera” al Cinema delle Provincie. Stefano Muroni presenta attori e collaboratori del progetto

Per il principale interprete è stato diverso: originario della provincia dove spadroneggiava il ras avanguardista Italo Balbo, era forse tra i pochi a ricordare la figura del parroco di Argenta, il suo determinato “no” al regime, ben consapevole delle conseguenze: sarebbe infatti morto poco dopo aver scritto nel suo diario “attendo la bufera”, a cui si richiama il titolo del film.

Girata anche in stile western, sorta di pièce teatrale con fermi immagine in bianco e nero sottolineati da suoni di chitarra elettrica, la pellicola (realizzata anche con il sostegno di Emilia-Romagna Film Commission) è stata curata in ogni dettaglio per ricostruire rigorosamente sia gli avvenimenti sia i costumi dell’epoca, avvalendosi anche di reperti originali della Prima guerra mondiale.

La sala è stracolma (da https://www.facebook.com/oltrelabufera/)

La vicenda, infatti, prende il via nel 1919, al termine del conflitto, con il ritorno a casa dei combattenti: al fronte sono stati don Minzoni, cappellano militare decorato con Medaglia d’Argento, e Maran, il maestro (la stessa professione di Mussolini), un reduce che subito adotta la camicia nera.

Don Giovanni Minzoni. Da https://upload.wikimedia.org/ wikipedia/commons/c/c4/ Don_Giovanni_Minzoni.jpg

È l’inizio del cosiddetto biennio rosso, scandito da scioperi operai e dalla violenza nera. Minzoni, uomo di chiesa estremamente coerente, ma inviso alle gerarchie ecclesiali perfino perché girava in bicicletta, riesce a ricucire i rapporti con i socialisti, in principio molto sospettosi nei suoi confronti, e a conquistarsi la fiducia e la stima di Natale Gaiba (Rosario Petix), consigliere comunale del paese (assassinato dai fascisti nel 1921).

Nella poverissima Emilia contadina di allora, alla disoccupazione e alla disperazione dilagante il prete risponde con azioni concrete e grandemente innovative e moderne, pure all’occhio di oggi: doposcuola per gli alunni, un teatro parrocchiale, una biblioteca circolante, circoli ricreativi (“ricreatorii”, si diceva allora) maschili e femminili, cooperative cattoliche per i braccianti e laboratori di maglieria per le donne.

Stefano Muroni nel ruolo del parroco di Argenta (da controluceproduzioni.it)

La missione religiosa del parroco Minzoni – educare – coincide dunque con quella civile, tant’è che rimprovera al maestro Maran il tradimento di un ruolo sociale fondamentale. Ma il docente in orbace, come rivela la cicatrice accanto all’occhio destro, ha vecchi conti da regolare (forse anche personali) con gli avversari politici, e mentre il fascismo avanza incontrastato in tutta Italia, con esercito, polizia e carabinieri conniventi, sente giunto il momento della revanche.

Il capomanipolo Maran interpretato da Piero Cardano (da https://www.controluceproduzione.it/ im/portfolio/04_06.png)

Divenuto capomanipolo locale, guida raid punitivi indossando occhiali da sole (altro elemento straniante alla Brecht?), del fascismo incarna anche la repressiva risposta alle rivendicazioni di libertà e uguaglianza delle donne, emancipatesi giocoforza quando nei luoghi di lavoro avevano dovuto sostituire gli uomini richiamati alle armi: “nel nostro Paese è un diritto picchiare la propria moglie, specie se ha offeso il marito”, replica alla ribelle consorte.

Sarà sempre più solo però l’antifascista in abito talare. Dopo la marcia su Roma si rifiuta di esporre il simbolo littorio all’ingresso della chiesa È il “no” che lo compromette irrevocabilmente (sarà fortemente criticato dai suoi superiori), insieme alla scelta di metter su un reparto di Esploratori cattolici, gli scout: «La goccia che fece traboccare il vaso», ha spiegato Muroni. Forse nelle intenzioni degli squadristi c’era solo la volontà di dargli una lezione, forse. Di fatto, il rigoroso parroco di Argenta non sopravviverà alle botte.

Un giovane cast e un giovane staff di collaboratori. Nella foto, il primo da sinistra è Stefano Muroni

Se importante per la memoria democratica, e struggente, è la storia narrata da “Oltre la bufera”, il film è anche un coraggioso e bell’esempio di cinema civile (l’oltre è un’affermazione di convinto impegno). Il progetto, per come è nato ed è stato realizzato, racconta pure di nuove generazioni di artisti capaci di raccogliere il testimone culturale ed etico della migliore tradizione antifascista.

Alla proiezione romana erano presenti rappresentanti dell’Agesci e dell’Anpi nazionale (chi scrive). Vittorio Pranzini dell’Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani ha annunciato, in vista del centenario della morte di don Minzoni, nel 2023, l’obiettivo di proporne la beatificazione. Applauditissimo sia dal cast e dalle maestranze, sia dagli spettatori, il saluto dei delegati dai partigiani. Avvicinati da molti alla fine della serata per chiedere: «Come possiamo iscriverci all’Anpi?».

Daniele De Paolis, giornalista