
Quella cinematografica è – tra tante altre, che saranno esposte a tempo debito – in primis Federico Fellini. Un maestro con pochi eguali per capacità tecnica, inventiva, originalità, acutezza di lettura dei fenomeni sociali, così da farli diventare parametri storici. Ma al contempo un regista in grado di parlare delle proprie frustrazioni, ossessioni, fantasie, la vita colta come parametro di espressione di un sé che può dire a molti altri. Una delle sue frasi più note era “Niente si sa, tutto si immagina”. Si pensi alla genialità di un autore che con 8 e 1\2 fa un film sulla sua reale incapacità di girare un film, mostrando una crisi di inventiva che si tradurrà in un capolavoro della storia del cinema.
Le scene del raduno fascista alla presenza del podestà in visita, leggono la dimensione popolare del fascismo stesso, negli slogan, le dinamiche del consenso, l’omologazione, la fruizione di un immaginario collettivo di cui Fellini sa mostrare l’aspetto grottesco e artificioso. Nel contempo segnato in filigrana da terribile violenza, anche se apparentemente contenuta (le leggi razziali erano all’orizzonte…).

Bene, qui abbiamo tutta l’aggressività di un regime che si impose anche perché seppe adoprare gli strumenti repressivi come quelli seduttivi: in particolare, la seduzione di una capacità di governare per le virtualità dell’uomo solo al comando, mito che affascina il nostro popolo con una frequenza preoccupante.

Tutte le figure di rilievo del paese convergono nell’immaginario fascista: dal parroco ai docenti del liceo che Titta e i suoi amici frequentano svogliatamente, all’élite di paese squisitamente fascista, più o meno ascrivibile agli ideali del regime (come lo zio di Titta, fratello di Miranda, che vive da parassita in casa di Aurelio e più che altro pensa alle donne) e ben rappresenta chi si allinea per convenienza, fino alle figure femminili, mostrate negli stilemi usuali del maschilismo di regime. La Gradisca, considerata l’ideale erotico tra le donne del borgo, viene offerta a un aristocratico di passaggio e trova questo suo soprannome proprio nella circostanza in cui gli offre le sue grazie con una gentile disponibilità: “Signor principe, gradisca…”.

La scena più toccante (per me) e più felliniana del film (destino di un autore del firmare un aggettivo con il proprio nome, grande onore riservato a maestri e maestre), da conservare dalla sua visione, è quella in cui, nella notte, durante i bagordi dei fascisti che occupano il paese, si odono le note de L’internazionale: provengono dal campanile del borgo. I fascisti accorrono e cominciano a sparare finché il grammofono da cui si diffonde la musica non cade al suolo, ridotto al silenzio. Una sequenza bellissima, di una poetica esaustiva. Il tocco gentile di una memoria sovversiva solo apparentemente domata mentre imperversano gli “All’armi, all’armi siam fascisti” di una generazione che stava conducendo l’Italia nel baratro. La sequenza si chiude filmando uno striscione su cui compare il celeberrimo “Dio, patria e famiglia” adesso tornato così in auge…
Don Andrea Bigalli, docente di Cinema e teologia all’Istituto superiore di scienze religiose della Toscana, referente di Libera per la Toscana
Pubblicato venerdì 13 Gennaio 2023
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