Per aver proposto l’idea di un film sugli “italiani brava gente” in Grecia, due illustri personalità della cultura, Renzo Renzi e Guido Aristarco, vennero arrestati e condannati. Era il 1953, da allora il grande schermo ha prodotto poco o nulla sul tema, quasi volesse occultarlo, anticipando l’armadio della vergogna
Rivista Vie nuove n. 37 del 1953 in cui si racconta la vicenda e il clamore suscitato dall’arresto di Guido Aristarco (a sinistra) e Renzi (l’altro ritratto nella foto)
Il 12 settembre del 1953 Renzo Renzi, autorevole critico cinematografico di Cinema Nuovo, viene arrestato insieme al direttore responsabile della rivista, Guido Aristarco, con l’accusa di “vilipendio delle forze armate”. Sette mesi prima, nel numero del 1° febbraio, il quindicinale aveva pubblicato nella rubrica Proposte per un film, il soggetto L’armata s’agapò (ti amo in greco) di Renzi, titolo che traslava in chiave ironica i ricordi delle sue esperienze di ufficiale durante l’occupazione italiana in Grecia. Entrambi i giornalisti vennero rinchiusi per quarantacinque giorni nel carcere militare di Peschiera. Fu un fatto clamoroso, nato nel clima di ottusa restaurazione post 1948 e suscitò veementi proteste generali nella stampa e nel mondo culturale. Dopo il processo gli imputati vennero liberati, ma condannati secondo il codice penale militare vigente (otto mesi per Renzi e 4 mesi e mezzo per Aristarco), poi modificato nel 1956 anche in seguito all’intenso movimento d’opinione.
Un carro armato italiano in Grecia
Col suo contributo, Renzi intendeva sfatare tutte le descrizioni edulcorate della campagna in Grecia e ristabilire la verità sul costume, gli abusi e i crimini perpetrati dopo l’invasione nel 1940, dal 1941 al 1943. Con la resa dell’esercito greco, gli italiani si erano aggiunti ai tedeschi e ai bulgari per reprimere duramente ogni reazione partigiana infierendo sulle popolazioni stremate. Domenikon, Tsaritsani, Domokos, Farsala, Oxinià furono teatro di terribili ritorsioni ed eccidi a opera dagli occupanti. In sostanza, altro che italiani brava gente!
Renzi, militare dell’esercito regio in Grecia, ricordava le fucilazioni di civili
E Renzi, con voce nuova, interrompeva la falsa retorica con cui veniva rappresentata la guerra fascista, delineando l’immagine reale di un esercito che si dedicava in larga parte al gallismo, alle requisizioni di scorte alimentari primarie nelle case dei civili e alle fucilazioni indiscriminate di ostaggi.
Gli appunti nel n. 4 della rivista del 1953 erano quindi un esame di coscienza, una condanna della guerra e insieme un atto di fratellanza verso il popolo greco aggredito.
Soldati greci ad Argirocastro, Albania, 1940-41
Oggi un docufilm potrebbe riprendere l’idea del critico cinematografico per dare voce alle vittime di allora e assolvere pienamente quei giornalisti ingiustamente imbavagliati. Sul filo dell’articolo, fotogrammi e sequenze potrebbero ripartire dai monti di Albania, dalla sconfitta dell’esercito italiano; dal flop del duce, infatuato del proprio mito imperiale, che dirige di persona le operazioni; dal sopravvento dell’ingente appoggio tedesco alle spalle degli avversari, che consentì agli italiani di recitare la parte dei vincitori, come mosche cocchiere. Un racconto per immagini che passa dalla tragedia all’operetta, senza tralasciare la farsa.
“Spezzeremo le reni alla Grecia” disse Mussolini dal balcone di Piazza Venezia il 18 novembre 1940
Renzi intravede l’esordio dell’operetta in un dialogo musicato sulla preparazione della campagna descritta da Mussolini nell’opuscolo Il bastone e la carota, con il duce nella parte del tenore. I soldati, catapultati in una guerra dalle ignote motivazioni, non reggono al ruolo trionfale di conquistatori. I superiori, allevati dal regime, li incolpano dei fallimenti della “missione”. Una sequenza buffonesca potrebbe sceneggiare le regole del comportamento “imperiale” nei riguardi della popolazione impartite al corso per ufficiali di Nauplia, presso le città murate di Argo e Tirinto: Camminare in mezzo alla strada, non cedere mai il passo, non fraternizzare, avere sempre ragione.
Le soldatesse, film di Zurlini del 1965. Nella Grecia occupata un tenente italiano riceve a malincuore l’incarico di accompagnare un gruppo di prostitute destinate ai soldati
In parallelo, la corsa di ufficiali e soldati al possesso delle donne greche affamate, facilmente conquistabili con una pagnotta (questa la tariffa): le case di tolleranza sono piazzate in ogni dove, di qui l’appellativo “l’armata s’agapò” affibbiato agli italiani dalla propaganda inglese.
Ed ecco un attendente il cui compito è quello di accudire il figlioletto di una giovane donna per tutta la durata del convegno amoroso col capitano. La madre, consegnato il piccolo, si toglie le scarpe, esce in punta di piedi e raggiunge l’ufficiale tra i fichi d’India. Commenta la scena l’aria di Nemorino dell’Elisir d’amore, “Io so solo/Io so solo sospirar”. Per passare agli alti gradi, ecco un comandante che si sposta dal Peloponneso all’Epiro seguito dal bordello al completo con la direttrice come amante. Parte la colonna con prostitute al seguito, mentre sopraggiungono i tedeschi sgombrando l’edificio e gettando i letti giù dalle finestre.
L’uccisione di circa 150 tra patrioti e civili greci nella zona del villaggio di Domenikon, in Grecia, effettuata dal regio esercito italiano durante l’invasione della Grecia. Militari italiani camminano tra i cadaveri di civili greci giustiziati nel massacro
La parte farsesca ha un risvolto tragico con le scene di guerra: spostamenti notturni per allarmi, segnalazioni di razzi misteriosi, lanci di paracadutisti, operazioni segrete di sottomarini avversari sbarcanti armi ed emissari sulle coste. Lunghe autocolonne partono dal golfo di Arcadia dirette alle montagne del Taigeto, a Corinto, a Calamata, a Sparta, luoghi che rivelano paesaggi stupendi, aspri, in mezzo a paesi sperduti di pastori. Nelle povere case spiccano le fotografie dei greci emigrati in America, un po’ somiglianti agli italiani del film Cristo fra i muratori (1949) di Edward Dmytryk: perché i volti degli emigranti, segnati dalle vicissitudini, mostrano tutti la stessa tenacia, la stessa amara pazienza.
Grecia, partigiane e partigiani del Fronte di Liberazione nazionale
Da quelle case però, i “nostri” portano via le riserve di olio, ed è solo una delle azioni vili che caratterizzano l’operato degli italiani in Grecia. Poi si passa alle esecuzioni degli ostaggi per rappresaglia contro le azioni degli “andartes”, i partigiani resistenti. Un ragazzino umile e dimesso, posto contro il muro, guarda con occhi tristi il comandante del plotone e gli rivolge un timido cenno di saluto. Poi arriva la scarica. Altri due giovani prigionieri, Gliaco e Giorgio, di notte, in aperta campagna, sono seduti in attesa della morte su una panca illuminata dai fari incrociati delle autocarrette. Gliaco è tranquillo, Giorgio trema dalla paura. Il prete greco gli offre un bicchiere di vino, ma lui rifiuta. Gliaco gli dice “Pine Gheorghi pame sto calò” (Bevi Giorgio, andiamo verso il bello): solo questa battuta li separa dalla morte.
Partigiani greci dell’Elas
I greci secondo Renzi, lo dicevano tutti, sapevano morire. Ci sono le rivolte dei soldati esasperati dalle mancate licenze, dopo anni di lontananza dalle mogli e dai figli, ma anche i suicidi e le fughe. Un ufficiale si eclissa sui monti con l’aiuto della tenutaria del bordello, un altro si camuffa travestito da domatore di circo e gira con un giubbone rosso. Infine l’8 settembre, la resa del reggimento ai tedeschi senza colpo ferire. Nel momento umiliante dell’ammainabandiera, alcuni ufficiali del picchetto disorganizzato salutano con la mano alla bustina, altri restano sull’attenti.
Di contro l’epopea, il sacrificio e la dignità dei militari di Cefalonia. E ancora i lunghi convogli che portano via gli italiani non aderenti al Reich, attraversano i Balcani e scaricano dopo viaggi estenuanti “i traditori” nei lugubri campi di concentramento in Polonia e Germania, tra fame e stenti. Molti di loro, superfluo specificarlo, non torneranno. “La nostra generazione deve parlare di queste cose” affermava Renzi in quel lontano 1953 a sostegno della sua idea filmica. Sono passati quasi settant’anni e il cinema ha offerto poco sull’argomento. L’umiliazione delle donne greche in Le soldatesse di Valerio Zurlini (1965) e la voglia di “andare a casa” in Mediterraneo di Gabriele Salvatores (1991), ad esempio, ma il tema dei crimini del fascismo in Grecia e nei Balcani giace ancora occultato in qualche “armadio della vergogna”. Rievocarlo sullo schermo consentirebbe anche di approfondire i precedenti della tragedia delle foibe, di cui oggi si parla spesso superficialmente, sorvolando sull’origine di quel feroce odio anti-italiano, scaturito dai delitti fascisti nelle patrie degli altri.
Serena d’Arbela, giornalista e scrittrice
Pubblicato mercoledì 23 Febbraio 2022
Stampato il 16/09/2025 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/terza-pagina/red-carpet/la-verita-ti-fa-male-crimini-fascisti-armata-sagapo/
Periodico dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia
Intervista a Tony Saccucci, professore e regista del documentario “Il pugile del duce”, uscito lo scorso 21 marzo, prodotto e distribuito dall’Istituto Luce. È la storia di un ragazzo, di padre italiano e madre congolese, campione sul ring ma rinnegato dal regime di Mussolini per cui non era abbastanza bianco
“Una questione privata”, regia di Paolo e Vittorio Taviani, con Luca Marinelli, Lorenzo Richelmy, Valentina Bellè, Francesca Agostini, Jacopo Olmo Antinori, Italia Francia, 2017
Quando arrivò l’8 settembre 1943 aveva 18 anni. Il padre le disse: “Frute, cumò sì che e scomence la lote (bambina, ora sì che incomincia la lotta)”. Un paio di mesi dopo, nel corso di un’azione partigiana, le toccò vedere il primo morto ammazzato che le suscitò un grande sgomento e un forte rifiuto della violenza e della morte. Ma lei non aveva paura, solo una grande rabbia per quello che si era costretti a fare. Con le altre compagne portò ordini, documenti e materiali: “Ho fatto solo il mio dovere, par che il doman al sedi miôr, per lasciare ai figli e ai nipoti un mondo di pace e libertà, che adesso è drammaticamente messo in discussione”
Per non confondere l’imparzialità con l’ignavia e l’indifferenza. La Relatrice speciale Onu per i diritti umani nei territori occupati da Israele ha da poco pubblicato per Rizzoli il libro Quando il mondo dorme, dieci racconti in cui si intrecciano informazioni, testimonianze, storia, emozioni e vicende intime. Lo sta presentando in giro per il mondo e così non poteva mancare l’incontro con la sua città natale, Ariano Irpino (AV), che le ha donato le chiavi della città. A darle il benvenuto anche una folta delegazione dell’Anpi provinciale, guidata dal presidente Capobianco. All’appuntamento campano anche l’artista Moni Ovadia
Sul passo divenuto famoso per le competizioni ciclistiche, i nostalgici del regime collaborazionista di Salò hanno realizzato una sorta di altarino dedicato alla famigerata e criminale Legione Tagliamento e vi tengono una giornata di commemorazione. Anpi con le associazioni democratiche dell’Alta Valle Camonica reagiscono a quella mistificazione storica e politica
Lungo il confine tra Myanmar e Thailandia in missione di solidarietà politica e umana al fianco delle donne e dei giovani che lottano per vivere in libertà. In sostegno della leader birmana Aung San Suu Kyi, in prigione isolata dal mondo; della giornalista filippina Maria Ressa; della siamese parlamentare e attivista dei diritti umani Chonthicha Lookkate Jangrew, più volte arrestate. Perché abbiamo molto da imparare dalle battaglie per la democrazia che con immensi sacrifici si combattono in luoghi dove milioni di persone subiscono l’oppressione di dittature e di colpi di stato militari. Il ruolo della cooperazione mondiale e della Ue. E a fine agosto, a Porto Alegre, un grande convegno internazionale del Brasile di Lula affronterà le grandi sfide globali, presente una delegazione del Myanmar democratico e dell’Italia
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