Dopo tre battaglie sanguinosamente combattute di fronte a Cassino senza riuscire a sfondare, gli Alleati – e in primo luogo Alexander comandante in capo – erano entrati nell’ordine di idee che occorresse riordinare le forze e non affidarsi più a sforzi settoriali tattici, ma sviluppare, con la buona stagione, un’azione strategica generale, con obiettivo, oltre la liberazione di Roma, anche l’annientamento delle forze tedesche. I tedeschi, che in Italia combattevano per tenere il più lontano possibile gli Alleati dalla Germania – secondo i canoni classici della manovra in ritirata – avevano superato psicologicamente la crisi dovuta all’uscita dalla guerra dell’Italia e acquisito molta fiducia in se stessi. I mezzi erano pochi ma sufficienti, anche per la disponibilità di quelli abbandonati nelle loro mani dall’Esercito italiano.
Da due mesi il fronte a Cassino era fermo. I soldati americani erano quelli che ne soffrivano di più: non riuscivano a capire per quale motivo erano costretti a tanti disagi. Non potevano sapere che il fronte italiano era considerato secondario e che tutti gli sforzi erano concentrati sullo sbarco in Normandia. Quindi i mezzi forzatamente dovevano essere limitati: non sufficienti se impiegati in modo superficiale così come fino ad allora era stato fatto. Occorreva aguzzare l’ingegno per non commettere più i madornali errori delle prime tre battaglie.
Fu solo con la quarta battaglia che Alexander finalmente riuscì ad attaccare scegliendo tempo e luogo e sfruttando la superiorità di cui disponeva in bocche da fuoco e mezzi corazzati.
II piano alleato
II piano di Alexander, nella sua impostazione concettuale, prevedeva l’impiego sia della 5ª che della 8ª Armata. Entrambe dovevano muovere fianco a fianco in un fronte di 30 chilometri fra Cassino ed il mare, sfondare le linee tedesche e raggiungere Roma, agevolate dall’attacco delle sei divisioni attestate ad Anzio, che avevano il compito di contrastare la ritirata alle divisioni tedesche. Concettualmente non era niente di eccelso ma tale piano riusciva a sfruttare la superiorità anche in termini di fanteria (3 a 1) a favore degli alleati.
Grande rilevanza nella fase organizzativa ebbe un vero e proprio piano di inganni: ai tedeschi si dovevano nascondere tutti gli spostamenti delle divisioni alleate lungo le basi di partenza. Inoltre si doveva far credere ai tedeschi che era imminente uno sbarco a nord di Roma (area di Civitavecchia) in modo tale che Kesselring non potesse muovere le sue riserve schierate nell’Italia centrale. Si arrivò a svolgere, da parte della Marina alleata, tutte le operazioni preliminari ad uno sbarco. All’Aviazione fu lasciato il compito di effettuare numerosissime azioni di ricognizione e rilevamento. Tutti gli spostamenti fra le divisioni nei vari settori del fronte furono accuratamente occultati ai tedeschi; tutti i movimenti furono effettuati di notte e le comunicazioni radio ridotte al minimo. Occorse del tempo ma nella prima decade di maggio il dispositivo era pronto: i comandanti alleati avevano compreso che in guerra, come in tutte le cose della vita, la preparazione, l’unità e l’abnegazione valgono più di ogni altro mezzo a disposizione.
L’attacco
Sembra strano, ma nel corso della seconda guerra mondiale i generali tedeschi nei momenti cruciali sono sempre lontani dai loro posti. Accadrà un mese dopo, nel giugno, in Normandia, accadde anche sul fronte di Cassino. II generale von Senger comandante del 14° Corpo corazzato era in licenza in Germania (partendo aveva lasciato detto che le truppe dovevano essere pronte a fronteggiare un attacco alleato non prima del 24 maggio) e il generale von Vietinghoff, comandante la 10ª Armata, andò in licenza proprio il giorno dell’attacco alleato.
I tedeschi credevano di avere di fronte sei divisioni alleate – forze queste facilmente affrontabili – mentre in realtà ammontavano a tredici.
I compiti delle forze tedesche erano immutati: la 10ª Armata doveva saldamente tenere Cassino e la 14ª Armata doveva evitare l’allargamento del fronte di Anzio-Nettuno. Erano in corso rafforzamenti minimi della linea traendo forze dal settore adriatico.
Nell’ipotesi che Cassino fosse caduta, nuovo perno della difesa doveva diventare Piedimonte, 3 chilometri dietro Cassino, sulla nuova posizione denominata «linea Hitler». In caso di sfondamento già era predisposta la «linea Cesare» che avrebbe ancorato la difesa sui Castelli romani. La manovra in ritirata dei tedeschi in Italia continuava ben programmata.
L’attacco alleato venne lanciato nella notte tra I’11 e il 12 maggio, alle ore 23; la 5ª Armata aveva come direttrice principale la strada statale 7, I’8ª Armata, inglese, doveva procedere lungo la Casilina. Kesselring ne fu nettamente sorpreso e, a posteriori, si può dire che fu ingannato oltre che sul tempo anche sul luogo e sulla forza dell’attacco.
Nel corso della prima giornata di battaglia, in tutti i settori si registrarono successi ed insuccessi.
Importante per l’economia della battaglia fu l’attacco polacco all’Abbazia di Montecassino, completamente distrutta. Due brigate polacche per tutta la giornata del 12 si lanciarono simultaneamente contro le posizioni tedesche subendo gravissime perdite. Questo attacco, però, aveva favorito l’avanzata inglese a valle. Lenti ma sicuri progressi della 4ª Divisione inglese e della 8ª Divisione indiana si registrarono oltre il fiume Rapido mentre i marocchini del generale Juin avanzavano nel settore montano. La sera del 12 maggio iniziava la fase di logoramento: i tedeschi impegnati a tenere le posizioni, gli alleati costantemente all’attacco. La mattina del 13 maggio la destra tedesca, quasi aggirata dai francesi, inizia a cedere agli americani che avevano di fronte. A valle la 4ª inglese e l’8ª indiana, acquisita in rinforzo una grossa formazione corazzata, ricevono l’ordine di tentare uno sfondamento in profondità.
Nel settore montano i francesi, scavalcato Monte Maio, procedono e conquistano Ausonia. Subito Juin lancia i suoi 12.000 marocchini nella valle: incuranti delle perdite, ad ondate successive travolgono ogni resistenza tedesca che, tra l’altro, non era consistente ritenendo il comando tedesco impensabile un attacco attraverso le montagne. L’avanzata dei francesi permise alla 8ª Divisione indiana di procedere.
Il 15 maggio gli alleati sono di nuovo all’attacco su tutto il fronte, immettendo nuove forze tra cui la sperimentata 78ª divisione «Battle Axe». Questa divisione il 16 attaccò con obiettivo il congiungimento con le forze polacche. II 17 maggio queste attaccarono e la 78ª li assecondò progredendo. A sera i polacchi erano a Colle Sant’Angelo sulla destra, mentre la 78ª aveva ormai raggiunto la Statale 78. All’alba del 18 maggio le forze inglesi e polacche, le forze della 78ª e del Corpo di Anders si incontrarono tre chilometri ad ovest di Cassino. Le difese tedesche erano state aggirate.
Durante la mattinata sul colle dell’Abbazia, sgombrata dai tedeschi durante la notte precedente, una pattuglia polacca entrò nelle rovine: un atto formale che simboleggiò la fine della quarta battaglia per Cassino.
Lo sfruttamento del successo
Se di errori madornali non ve ne furono nella quarta battaglia per Cassino, i comandanti alleati ne fecero una sequenza, però, nello sfruttamento del successo. Occorreva non inseguire le forze tedesche, ma annientarle «in loco» al fine di evitare di trovarsele di fronte nelle linee successive di difesa. II 23 maggio viene lanciato da parte alleata un attacco alla «linea Hitler». Kesselring vi aveva fatto affluire parte delle riserve ed aveva sguarnito il fronte di Anzio, ora presidiato da sole cinque deboli divisioni di fanteria con qualche mezzo corazzato.
Le forze alleate della testa di ponte, al comando di Truscott, dovevano attaccare e puntare, con andamento est, ad obiettivi successivi per chiudere ogni via di ritirata alle forze tedesche. Il 24 maggio, dopo che i polacchi e i canadesi avevano conquistato Piedimonte, determinando il crollo della «linea Hitler», Truscott lancia all’attacco i suoi uomini e in breve conquista Cisterna: l’obiettivo successivo era Valmontone. Le avanguardie di Truscott sono a pochi chilometri dalla cittadina: se si fosse riuscito ad occuparla, in breve tempo la Statale 6 sarebbe stata bloccata e la ritirata dei tedeschi preclusa. Per il generale Alexander già si profilava il trionfo: sfondato Cassino, annientate le forze tedesche.
Un madornale errore di Clark, comandante la 5ª Armata americana, compromise tutto. All’ultimo momento questo generale cambia il programma ordinando alla sua 5ª Armata di trascurare Valmontone e di puntare su Roma. Vi erano diverse ragioni per raggiungere Roma, ma soprattutto Clark era ossessionato dall’idea di non essere il primo a raggiungere la capitale italiana. In poche parole Clark cambia gli ordini temendo che l’8ª Armata inglese l’avrebbe preceduto a Roma. Un timore, per giunta, infondato. Nel dopoguerra le critiche furono asperrime per Clark.
«Ho sempre ritenuto che se il generale Clark avesse seguito fedelmente gli ordini di Alexander, se non avesse mutato la direzione del mio attacco – scrive Truscott nelle memorie – avremmo realizzato in pieno l’obiettivo strategico di Anzio. Giungere per primi a Roma fu ben magro compenso a questa occasione perduta».
Grazie alla voglia di Clark di correre e di essere il primo, i tedeschi salvarono gran parte delle forze che poi gli alleati si trovarono di fronte sulla Linea Gotica.
La guerra in Italia sarebbe continuata un altro anno, con tutto il corollario di tragedie e distruzioni. In compenso Clark arrivò per primo a Roma: la 5ª Armata il 2 giugno iniziò l’avanzata e domenica 4, nelle prime ore del mattino, i primi carri americani entravano in città.
Lo slancio offensivo delle due armate alleate, se non frenato dal desiderio infantile di questo generale, le avrebbe condotte fino alla barriera alpina; si esaurì invece con la conquista di Roma. Private nei mesi successivi di ben sette delle migliori divisioni, si sarebbero arrestate sulla Linea Gotica. I tedeschi potevano respirare.
Chi invece non respirò e subì atroci violenze furono gli abitanti delle zone di Monte Maio e di Monte Petrella. Superati i capisaldi tedeschi i «goumiers» si trovarono di fronte solo paesi indifesi e ricchi di prede. Inizia un saccheggio senza precedenti. Per due settimane la popolazione inerme rimase in balia dei marocchini. I paesi più martoriati furono Ausonia ed Esperia. Qui in pratica nessuna donna sfugge alla violenza. Si devono registrare anche casi pietosi: madri che si fanno uccidere per salvare le figlie, uomini che subiscono la stessa sorte delle donne che tentano di difendere. Ad Esperia una donna di oltre ottanta anni e sua figlia di sessanta subiscono la stessa sorte. In totale si denunciano oltre 500 vittime di tali violenze; ma molti casi non vengono denunciati. Le truppe marocchine e francesi, dopo Roma, non saranno più impiegate in Italia. Con queste belle gesta i marocchini di Juin credono di riscattare l’onore della Francia. La pugnalata alla schiena del 10 giugno 1940 è viva e i francesi si sfogano contro Ausonia e Esperia, dove perfino il parroco subisce la violenza sul sacrato della chiesa. Inutile accusare i marocchini o i francesi per le loro nefandezze o gli alleati per i loro errori infantili che costarono un altro anno di guerra al nostro popolo; sarebbe più utile meditare sulle manie imperiali di conquista e sull’operato di chi, con la guerra, aveva scatenato tante tragedie.
(da Patria Indipendente n. 8 del 1994)
Pubblicato lunedì 20 Maggio 2019
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