Luigi Cancrini, uno dei più stimati psichiatri italiani, ritiene che quello che stiamo vivendo sia un tempo di ascolto e di dolore condiviso che fa bene a tutti. La pandemia è “un’opportunità per scoprire vicinanza e solidarietà (…). Il nemico è esterno all’umanità e gli uomini sono costretti ad unirsi per far fronte alla comune minaccia (…). Non è quindi il tempo dell’odio e della guerra ove per sopravvivere si è costretti ad uccidere l’altro!” (Repubblica del 29 marzo 2020). Ma lo stesso Cancrini afferma che “il nostro Paese, come tutto l’Occidente, è malato di narcisismo: avendo a disposizione tutto, tendiamo a sentirci onnipotenti, al tempo stesso sospettosi verso il prossimo, considerato una minaccia per i nostri beni”. Quindi avverte che “nel pericolo prevale l’istinto di sopravvivenza”.

Da coerente uomo di sinistra, Cancrini vede nella eccezionalità della situazione (la comune minaccia da parte di un nemico esterno) il rafforzamento del sentimento di vicinanza e di solidarietà. Ed è la conclusione logica di un ragionamento condivisibile non solo da un punto di vista etico, ma anche pratico-esistenziale.

Luigi Cancrini, psichiatra e psicoterapeuta, docente, fondatore e presidente del centro studi di terapia familiare e relazionale (foto Imagoeconomica)

“Finita l’emergenza – conclude Cancrini – dovremmo sforzarci di mantenere intatto questo sentimento di vicinanza” temendo che “la coesione prodotta dall’eccezionalità possa venir meno con l’esaurirsi del virus”.

Questo per quanto riguarda l’“emergenza sanitaria”.

Ma molto più difficile, a parere degli economisti, sarà uscire dall’“emergenza” derivante dalla conseguente, inevitabile e spaventosa crisi economica e sociale, con il rischio di un ritorno all’individualismo, all’egoismo del “si salvi chi può”, ove questa “crisi” dovesse essere gestita a livello europeo non in termini di solidarietà da parte dei Paesi più forti verso i più deboli.

Il male quindi non è solo l’“epidemia”, dalla quale  lucidamente si potrà uscire solo con l’aiuto reciproco, con la solidarietà. È quanto sostiene anche il Cardinale Matteo Zuppi di Bologna nell’intervista rilasciata a Wlodek Goldkorn (l’Espresso del 15.3.2020).

Dall’“epidemia” in un primo momento così registrata dall’OMS si è poi passati alla definizione di pandemia da parte della stessa Organizzazione Mondiale della Sanità. Ma in tutta l’intervista del Cardinale di Bologna non si esita a ricorrere al termine “apocalisse” in una lettura quasi biblica degli attuali catastrofici avvenimenti.

E qui senza nessun esplicito richiamo alla letteratura apocalittica giudaico-cristiana sulla profetica “rivelazione” in ordine al destino ultimo dell’umanità, il Cardinale Zuppi, che viene dalla lunga militanza nella comunità di Sant’Eligio, – in sintonia con Papa Bergoglio (“le cose si capiscono dalle periferie”) e con il laico di sinistra Cancrini – afferma come “l’amore sia l’unico modo per vivere nell’apocalisse” (anche se “l’apocalisse mette alla prova l’amore perché è facile voler bene quando le cose vanno bene e quando il Male è solo un’ipotesi teorica”). Il Cardinale invita ad una lettura laica di Cristo che “sta dalla parte dei vinti” (“Beati gli afflitti!”), degli ultimi, che sono le prime vittime delle tante apocalissi, del mondo che si distrugge”.

Lo scenario quindi per il Cardinale Zuppi è l’apocalisse, di cui la pandemia può costituire il segnale rivelatore.

Il Cardinale Matteo Zuppi con Papa Francesco (da https://www.vaticannews.va/content/dam/vaticannews /multimedia/2019/09/01/07667_01102017.jpg/_jcr_ content/renditions/cq5dam.thumbnail.cropped. 750.422.jpeg)

Ma se non dovesse prevalere il sentimento d’amore, di vicinanza e di solidarietà tanto auspicato sia dalle autorità religiose (e certamente non solo cristiane, ma di tutti i credi), sia dalle personalità laiche, e dovesse affermarsi il Male più grave, l’egoismo, a fronte di crescenti, terribili e ingovernabili difficoltà e condizioni immiserite di vita?

Se dovesse prevalere in questo scenario apocalittico l’homo homini lupus, il mors tua, vita mea, l’indifferenza nei confronti degli altri dettata dalla paura anziché la “compassione”, l’amore per il prossimo, per l’altro?

I tanti episodi di solidarietà e di vicinanza a cominciare da quelli posti in essere da chi in prima fila sta combattendo contro il morbo sono un bene rasserenante e prezioso, come anche la testimonianza da più parti di questi valori e sentimenti di cosciente umanità.

Nel suo intervento sul Financial Times Mario Draghi ha definito l’attuale flagello di dimensioni bibliche ed ha invitato la UE ad assumere provvedimenti eccezionali per garantire il reddito di chi perde il lavoro, per evitare che le imprese falliscano, il che è possibile solo con alti debiti pubblici, ha sostenuto con forza.

Di fronte alle conseguenze di carattere socio-economico di questa sciagura collettiva, non facilmente affrontabili in tempi brevi, è ancora da raggiungere una piena unità di intenti a livello europeo.

La pandemia tuttavia con il suo incalzare e persistere ha costretto i leader europei – già in passato sostenitori ad oltranza dei draconiani criteri stabiliti a Maastricht – dopo alcuni mesi di indecisioni, di estenuante ricerca di un punto di approdo, a valutare e ad effettuare scelte assolutamente innovative.

La basilica di San Servazio in piazza Vrijthof a Maastricht in Olanda (da https://www.turismo.it/oltreconfine/articolo/art/maastricht-nel-cuore-dellolanda-pi-antica-id-21847/)

Si è aperta così una prospettiva di rottura di fatto con un passato di ottuso rigore, come è avvenuto per la Grecia. Si è avvertita quindi l’esigenza di un processo di sviluppo più razionale ed improntato, malgrado le resistenze di alcuni Paesi cosiddetti “frugali” (eufemismo per dire egoisti) Olanda, Svezia, Danimarca, Austria in particolare ed altri adepti, ad un maggiore senso di responsabile solidarietà rispetto ad uno scenario catastrofico soprattutto dal punto di vista economico-sociale con conseguente disoccupazione di massa, che non può non mettere in discussione, se non in serio pericolo, gli stessi assetti democratici dei singoli Paesi membri più a rischio ed alla fine la stessa  sopravvivenza  dell’Unione Europea. Si tratta di scelte di cui sarebbe da ciechi sottovalutare la grande importanza o sminuirne la portata storica: a cominciare dalla stessa sospensione del Patto di Maastricht, che fu definito dal Presidente Prodi in anni successivi alla sua sottoscrizione “stupido”, perché incapace di far fronte alle emergenze ed agli inevitabili mutamenti dell’economia mondiale sempre più interdipendente. A questa decisione si aggiunga quella dei finanziamenti a fondo perduto, nonché l’accettazione di fatto del principio di un debito comune europeo – sinora respinto perché considerato assolutamente vietato – in funzione del necessario rilancio dell’economia. Questo però non riguarda i debiti del passato. Si tratta in sostanza del finanziamento dello stesso bilancio europeo per avviare la crescita attraverso l’emissione di bond da parte della Commissione.

La stessa adozione di misure per la cassa integrazione, la possibilità di accedere ai prestiti della Banca Europea degli Investimenti, nonché eventualmente del Fondo Salva-Stati, a condizioni ora del tutto accettabili, insieme agli altri adottandi provvedimenti di sostegno ove risultino positivi gli esiti dei negoziati, tutto questo costituirà una indubbia svolta in senso europeista che cambierà il volto triste dell’attuale UE e rinvigorirà la speranza di una costruzione europea coerente con i principi ispiratori del Trattato di Roma e rispondente alle aspettative di coloro che continuano a volerne l’esistenza.

Le avversità, le resistenze, remore e diffidenze all’interno dell’Unione non sono ancora superate e risolte. Le trattative restano difficili. Di fronte ad una crisi che non ha precedenti nella storia si impongono scelte coraggiose, decise e lungimiranti per non posticipare solo per qualche tempo la fine dell’Unione. Ad essa non risulta, allo stato, sussistere alcuna alternativa sostenibile e realizzabile, dal momento che chiusure egoistiche e nazionalistiche rendono tutti perdenti. Per quanto riguarda il nostro Paese, a fronte di uno scenario che resta molto difficile anche “passata la nottata” – speriamo al più presto – occorre evitare ogni spreco ed adottare un piano di investimenti e di interventi nella consapevolezza che il bilancio dell’Unione – considerato l’ammontare delle risorse che saranno messe a disposizione dell’Italia – non è in ogni caso “il campo dei miracoli”.

C’è tuttavia anche chi ritiene – e qualcuno da tempo – che la soluzione stia nella uscita da questa “gabbia europea” e nel ritornare ad una moneta nazionale come panacea. Tutto questo malgrado le conseguenti enormi difficoltà di reperire sui mercati internazionali, nelle attuali condizioni del bilancio e del debito pubblico, le necessarie risorse per far fronte a tutte le emergenze non solo sanitarie, ma soprattutto socio-economiche.

A questo punto la memoria non può non andare ad alcuni avvenimenti del passato.

La stampa di moneta nazionale ci ricorda per certi versi quelle “am-lire”, messe in circolazione durante l’occupazione alleata con il dollaro come valore di riferimento (stavolta l’euro?), con tutta la pesante inflazione che ne discese e l’impoverimento soprattutto dei salariati, stipendiati e dei pensionati.

Ed occorre tener presente che rispetto alla situazione che ha visto per due mesi il “tutti a casa” e non si è ancora pienamente risolta, all’epoca delle am-lire gran parte della popolazione era comunque attiva e dedita alla produzione ed alla ricostruzione.

Più vicina all’attuale contesto nazionale fu la situazione nella Polonia di Solidarnosc, dove per lunghissimo tempo si susseguirono scioperi riguardanti una notevole parte della popolazione che comunque seguitava a ricevere le proprie retribuzioni. Ma all’epoca, in funzione anti-regime, non mancarono ingenti sostegni finanziari degli USA, dello IOR Vaticano, di tanti Paesi e di tante altre organizzazioni, compreso in Italia il Psi di Craxi. In Polonia non si lavorava, ma in un Paese socialista, per la “contradizion che nol consente”, non si poteva restare senza paga.

Salterà l’Unione Europea? O salterà l’Europa per i Paesi più deboli (con sollievo forse di quelli più forti)?

Di fronte all’esigenza di assicurare a tutti quelli che resteranno inoperosi (decine di milioni di inoccupati forzati oltre ai milioni di disoccupati) i necessari mezzi di sopravvivenza, senza la UE c’è il rischio reale che possano disgregarsi le stesse istituzioni del nostro Paese, a cominciare dalle banche per il dissesto dell’economia sino alle altre strutture fondamentali e non ultime a quelle sanitarie.

In questo contesto, con alcuni segnali premonitori che già si vanno registrando, c’è ampio spazio per jacqueries urbane, per sommosse frutto di esasperazioni legittime o meno.

Dati gli attuali rapporti di forza, nell’angustia di false soluzioni nazionalistiche è ipotizzabile solo un colpo di mano, ovviamente di destra, per fronteggiare l’imperversare degli eventi. A meno che non prevalga un rinnovato senso dello stare insieme in una Unione Europea più fedele ai principi ed ai valori fondativi della solidarietà tra gli Stati membri.

In mancanza di tutto questo è quasi scontato che sul piano internazionale alcune grandi potenze (USA, Cina, Russia, in primo luogo) e Paesi come Germania ed altri riusciranno comunque a superare, non del tutto indenni, le disgrazie presenti. Altri Paesi invece, come la nostra Italia, la Spagna, la Grecia, ecc., subiranno un pauroso e grave declino. Senza la UE, senza un forte sostegno della BCE in prosecuzione della linea affermata in passato da Mario Draghi c’è solo il rischio fattuale di un’uscita da destra dalla Unione europea, con tutti i correlativi fenomeni di svalutazione e di inflazione che finiscono sempre per colpire essenzialmente i ceti più deboli ed in particolare quelli a reddito fisso.

Luigi Marino, del Comitato Nazionale dell’Anpi