Il 28 gennaio 1944, a Bari, mentre mezza Italia è occupata e lo sarà per quasi un altro anno e mezzo, i partiti antifascisti si riuniscono per immaginare il futuro del Paese libero. Le speranze di una giovane generazione resistente, destinate a essere presto deluse, attraverso la storia di Franz Brunetti, futuro insigne prof che amava l’impegno civile
Trani. Stazione. Il treno è in partenza. Il capostazione ha fischiato. Adesso si toglie il berretto. Si asciuga la fronte. Incrocia lo sguardo di suo figlio.
Il 25 luglio 1943 si festeggia la caduta di Mussolini
Non sappiamo se in quella notte di veglia, che porta la data del 25 luglio 1943, padre e figlio finalmente estrarranno dalla polvere ventennale la camicia rossa del nonno, giovanissimo Garibaldino.
Sappiamo però che il figlio del capostazione, 16 anni compiuti a febbraio, quella notte decide da che parte stare. E sappiamo anche che il giorno dopo si farà prestare una bicicletta; nel centro di Trani, vedrà la rotta del regio esercito e i soldati sotto tiro tedesco; e qualcuno gli dirà di quei pochi militari che, arrivati dalla Calabria, hanno tentato una prima resistenza armata alle soglie della città. In stazione, suo padre al telegrafo già comunica con le truppe angloamericane.
Verrà l’inverno sull’Italia insanguinata; e il figlio del capostazione per un giorno diserterà il severo liceo classico di Trani e, arrivato di nascosto a Bari con alcuni compagni, sarà nella folla davanti al teatro Piccinni, con le orecchie tese a carpire le prime parole di libertà: quelle di Benedetto Croce sul palco del primo congresso dei partiti antifascisti.
Bari, Teatro Piccinni, il 28 gennaio 1944 si apre il primo Congresso dei partiti antifascisti riuniti nel CLN
Ė il 28 gennaio 1944, e il figlio del capostazione sta per incontrare le bandiere del partito d’azione che, il primo maggio 1944, a Bari, sventoleranno accanto a quelle rosse del partito comunista.
Il figlio del capostazione si chiama Franz Brunetti.
Il professor Franz Brunetti
Per chi firma questo pezzo, Franz Brunetti è stato uno dei professori prediletti al corso di laurea in storia della filosofia sul finire degli anni 70.
Così, quanto scrivo altro non è se non la narrazione del nostro ultimo colloquio, prima che la pandemia imponesse il blocco e lui se ne andasse, addormentandosi piano piano, e, io spero, senza soffrire.
Riandando ai suoi anni migliori, egli mi disse della sua splendente esperienza all’Università Normale di Pisa dove fu ammesso nell’autunno ’45; del suo batticuore alla cerimonia nel corso della quale le mani di Togliatti consegnano al direttore della Normale, Luigi Russo, i manoscritti delle “Lettere” di Gramsci dal carcere fascista; della gioia intellettuale dei sei anni trascorsi a Firenze, alla redazione della prestigiosa rivista “Belfagor”, chiamato, fresco di una laurea conseguita nel ’49 con Cesare Luporini, su segnalazione di Aldo Capitini, insigne filosofo antifascista; del suo incontro con la classe operaia, ossatura e forza dirigente di un partito che, non solo in ragione del tanto sangue versato nella lotta di Liberazione, ma per la forza delle idee, si candida a governare lo Stato.
Con la sua tessera del Pci nel portafoglio, con la sua esperienza di studi e la sua passione di ricerca, orientata su sentieri europei che troncano la dominanza della tradizione idealista e crociana, primissimi anni 50, sarà la nebbia di Pavia ad accoglierlo. E non saranno giorni di letizia: perché al mio professore, all’epoca funzionario del Provveditorato agli studi, verrà consigliato, quella tessera, di tenersela ben nascosta. Non sarebbe gradita né al Provveditore dell’epoca di dichiarata simpatia per il ventennio, né a quella tanta parte della buona borghesia che, uscita stordita dalla Resistenza, adesso si assopisce nel sonno della ragione e si allinea al paradigma anticomunista del nuovo corso di Scelba e Tambroni.
Non sarà la moglie Rosa, sempre presente e gentile, a interrompere la nostra conversazione. Sarà la sua faccia improvvisamente stanca, sotto il sorriso che non gli viene mai meno: “vedi, i comunisti però quando si cercano alla fine si trovano, e così ci trovammo ad abitare nella stessa periferia nord di Pavia, poche strade come una cittadella felice di idee e di passioni comuni: Ludovico Geymonat, Franco Alessio, Renato Tisato, Emilio Agazzi; compagni e colleghi. Il resto della mia vita? Beh, forse quella appartiene alla cronaca” (Franz Brunetti in “Arrivederci Bandiera Rossa”, ed. La Barriera).
Ciao prof. Ovunque tu sia.
Annalisa Alessio, comitato provinciale Anpi Pavia
Franz Brunetti, nato a Giovinazzo (BA) il 24 febbraio 1927, cresciuto a Trani. Dal 1953 assistente volontario di Ludovico Geymonat, allora ordinario di Storia della filosofia nell’Ateneo pavese. Successivamente professore di Filosofia morale, professore emerito nel 1997.
Consigliere comunale del Pci a Pavia nella giunta Veltri, dal 1970 al 1975 membro del primo Consiglio della Regione Lombardia.
Il professor Brunetti ci ha lasciato il 30 dicembre 2020.
Pubblicato venerdì 28 Gennaio 2022
Stampato il 25/05/2022 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/ci-guidavano-le-stelle/il-figlio-del-capostazione-una-bandiera-e-il-primo-congresso-del-cln/
Periodico dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia
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