All’inizio dell’anno accademico 1931-’32, i 1.225 docenti universitari furono invitati a firmare un modulo, con l’obbligo di prestare giuramento al fine di formare cittadini devoti “alla Patria e al Regime fascista”.
Solo 12 non si piegarono all’imposizione, perdendo la cattedra e il diritto alla liquidazione e alla pensione. Giorgio Errera, dal 1917 docente di Chimica organica presso l’Università di Pavia, fu uno di questi.
Alla figura del docente, nato a Venezia da una famiglia ebrea di origine sefardita, l’Anpi provinciale in collaborazione con l’ateneo e con l’Istituto pavese per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea (Istoreco), ha dedicato il 16 ottobre scorso un convegno dal titolo “L’Università in camicia nera. Il caso pavese e il rifiuto di Giorgio Errera al giuramento del 1931”. L’iniziativa si è inserita nel progetto nazionale promosso da Anpi “C’è chi disse di no” e che, nel 90° anniversario dell’obbligo di giuramento, ha visto coinvolti gli atenei dove insegnavano 12 docenti che si rifiutarono di giurare.
I lavori, coordinati da Pierangelo Lombardi, direttore dell’Istoreco pavese, sono stati introdotti dal duplice intervento di Claudio Maderloni per la Segreteria nazionale Anpi e da Luca Casarotti, componente del comitato provinciale dell’associazione.
Dai rigurgiti nostalgici e dai giudizi minimizzatori sul fascismo sempre più diffusi nel discorso pubblico ha preso le mosse Maderloni per illustrare il progetto di Anpi nazionale e il filmato ( destinato a promuovere l’iniziativa. Il richiamo alla necessità di un continuo esercizio di memoria si accompagna, secondo Maderloni, all’esigenza di contestualizzare, partendo proprio dalle università in cui hanno insegnato coloro che rifiutarono il giuramento, valori fondanti ereditati dall’antifascismo e dalla Resistenza e richiamati dalla nostra Costituzione sulla libertà di insegnamento, sull’autonomia dall’arte e della scienza, sul ruolo di una cultura in cui se le parole sono pietre anche i silenzi hanno un peso.
Casarotti ha voluto sottolineare la complementarietà («le due fronti del Giano», le ha definite) tra l’anniversario del mancato giuramento di Errera e il centenario di un altro fatto profondamente radicato nella storia e nella memoria cittadina: l’omicidio di Ferruccio Ghinaglia, assassinato il 21 aprile 1921 in Borgo Ticino da un gruppo di squadristi. La successione cronologica dei due eventi, a dieci anni di distanza – ha rimarcato Casarotti – restituisce l’esatta misura del divenire dittatura del fascismo, rivelando le due dimensioni, esistenziale e politica, che nella storia dell’antifascismo italiano sono, per l’appunto, complementari.
Entrando nel vivo dei temi del convegno, con la sua relazione Elisa Signori, docente di Storia contemporanea a Pavia e sicuramente una delle maggiori esperte della storia dell’università durante il ventennio fascista, ci ha consegnato un quadro a tutto tondo della «conquista fascista dell’università». Il 1931, ha sottolineato la relatrice, non è stato l’anno zero per l’annessione dell’università al progetto totalitario. Una stimolante prospettiva comparata con la Germania nazista o la Spagna franchista testimonia la diversità strutturale dell’attacco e una estensione temporale che ha consentito di sviluppare, sulla gradualità di tempi medio-lunghi, il condizionamento del regime nei confronti del mondo accademico.
Signori ha ripercorso le ragioni della scelta, illustrando le tappe principali del processo, i maggiori provvedimenti amministrativi e legislativi, ma anche gli atti di discriminazione politica attraverso i quali si manifestò la strategia di controllo. E ha concluso con due significativi momenti di riflessione, mettendo in rilievo da un lato la necessità di ampliare la tipologia dei casi di rifiuto, non limitandosi ai 12 più noti, dall’altro lato, il significato assunto dal provvedimento del ’31 quale punto di non ritorno per scelte e decisioni successive, in particolare per la generale acquiescenza dell’Accademia al momento dell’allontanamento dei docenti ebrei nel 1938, in seguito all’emanazione delle leggi razziali.
A Paola Vita Finzi, docente emerita che per molti anni ha occupato a Pavia la cattedra che fu di Errera, è toccato il compito di restituirci il profilo dello scienziato. In un articolato e documentato contributo, ne ha evidenziato il grande spessore scientifico nonostante, a parere della relatrice, una minore notorietà rispetto ad altri casi considerati.
Vita Finzi ha ripercorso i momenti più significativi della vita accademica di Errera, dagli studi a Padova e a Torino, alla cattedra di Messina (dove, tra l’altro, per effetto del disastroso terremoto del 1908 vide distrutto anche il suo Istituto, perse la consorte e anch’egli rimase a lungo sotto le macerie), al breve periodo palermitano fino al trasferimento all’ateneo pavese nel dicembre 1917, dove fu titolare di Chimica generale nella facoltà di Scienze e incaricato di Chimica organica.
Nominato da Giovanni Gentile rettore dell’ateneo per il triennio 1923-26, Errera rifiutò l’incarico per il suo dichiarato disaccordo con i principi e i metodi del governo fascista e fu il solo professore della facoltà di Scienze, nel 1925, a sottoscrivere l’antimanifesto redatto da Benedetto Croce in opposizione al “Manifesto degli intellettuali fascisti”.
E l’unico professore che, a Pavia, non volle giurare “allegando problemi di coscienza”. La sua epurazione assunse la forma della collocazione a riposo (anzitempo) con la formula dell’avanzata età e anzianità di servizio. Giorgio Errera morì a Torino il 1° dicembre 1933. Vita Finzi ha inoltre ripercorso le tappe principali dell’attività scientifica di Errera, ponendo l’accento sull’alto valore scientifico unito alla grande coerenza dell’uomo, sempre attento a evitare qualsiasi compromesso con la dittatura, anche se alieno dalla lotta politica. Infine ha ricordato che l’Università di Pavia gli ha dedicato una lapide, scoperta il 2 dicembre 1997, dove ben a ragione viene definito “saldo negli ideali di libertà civile ed intellettuale”.
Definiti il quadro generale del processo di conquista fascista dell’Università e il profilo biografico di Errera, la seconda parte del convegno è stata caratterizzata dagli interventi di alcuni giovani e brillanti studiosi della scuola storica pavese che hanno messo a fuoco alcuni momenti di contesto di quell’azione graduale, ma non meno impositiva, di assoggettamento e di controllo della società pavese nelle scienze e nell’insegnamento, nello sport e nella propaganda.
Andrea Pozzetta, autore di una approfondita biografia appena pubblicata di Ettore Tibaldi, un altro accademico, docente di Patologia medica, ha illustrato il suo caso: fu licenziato nel 1926, anni prima quindi del diktat del giuramento, a dimostrazione dei diversi meccanismi attuati nel percorso di fascistizzazione dell’Ateneo pavese. Sarà proprio l’attività antifascista di Tibaldi all’interno dell’Università – Tibaldi era leader dell’Associazione nazionale combattenti e aderente a Italia libera – a richiamare l’intervento del prefetto e a far sì che si intensificassero le pressioni nei confronti del suo maestro Achille Monti per allontanare l’allievo dall’Università. Adducendo laconiche e imprecisate «ragioni di indirizzo scientifico», il 1 ottobre 1926 Monti presenta ufficialmente la comunicazione di mancata conferma all’insegnamento, ratificata, qualche settimana dopo, del ministero della Pubblica Istruzione.
Dello sport quale parte costitutiva del progetto totalitario fascista si è occupato Michele Cattane, rilevando come la storiografia italiana abbia sottovalutato il ruolo dell’attività sportiva all’interno dei gruppi universitari fascisti, i Guf, con il nuovo profilo della goliardia promosso dal fascismo, la pratica sportiva era elemento mirato a dare forma al progetto totalitario e a veicolare la fascistizzazione integrale del mondo studentesco universitario. E ne diventa misura e termometro dei successi del fascismo, ma anche degli insuccessi nell’esercizio della funzione di controllo. Per la realtà pavese, poi, il binomio collegi e sport si trasforma nel coefficiente funzionale alla creazione di una specifica identità, specie dopo il ’23 con la perdita del monopolio universitario regionale in seguito alla nascita dell’ateneo milanese.
Ne è prova l’epopea che accompagna nel 1929 l’istituzione, e poi lo sviluppo, della regata Pavia-Pisa con la retorica della “piccola Oxford sul Ticino”. Se è vero, comunque, che la pratica sportiva è parte strutturale dello sforzo di penetrazione nel mondo studentesco e misura funzionale al disciplinamento, al controllo e alla discriminazione all’interno della comunità accademica – ha precisato Cattane – nella dialettica tra propaganda, normativa e realtà concreta emergono anche le contraddizioni nell’affermazione del processo messo in atto in una realtà come quella pavese.
La stampa dei gruppi universitari fascisti è stato l’argomento dell’intervento di Emmanuele Maria Bianchi, che ha messo a fuoco le varie fasi della rivista del Guf pavese, “Il Campanaccio”, dalla breve esperienza del biennio 1928-29 al momentaneo ritorno per cinque numeri nel ’43. Bianchi ha messo in luce il carattere strettamente politico del foglio, laddove nella sintesi tra patria, nazione e fascismo doveva saldarsi culto degli eroi della Prima guerra mondiale e dei caduti dello squadrismo. In linea con i continui distinguo tra veri fascisti e non, frequenti erano gli attacchi contro i gerarchi che avrebbero aderito al regime solo per il proprio tornaconto.
Poco interessata alla cosiddetta “rivoluzione corporativa” e molto allo sport quale strumento per forgiare l’italiano nuovo, fascista e guerriero, la rivista del Guf pavese era attenta ai temi di politica internazionale, in linea con l’orientamento discriminatorio fascista sul ruolo della donna, ossequiando la politica demografica del regime. Tuttavia, grazie ad Annibale Carena, la redazione del giornale non manca di spingersi, talvolta, fuori dai confini dell’ortodossia fascista (ad esempio sul tema dei rapporti con il mondo cattolico).
A Sara Pizzi, responsabile del Sistema archivistico dell’Ateneo pavese, è toccato il compito di concludere la riflessione sulle politiche di rimozione dei docenti non allineati al regime. L’esame e l’illustrazione di alcune carte dell’archivio storico dell’Università, alcune pratiche generali relative ai docenti e alcuni fascicoli personali, insieme alle circolari e ai provvedimenti normativi e legislativi, hanno così consentito al numeroso pubblico di entrare in contatto con una preziosa “cassetta degli attrezzi” per la ricostruzione storica, testimoniando uno straordinario patrimonio documentale d’archivio sull’Università di Pavia in periodo fascista.
Possiamo affermare anche per la partecipazione e l’attenzione riservata all’iniziativa che la conoscenza delle vicende storiche ci offre la possibilità di riflettere sulla fragilità della democrazia di fronte alle sfide (e alla capacità di mobilitazione) di ideologie integraliste, intolleranti e brutali.
Pierangelo Lombardi, direttore Istituto per la Storia della Resistenza e della Società contemporanea, Istoreco, Pavia
Pubblicato venerdì 17 Dicembre 2021
Stampato il 13/12/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/cittadinanza-attiva/il-solo-no-al-fascismo-dellateneo-di-pavia/