All’indomani della Liberazione, in un Paese dove l’economia era ancora prevalentemente agricola, il movimento contadino è protagonista di una lunga e durissima stagione di battaglie per riscattarsi da formidabili diseguaglianze, povertà e servitù. Spesso polizia, carabinieri, esercito reprimono le mobilitazioni e sparano sui manifestanti, arrivando anche a uccidere. Nel Mezzogiorno le lotte cominciarono già con la svolta di Salerno dell’aprile 1944, quando si formò il primo governo aperto ai sei partiti antifascisti riuniti nel Comitato di Liberazione Nazionale. Tra i ministri, all’Agricoltura venne scelto Fausto Gullo, avvocato calabrese, comunista, eletto deputato nel ’24, poi arrestato e condannato al confino dal Tribunale speciale e infine costretto all’esilio. Grazie a Gullo e ai decreti “Concessioni ai contadini delle terre incolte”, i lavoratori delle campagne si organizzarono e in Sicilia, soprattutto, la lotta contadina assunse una forza, una dimensione e una durata da epopea. Ma i grandi feudatari non restarono a guardare e la mafia, braccio armato di quel potere, ammazzò decine e decine di dirigenti politici e sindacali, di contadini e braccianti impegnati nella protesta. Oltre alle stragi più note, come quella di Portella della Ginestra, altri eccidi scandirono la storia isolana del secondo dopoguerra. A Sciara, è ambientato il racconto-testimonianza dell’allora giovane segretario palermitano della Fgci, Ottavio Terranova, oggi presidente provinciale dell’Anpi. (Ndr)
Sull’aia le donne raccolsero il grano che gli uomini con i loro rudimentali attrezzi avevano sollevato aiutati dal vento e dalla forza delle loro braccia.
Sapevamo che anche quell’anno l’amministratore del barone avrebbe tentano di dividere a metà il grano raccolto, dopo avere recuperato i costi anticipati per le sementi e per i piccoli acconti concessi ai mezzadri durante l’anno.
Con Lucia avevamo deciso di portare con noi la copia del decreto emanato dal Ministro comunista Fausto Gullo, che riconosceva ai mezzadri, per la prima volta, il 60% del frutto di un anno del loro lavoro.
La presenza dell’amministratore e del campiere non faceva prevedere nulla di buono per i nostri contadini che avevano posto uno su l’altro i sacchi di iuta pieni di grano, assegnandone quattro al proprietario e sei per il loro lavoro.
Il campiere con il suo cavallo spinse violentemente uno dei contadini, bloccò gli altri e gridò forte e con minaccia “non si deve fare così, ma così” e ricompose i sacchi “come aveva sempre fatto per diritto”, disse lui, o forse per tradizione, poi sciolse uno per volta i sacchi di grano e li riversò con evidente rabbia, sotto gli occhi compiaciuti dell’amministratore del barone, su di un tendone e ricominciò a dividere il grano, rasando con una canna solo la misura agricola destinata ai mezzadri.
La giovane compagna Lucia balzò sul tendone appena steso dal campiere agitando la Gazzetta ufficiale che sanciva le nuove norme di ripartizione del prodotto, allora il campiere gridò: “ora ci sunnu puru i fimmini…”.
Il campiere tentò ancora, con strano garbo, di convincerci a non insistere per il rispetto del nuovo decreto in quanto, a suo dire, senza la nostra presenza avrebbe ripartito quel grano come gli altri anni.
Continuammo a leggere ad alta voce e con fermezza gli articoli di quella nuova civile legge e le donne dei mezzadri e i loro figli ci applaudirono.
Fu a questo punto che l’amministratore e il campiere chiesero l’intervento dei carabinieri accusandoci di avere violato la loro proprietà.
I mezzadri dichiararono con coraggio che eravamo stati invitati ad assisterli e i due giovani carabinieri, dopo avere preso atto della loro testimonianza e di quanto prevedeva la nuova norma di legge, senza battere ciglio, si allontanarono.
Così per la prima volta anche i lavoratori di quel cascinale sperduto poterono ricomporre i sacchi di grano, nella nuova misura che un ministro del primo governo di unità nazionale dopo la Liberazione, con il suo rivoluzionario decreto aveva sancito.
Quella notte, con Lucia accettammo di dormire anche noi sui sacchi di grano per proteggerli dalle minacce e dalle prepotenze del padrone.
La luna ci fece compagnia tutta la notte e di buon mattino, prima di lasciare quelle belle e coraggiose famiglie, ci venne servita una gustosa e abbondante colazione con latte appena munto, biscotti di mandorla che le donne avevano preparato durante la notte, una fumante frittata con ricotta, fave verdi ed asparagi selvatici; mentre i loro uomini ci invitarono a bere del buon vino rosso, che ci ricordò il colore delle nostre bandiere, e sorseggiandolo vi sentimmo i tanti profumi di quella forte ed amara terra.
Prima di allontanarci con la vecchia corriera che ci avrebbe portato da lì a poco in altri siti agrari, i nostri amici contadini ci salutarono con affetto e gratitudine, mentre i bimbi già ballavano sul grano appena conquistato, come a volerci dire che a difenderlo vi erano anche loro, e poi mossero verso di noi le tante manine bruciate dal sole come i volti dei loro genitori.
Era una bellissima cartolina da portare con noi, e Lucia con i suoi grandi occhi scuri mi guardò a lungo trasmettendomi il suo messaggio di gioia, di vittoria e, forse, anche di affetto.
Poi ci ricordammo che tra quelle tortuose colline che ci avevano ospitati per due giorni accanto ai lavoratori della terra, la mafia agraria al servizio della nobiltà della città e delle campagne, qualche mese prima, aveva brutalmente ucciso il sindacalista socialista Salvatore Carnevale.
Ottavio Terranova, presidente Anpi Palermo
Pubblicato venerdì 7 Dicembre 2018
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