Roma, 9 marzo 2024. Mario Vallone, presidente provinciale Anpi Catanzaro, il primo a sinistra, durante la manifestazione nazionale per chiedere di fermare il massacro in Medio Oriente e per la libertà di espressione dopo i fatti di Pisa, dove studenti minorenni sono stati manganellati dalla polizia (foto Valentina Giunta)

“C’è qualcuno che vorrebbe che l’Anpi fosse solo una fondazione dedita ai necrologi. Noi pensiamo invece che debba avere un ruolo attivo, oggi più che mai”. Mario Vallone, presidente del Comitato provinciale di Catanzaro e membro dell’Comitato nazionale Anpi, parte dalla prossima Conferenza di Organizzazione partecipata dalle Sezioni del Mezzogiorno per poi ragionare a tutto tondo sul ruolo dell’associazione dei partigiani oggi, tra la recrudescenza delle guerre e la situazione economica e sociale italiana.

Vallone, cominciamo dall’inizio: come nasce il suo impegno per l’Anpi in una regione particolare come la Calabria?

Durante quella fase di revisionismo, poi diventata negazionismo, dei primi anni 2000 scatenata dai libri di Giampaolo Pansa e Bruno Vespa; a Catanzaro fondammo l’associazione “25 aprile” perché non era ancora materialmente possibile iscriversi all’Anpi. Parallelamente, per ragioni familiari, mi ero trovato ad approfondire la questione dei partigiani nel cuneese.

Lo scatto è del secondo dopoguerra, ma la dignità e l’orgoglio che dimostra riassume le lotte contadine portate avanti durante il regime

A lungo in Italia è stata coltivata l’idea che la guerra di Liberazione riguardasse solo il Nord, non solo in senso geografico. La sconfitta del nazifascismo in Italia però fu dovuta anche al contributo di pensiero e azione di donne e uomini meridionali.

È vero che in Calabria non abbiamo avuto grandi momenti di Resistenza, se guardiamo ad essa nell’accezione tipica dei combattimenti in montagna. Però ci sono stati diversi episodi di antifascismo prima di quei 20 mesi: rivolte contadine e operaie e atti di decisa opposizione al regime. È stato un grande errore non inquadrare nella lotta di Liberazione queste forme di rivolta verso il fascismo. Senza contare il contributo di tanti giovani calabresi che hanno combattuto in altri luoghi d’Italia e che per decenni non sono stati ricordati dalle istituzioni locali.

(Archivio fotografico Anpi nazionale)

Dimenticati, ignorati?

Un silenzio colpevole per non riconoscere che la Resistenza fosse un atto unitario che ha riguardato anche il Sud Italia. L’Anpi, sotto la presidenza di Carlo Smuraglia, ha fatto invece un grandissimo lavoro su questo tema. Sono le istituzioni ad andare a rilento. Faccio un esempio: già dal 2012 il Consiglio regionale del Piemonte ha dato il via a degli studi sulla partecipazione dei Meridionali alla lotta di Liberazione. Nella Regione Calabria non c’è niente di tutto ciò. Le Anpi calabresi invece hanno recuperato e diffuso in questi anni le storie di centinaia di conterranei di cui andiamo fieri.

Alla manifestazione nazionale del 9 marzo scorso, promossa dalla rete di 120 associazioni e sindacati di cui fa parte l’Anpi, si è sfilato anche contro la malavita organizzata, in vista del 21 marzo, Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie

La Calabria è anche una terra di mafia, questo vi ha condizionato?

È stata una delle prime difficoltà che abbiamo incontrato. Apparentemente può sembrare anacronistico occuparsi di partigiani mentre le priorità di quella terra sono altre. Quindici anni fa si ammazzava anche di più ed è stato laborioso inserirsi in quel contesto. Ci siamo riusciti facendo capire che la lotta per la legalità non è disgiunta dalla giustizia sociale. Non ha senso solo richiamarsi alle regole, alla giurisprudenza. Occorre dare prospettiva di vita migliore ai giovani, alle donne, ai lavoratori. Serve un’antimafia che sia tutt’uno con l’idea di democrazia partecipata, serve la piena attuazione della Costituzione, soprattutto nell’articolo 3: è proprio per questo che costruiamo percorsi con la Cgil, con Libera, con l’Anci e con tante altre associazioni del territorio.

(Imagoeconomica)

Le condizioni del Paese erano diverse quando, due anni fa, il Congresso ha preso l’impegno di costruire la Conferenza, non c’era il governo Meloni, per esempio. Alla luce di questo, qual è oggi l’obiettivo dell’appuntamento di Paestum del 6 e 7 aprile?

Non voglio dare significati impropri alla Conferenza perché l’Anpi al Sud esiste da tempo, è strutturato, attivo, combattivo. Questo appuntamento è strettamente organizzativo ed è utile a tutta l’associazione, non solo al Meridione: è una verifica sul suo stato di salute. Siamo giovani, fino al 2011 non esistevano i comitati provinciali, la loro formazione è dovuta a un impegno straordinario di Luciano Guerzoni, il compianto vicepresidente nazionale vicario scomparso nel 2017. Soffermarsi solo sui numeri non porterebbe a nulla, ma di certo il fatto che al Sud abbiamo 13mila iscritti, gli stessi della sola Milano, ci deve far riflettere su quali possibilità di crescita ci siano, su come rendere le attività dei comitati meno episodiche e i gruppi dirigenti più stabili, su come portare avanti nei prossimi anni le nostre battaglie storiche e quali altre intraprendere.

Cosa le piacerebbe che venisse fuori al termine della Conferenza?

Che l’autonomia differenziata non è una battaglia solo del Sud ma dell’intero Paese, perché non farà altro che aggravare le disuguaglianze sociali ed economiche già in atto. Anche la criminalità organizzata non può essere più intesa come un problema confinato solo in alcune Regioni. Dobbiamo dire con ulteriore chiarezza che l’Anpi, che ha la sua ragione di esistere nel pretendere la quotidiana applicazione della Costituzione, non può lasciare un pezzo di Paese indietro e che occorre un nuovo modo di concepire la “questione meridionale”, come la chiamava Gramsci.

Tanti i giovani dell’Anpi a Catanzaro

Ha dubbi che questo non sia chiaro?

“No, ma non nego che ci sia un po’ di gente che preferirebbe un’Anpi stile fondazione, che si occupasse solo di tre cose e basta: necrologi, 25 aprile e partigiani. Persone che pensano che la nostra associazione nulla c’entri con altri temi urgenti, come appunto l’autonomia differenziata o la situazione di Gaza e quindi ogni tanto bisogna discutere.

Una manifestazione alla spiaggia di Cutro, dove nella notte tra il 25 e il 26 febbraio 2023 un barcone di migranti naufragò a pochi metri dalla costa: morirono 94 persone di cui 34 erano bambini. Ancora non si conoscono le reali responsabilità di quanto accadde

Molti giornali vicini alla destra vi attaccano spesso.

Siamo sotto osservazione e i giornali di destra si scatenano. Sembra che dappertutto si possa discutere e litigare tranne che nell’Anpi: anche la più piccola Sezione che compie una sciocchezza diventa un caso nazionale. Credo dia fastidio a molti un’associazione che è portatrice di ideali e valori che qualcuno considera vecchi, obsoleti, inutili. Ma fare riferimento ai valori della Resistenza e al sacrificio dei partigiani e delle partigiane non vuol dire essere presenti solo alle ricorrenze, sono stati un esempio di impegno, di scelte di vita. Anche oggi intorno a noi ci sono temi che ci impongono di scegliere da che parte stare: migrazioni, clima, scuola, premierato, antifascismo, guerre, diritti umani. L’Anpi è l’unica rimasta a difendere e promuovere i valori nati dalla lotta di Liberazione e questo irrita chi vorrebbe una società scevra dalle istanze della Resistenza, libera da questi riferimenti storici.

Mario Vallone, dall’alto il primo a destra nello scatto, durante una riunione del Comitato nazionale Anpi, nella sede centrale dell’associazione a Roma. Durante i lavori, per intervenire, secondo l’ordine in cui si è chiesto di farlo, ci si avvicina al tavolo centrale dove è pozionato un microfono permettendo di ascoltare anche a chi partecipa online (dettaglio)

Si aspettava lacerazioni sulla questione palestinese?

Abbiamo avuto periodi di dialettica interna molto più accentuati di questi. Voglio ricordare ad esempio le polemiche del 2016 su referendum costituzionale. Con l’allora presidente del Consiglio, Matteo Renzi, e i suoi ministri che ci accusavano di non essere veri partigiani. Questa tiritera sul presunto estremismo dell’Anpi è ormai abusata, la conosciamo e sappiamo come rispondere. Quello che non si capisce fino in fondo è perché qualche nostro dirigente che conosce bene l’associazione e sa che da sempre combatte l’antisemitismo e i discorsi di odio verso Israele e difende ogni minoranza, dipinga l’Anpi addirittura come dalla parte dei terroristi. Mentono sapendo di mentire: il 7 ottobre a piazza San Giovanni, a Roma, noi abbiamo condannato in maniera netta l’attacco di Hamas usando parole chiare. Però non ci possono impedire di condannare ora, con la stessa chiarezza, il massacro della popolazione di Gaza.

A Gaza

È inquietante che con quello che stanno subendo donne e uomini palestinesi, noi in Europa continuiamo ad arrovellarci sulla parola “genocidio”…

Tutti esperti di diritto, ora. Tutti a giudicare addirittura se l’Onu, la Corte Internazionale del Diritti dell’Uomo e gli stessi intellettuali ebrei debbano o meno utilizzare questa parola. Ora: possiamo discuterne anche 10 anni ma dobbiamo aspettare le sentenze prima di dire che a Gaza è in corso un massacro insopportabile? A questo bisogna dare una risposta urgente, poi si stabilirà se sarà genocidio o no, ma a noi oggi spetta di dire da che parte stiamo: se con i carnefici o con le vittime.

(Imagoeconomica, Sara MInelli)

Perché il dibattito, non solo in Italia, è così semplificato su questa questione secondo lei?

Per il vizietto ormai consolidato, di ridurre la storia del mondo agli ultimi 15 minuti, soprattutto quando si parla della Striscia di Gaza. Non basta limitarsi a condannare Hamas, la questione israelo-palestinese è iniziata molto tempo prima. E non bisogna neanche limitarsi a ricordare durante la Giornata della Memoria, che può portare a fare grossolane equiparazioni. Bisogna discutere nelle scuole del significato vero di quella frase “Mai più” che pronunciamo ogni anno. È un messaggio che la storia ci manda per il presente. Eppure i massacri continuano tutti i giorni in ogni parte del mondo, dal Kurdistan al Ciad. Bisogna stare ai fatti, non agli schieramenti precostituiti. Non è così che si affronta la storia.

Un’altra accusa rivolta all’Anpi è quella di “fare politica”.

È un’accusa bizzarra. L’Anpi non si esprime a favore di questo o quello schieramento, di questo o quel candidato, non entriamo nelle dinamiche dei partiti, tanto più in un momento in cui sono deboli e nel Paese c’è una crisi di rappresentanza. Detto ciò, è ovvio che l’Anpi deve avere la capacità di interpretare il momento politico e dare indicazioni. Noi non diciamo per chi votare ma, per fare un esempio concreto, davanti al rischio di una forte avanzata delle destre alle prossime elezioni europee sarebbe ben strano che un’associazione nata dalla lotta al nazifascismo rimanesse neutrale. Di certo non possiamo votare partiti che non hanno nemmeno la pregiudiziale antifascista nel loro Dna. Altra cosa è la lotta contro l’astensionismo, che fa paura. Noi siamo contenti che i giovani si iscrivono all’Anpi ma pensiamo anche che i partiti debbano riscoprire la vita democratica vera e incentivare i cittadini alla partecipazione e all’impegno, così come prevede l’articolo 49 della Costituzione. Senza partiti la democrazia è più povera e l’Anpi non può supplire.

La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Di spalle da destra la seconda e la terza carica dello Stato, Ignazio La Russa e Lorenzo Fontana (Imagoeconomica, Alessia Mastropietro)

Il governo di destra ha messo in campo dei provvedimenti sui quali avete preso una forte posizione…

È naturale perché l’autonomia differenziata, la scuola del merito e il premierato disegnano un altro tipo di società. Nei limiti di una associazione noi continuiamo a combattere, ripetendo che questi provvedimenti sono un pericolo perché costituiscono una cesura netta con la Carta antifascista, si tratterà di un’altra Costituzione.

(Imagoeconomica, Saverio De Giglio)

Da questo punto di vista quali sono le questioni che le destano più preoccupazione?

Partiamo dalla scuola. Mi lascia stranito che non ci sia un movimento di lotta sul concetto di merito che ha imposto il ministro Valditara perché è da questo che dipende l’idea di istruzione della destra. Loro vogliono una scuola che non serve a formare cittadini ma funziona come un’agenzia di collocamento. Mi spaventa poi il connubio con alcuni giornali che ormai teorizzano modelli di istituti con le classi differenziali per i bambini disabili, fragili o con background migratorio. Pensavamo fossero idee morte e sepolte e invece vengono riprese da Valditara. Non c’è dubbio che questo è un campo su cui in futuro l’Anpi deve stare.

(Imagoeconomica, Sergio Oliviero)

E poi?

Mi preoccupa la criminalizzazione del dissenso. L’esecutivo Meloni inventa sempre nuovi reati e nuove forme di repressione. Prendiamo la questione climatica: questo è un tema urgente, il principale dei prossimi anni, e anziché dare risposte ai giovani li puniscono, quando non li manganellano. Invece con i trattori avviano trattative.

(Imagoeconomica, Saverio De Giglio)

Anche su questo qualcuno vi vorrebbe forse più timidi.

Non abbiamo nessun motivo per moderare il giudizio sull’operato di questo governo. Non sta offrendo nessuna risposta politica alle emergenze del Paese, solo repressione. Non capisco come si possa essere moderati davanti al rischio di una deriva autoritaria, della donna sola al comando. Al contrario, bisogna denunciare con più forza i rischi dello smantellamento della Costituzione.

Luciana Cimino, giornalista, ha lavorato e tuttora lavora per importanti testate nazionali, è coautrice di “Nellie Bly”, un graphic novel sulla storia della prima giornalista investigativa sotto copertura