C’è il rischio di una Versailles adagiata sulle sponde del Tevere? L’interrogativo riguarda la Farnesina, sede del Ministero degli Esteri, un mondo che sembra fatto anche di rapporti personali e familiari, di concorsi sulla cui oggettività nessuno potrebbe mettere la mano sul fuoco e di cognomi che si ripetono di generazione in generazione (si contano – e la cifra è sicuramente per difetto – 158 gruppi familiari che hanno generato 396 funzionari dal dopoguerra a oggi). Certo, la Farnesina non è solo questo. Ma guai a chiudere gli occhi.
In questo immenso palazzone squadrato e nelle sue sedi all’estero ha lavorato per più di 40 anni Calogero Di Gesù. Una carriera iniziata nel 1965 con un concorso per impiegato amministrativo e che si è conclusa con l’incarico di Ambasciatore in Bahrein. Di Gesù non è un figlio d’arte e non ha avuto – e nemmeno li ha mai cercati – padrini politici. Il suo avanzamento professionale è frutto dell’impegno, degli studi, della passione per le questioni internazionali.
È l’unico funzionario della Farnesina che ha avuto il coraggio di mettere nero su bianco i punti dolenti della legge per il voto degli italiani all’estero e il meccanismo del voto per corrispondenza che avrebbe aperto – come le cronache giudiziarie si sono incaricate poi di mostrare – la stura al malaffare, al voto di scambio e alle consorterie mafiose. Per la sua presa di posizione finì nel mirino dell’allora ministro per gli Italiani nel Mondo, Mirko Tremaglia. Un giorno nel corso di una riunione interministeriale sul tema della legge per il voto all’estero si presentò l’ex repubblichino Tremaglia, che senza salutare nessuno si parò direttamente davanti a Di Gesù intimandogli di non occuparsi più della “sua legge”, pena pesanti sanzioni. «Fu – ricorda l’ex Ambasciatore – l’inizio di una vera e propria persecuzione per cinque anni con il divieto posto da Tremaglia all’amministrazione di promuovermi o di destinarmi all’estero finché egli fosse rimasto ministro».
Il senso dello Stato e un’incrollabile fede antifascista sono per l’ambasciatore Di Gesù la stella polare da seguire. Anche a costo di mettersi contro i potenti di turno. A settembre ha dato alle stampe per la casa editrice Aracne Dietro le quinte della Farnesina (544 pagine, 25 euro), un saggio in cui con occhio impietoso descrive i vizi e i mali della “repubblica” della Farnesina. E tra quelle righe c’è un vero e proprio scoop. Ai piani alti del Ministero (e non solo) si starebbe mettendo il silenziatore alla vicenda che riguarda Mario Vattani, più noto come Katanga o console fascio-rock, il figlio del potentissimo Umberto Vattani, l’uomo che ha attraversato la prima e la seconda repubblica – da Andreotti a Berlusconi – senza perdere un’oncia dell’immenso potere conquistato nella gestione della macchina del Ministero come Segretario generale ma estendendo, anzi, la sua influenza anche al di là dell’area di centrodestra. «La Repubblica nata dalla Resistenza – dice Di Gesù – sembra non avere alcun sussulto nel sapere che a rappresentarla, lautamente remunerato peraltro, sia una persona che di quei valori si fa beffe». E già «perché il ricorso presentato dalla Farnesina avverso una sentenza del Tar del Lazio, favorevole a Mario Vattani e alle sue esibizioni fascio-rock, decadrà per mancanza di interesse del ricorrente se non arriva una presa di posizione forte dalla politica che costringa il Ministero degli Esteri a sollecitare ufficialmente il Consiglio di Stato a emettere una sentenza sul caso».
Ambasciatore, ripercorriamo per i lettori di Patria Indipendente la vicenda di Vattani junior.
Nel maggio del 2011 ha partecipato come protagonista, in un luogo pubblico a Roma, a un concerto organizzato da CasaPound. Nella sua esibizione, accompagnato dalla sua band, Sottofasciasemplice, Vattani ha cantato canzoni che inneggiavano alla Repubblica sociale italiana e denigravano la Repubblica Italiana, quella che egli come diplomatico avrebbe dovuto servire con lealtà e che invece definiva come “fondata sui valori degli epuratori (…) sui valori della violenza, del tradimento e dell’arroganza (…), sulla lotta armata fatta da banditi e disertori, dinamitardi e bombaroli”. C’è anche un filmato che immortala il gruppo dei presenti che alza il braccio nel saluto fascista e che mostra Vattani rispondere col braccio teso. Malgrado questo comportamento, il 26 luglio di quell’anno Mario Vattani è stato destinato alla sede di Osaka, in Giappone, come Console generale. Il clamore suscitato dal concerto e la campagna di stampa che ne seguì fecero sì che fosse richiamato a Roma per essere sottoposto a provvedimento disciplinare.
Ci tolga una curiosità Ambasciatore. Quali erano le funzioni di Vattani ad Osaka? Cosa faceva lì di così significativo per quella Repubblica che tanto disprezzava?
In verità ben poco. È costato l’ira di dio allo Stato senza avere, di fatto, nulla da fare. Quella di Osaka è una piccola sede e non vi erano esigenze che giustificassero l’impiego di un alto dirigente del Ministero. Le questioni politiche le segue l’Ambasciata di Tokyo, così come le questioni commerciali sono svolte dall’ICE e quelle culturali dagli Istituti di Cultura di Tokyo e di Kyoto. E il bello è che ad Osaka non vi è nemmeno una nutrita comunità italiana. Insomma un buen retiro dopo la fatica dei concerti inneggianti al fascismo.
Chi c’era alla guida della Farnesina quando è scoppiato il caso Vattani?
Giulio Terzi di Sant’Agata, un Ambasciatore prestato alla politica per volere dell’allora capo del governo, Mario Monti. Quel ministro usò parole di condanna nei confronti di Vattani («L’apologia del fascismo non è compatibile con il ruolo di servizio allo Stato» disse), ma in verità a farlo decidere per il richiamo a Roma fu il clamore mediatico della vicenda, tant’è che inizialmente Terzi aveva sperato che tutto si risolvesse con una blanda lettera di contestazione. Sia come sia, il rampollo della dinastia Vattani non ne volle sapere di pagare per i suoi errori e fece ricorso al Tar che sospese il richiamo consentendogli di rientrare in Giappone. Il Ministero a quel punto ha fatto un nuovo ricorso al Consiglio di Stato, ha vinto il ricorso e lo ha richiamato definitivamente a Roma irrogandogli la sanzione della sospensione dal servizio e dallo stipendio per 4 mesi. Ma pure stavolta Mario Vattani si è rivolto al Tar del Lazio che ha sospeso anche questo provvedimento. Nuovo ricorso del Ministero al Consiglio di Stato che nel giugno 2013 annulla la sentenza del Tar e rinvia la definizione del caso ad una sentenza di merito.
E qui arriviamo al presente: dal 25 giugno 2013 sono passati quasi 5 anni. La sentenza non è stata emessa. Eppure dopo le dimissioni di Terzi nel marzo 2013 si sono avvicendati alla Farnesina Emma Bonino, Federica Mogherini, l’attuale premier Paolo Gentiloni e, buon ultimo, Angelino Alfano. Possibile che nessuno di loro abbia sentito il bisogno morale e civile di far sentire la voce dell’Italia antifascista e democratica su questa vicenda?
Che vuole che le dica? Evidentemente no. In mancanza di sollecitazione del ricorrente, cioè a dire il Ministero degli Esteri, e quindi in assenza di sentenza entro fine maggio 2018, il ricorso sarà dichiarato in termini giuridici “perento”, ovvero scaduto per mancanza di interesse del ricorrente. Dopo le dimissioni di Terzi la dirigenza del Ministero è cambiata e mi sembra di cogliere segnali preoccupanti: la volontà cioè della politica di lasciar cadere questo ricorso nel dimenticatoio. Cui prodest? Probabilmente se la guardiamo in termini più generali, questa brutta storia ci dice che sta prevalendo l’idea di questo Governo di tenersi buone le varie corporazioni e tra tutte quella potentissima della Farnesina. In ogni caso accortezza avrebbe voluto che nell’attesa del pronunciamento del Consiglio di Stato a Vattani fosse assegnato un incarico minore. Invece succede che, a decorre dall’ottobre 2014, abbia ottenuto il ruolo di «Coordinatore per i rapporti tra l’Unione Europea e i Paesi dell’Asia e del Pacifico sia sul piano bilaterale che multilaterale», con trattamento economico di direttore centrale e con una retribuzione di circa 130.000 euro lordi. Un titolo altisonante, dietro cui in verità c’è ben poco se non il ricco stipendio. E non finisce qui: il 4 febbraio 2015 è stato anche eletto membro del Consiglio del Sindacato nazionale dipendenti del Ministero affari esteri (Sndmae), in aperta contraddizione con la presa di posizione dello stesso sindacato che tre anni prima, al momento dello scandalo succeduto al concerto di CasaPound, aveva duramente stigmatizzato, in un comunicato che leggo testualmente, “l’apologia di fascismo in luogo pubblico da parte di un alto funzionario dello Stato”. Macché, tutto dimenticato!
Mentre la politica tace e l’amministrazione sembra girarsi dall’altra parte, il nostro diplomatico-camerata scrive libri sul Giappone, collabora – perché al cuore non si comanda – con una sua rubrica sul Primato Nazionale, rivista on line vicina a CasaPound e si prepara a chissà quali luminosi traguardi. Vista la passione per l’Estremo Oriente, è possibile che sia proprio l’ambasciata di Tokyo.
Non è escluso. E sarebbe un’offesa per tutti coloro che credono nei valori della Resistenza e dell’antifascismo. Trovo davvero sconcertante che tutto ciò avvenga nel silenzio assordante delle autorità e delle istituzioni democratiche della Repubblica, a cominciare dal Ministero degli Esteri e dal presidente del Consiglio, oltreché dai sindacati e dai partiti che dovrebbero accorgersi che la Farnesina sta proteggendo un proprio membro che professa idee e si abbandona a comportamenti dichiaratamente fascisti, che sono vietati e sanzionati da precise norme di legge costituzionali e ordinarie proprio per impedire il ritorno del fascismo, che ha portato l’Italia alla rovina alla fine del famoso ventennio, lasciandola in condizioni di miseria, di distruzione e di emarginazione internazionale. Ad oggi a interessarsi della vicenda è stato il solo Movimento 5 Stelle che nel novembre scorso ha presentato un’interrogazione parlamentare al presidente del Consiglio e al ministro degli Esteri.
Oggi accanto a lei, ambasciatore, c’è anche la rivista dell’Anpi.
Sì, e spero davvero che l’Associazione Nazionale dei Partigiani d’Italia possa contribuire a sbloccare col suo autorevole intervento la colpevole inazione degli organi dello Stato. La Repubblica antifascista non può consentire ad una branca dell’amministrazione pubblica di agire in contrasto con i principi della Costituzione. Questo gravissimo episodio, che coinvolge l’intera dirigenza politica e diplomatica della Farnesina, si aggiunge ai preoccupanti, recenti avvenimenti di rigurgito del fascismo italiano che sono sulle prime pagine dei nostri giornali e che costituiscono argomento di acceso dibattito politico. Al riguardo occorre ribadire che il fascismo non può essere un’idea politica come le altre ma un’esperienza politica definitivamente condannata dalla storia e messa per sempre al bando dalla Costituzione italiana. L’intervento dell’Anpi s’inquadra opportunamente nella sua meritoria missione di salvaguardia della nostra democrazia e di contrasto ad ogni tentativo di ripristinare nel nostro Paese regimi autoritari e dispotici simili a quello mussoliniano che ha causato milioni di morti, fossero essi semplici soldati o cittadini sostenitori della democrazia e della libertà o partigiani che hanno rischiato o perso la vita per il bene del Paese.
Giampiero Cazzato, giornalista professionista, ha lavorato a Liberazione e alla Rinascita della Sinistra, ha collaborato anche col Venerdì di Repubblica
Pubblicato mercoledì 13 Dicembre 2017
Stampato il 11/12/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/idee/copertine/il-console-fascio-rock/