Millennial e Generazione Zeta, giovani nati a partire dal 1980-85 i primi, un decennio dopo i secondi; la gioventù più interconnessa di sempre, che a più di mezzo secolo dal formidabile Anno della contestazione è tornata a invadere, proprio come una volta, strade e piazze. Stiamo assistendo a una riscoperta dell’impegno civile e politico? Chi meglio di un prof di un’università telematica, grande conoscitore anche del mondo degli atenei tradizionali, può provare a raccontarci i giovani del nostro tempo?
Alessandro Bianchi è direttore della Scuola di rigenerazione urbana e ambientale all’Università Telematica Pegaso, istituto accademico che conta circa 70-80mila iscritti. Ingegnere, Bianchi è stato rettore dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria e segretario generale della Crui, oltre che ministro ai Trasporti.
Professore, gli studenti di una università telematica hanno aspettative, necessità o opportunità differenti rispetto ai coetanei di un ateneo classico?
Le università telematiche sono nate tutte circa 12 anni fa, a cavallo tra il 2006 e il 2007, rivolgendosi soprattutto a studenti in età avanzata, persone che non avevano potuto o voluto completare gli studi e si ritrovavano ad aver bisogno della laurea per partecipare a concorsi oppure ottenere avanzamenti di grado nel lavoro. Oggi, invece, quella tipologia rappresenta la metà del totale, gli altri hanno tra i 18 e i 25 anni: è dunque in atto un fenomeno nuovo sul quale val la pena riflettere perché risultato di una scelta precisa. Moltissimi ragazzi, infatti, una volta ottenuto il diploma superiore decidono di immatricolarsi ad una università telematica.
Per ragioni economiche?
Certamente una delle motivazioni è di natura economica, poiché la spesa da sostenere è minore. A pesare sul bilancio delle famiglie non sono tanto le tasse universitarie, comunque per le telematiche inferiori a quelle degli atenei tradizionali, quanto le spese da affrontare se lo studente deve trasferirsi per seguire le lezioni e per gli esami: per un fuori sede i costi possono essere proibitivi. Ben diverso è poter studiare a casa e doversi recare in facoltà solo per gli esami o per discutere la tesi. Ma in realtà la novità è un’altra: i ragazzi e le ragazze della Generazione Z, i nativi digitali post 2000, sono sempre connessi alla rete, e il loro strumento di vita e di studio non è neppure il pc ma lo smartphone o il tablet, dove possono ricevere le lezioni ovunque si trovino. Ed è da segnalare la loro facilità di apprendimento: studiare online non è affatto semplice, come si ritiene nel sentire comune, tuttavia le telematiche colmano un grave difetto ormai tipico nelle tradizionali: l’impossibilità per uno studente di essere seguito passo dopo passo nel percorso formativo, di avere chiarimenti, porre domande, discutere col docente. Al contrario, le università online affiancano alle registrazioni video delle lezioni, corredate da power point con slides, immagini, grafici inviati per email, la presenza di un tutor a disposizione praticamente h24, così il rapporto tra maestro e allievo è rafforzato. In più gli stessi ragazzi utilizzano strumenti informatici quali i social per scambiarsi esperienze e opinioni, creare comunità dunque. Rispetto ai Millennial, trenta-quarantenni che si sono adattati pur magistralmente ai nuovi media, gli Zeta non hanno idea di come fosse il mondo prima della rete, sono naturalmente calati nel mondo di internet e dei social.
Rapidi nell’apprendere, capaci di costruire comunità unite dai medesimi interessi. Promuove a pieni voti i GenZeta, ma si intuisce un però…
A preoccupare soprattutto è il rapporto col testo scritto. I libri, sia quelli su carta sia le versioni epub, fruibili su pc e cellulare, sono sostituiti dalle consultazioni internet. Sul web d’altronde si trova qualsiasi cosa. Gli Zeta attingono a Wikipedia a mani basse, spesso senza spirito critico nei confronti delle fonti. Da docente mi batto da tempo per contrastare un fenomeno dilagante: realizzare le tesi di laurea scopiazzando a destra e a manca, senza nemmeno utilizzare le virgolette per citare brani altrui. Dopo una quarantina d’anni di esperienza mi accorgo subito se parte di un testo non è farina del loro sacco. Un paradosso per esempio sono le bibliografie: l’elenco delle opere consultate è sempre più una infinita sitografia. In sintesi, la Generazione Zeta è come una carta assorbente e a farne le spese è appunto la capacità di valutare ragionando con la propria testa. Un risultato forse della perdita di contatto diretto, reale, con i professori.
Che fare, almeno sul fronte scolastico?
Una formula efficace e congeniale alle nuove generazioni potrebbe essere una via blended, cioè coniugare il contatto diretto e concreto col docente con il potenziale della formazione a distanza. Sviluppando anche il momento successivo alla lezione, in cui lo studente riflette, si pone interrogativi, reagendo a ogni apatia intellettuale.
Per di più si impone una riflessione generale sul livello di istruzione in Italia. In Europa siamo all’ultimo posto per numero di laureati, la percentuale di giovani tra i 25 e i 34 anni che arriva a conseguire il titolo è di circa il 26%, nel resto del Vecchio continente è del 40% e in Germania è ancora più alta. In un mercato del lavoro ormai internazionale è un handicap enorme, una mortificazione delle potenzialità dell’ingegno di quei giovani. E un altro fenomeno si sta aggravando vertiginosamente, l’abbandono dei laureandi. Lo scorso anno ben 600mila giovani di età compresa tra i 18 e i 24 anni hanno lasciato gli studi universitari.
Su chi ricade la responsabilità di questa situazione?
Una va individuata nella carenza di investimenti pubblici nell’università: è la metà degli altri Stati, l’1,6% del Pil rispetto al 3, 1%. Avrà un suo peso nella possibilità di offrire borse di studio, e altre forme di sostegno, no? Lo stesso mondo del lavoro non ha perorato la formazione di qualità, necessaria oggi a misurarsi su un piano più vasto. E tra i giovani si è fatta largo l’idea che studiare sia una perdita di tempo, non aiuti a realizzare i progetti di vita né serva a trovare un impiego qualificato, giustamente retribuito. Nel nostro Paese le riforme della scuola di frequente hanno fallito l’obiettivo. In Germania da oltre mezzo secolo esistono le fachhochschulen, scuole per gli alti mestieri. Sono basate su una stretta relazione fra la teoria appresa nelle aule e la pratica nelle aziende. Funzionano. Vi escono sia manodopera qualificata sia dirigenti. Il Presidente della Repubblica nel suo discorso di fine anno non a caso ha invitato ad aver fiducia nei giovani. Mattarella lo ha detto chiaro e tondo: occorre investire sulle nuove generazioni. E la strada è una sola, offrire prospettive e condizioni di inserimento nella società, cioè farli accedere al mondo del lavoro. Altrimenti ben presto ci ritroveremo ai margini delle realtà produttive. Ovviamente sia le amministrazioni sia il mondo produttivo devono mettere in campo più fondi. Non esistono scorciatoie.
L’abuso di alcol è sempre più diffuso tra i giovani, soprattutto adolescenti, figli sia di famiglie problematiche sia cosiddette bene.
Mi sono occupato e preoccupato di questo problema. In qualità di ministro dei Trasporti ho varato la prima legge sulla sicurezza stradale per sanzionare chi si metteva alla guida ubriaco. È errato però generalizzare, i giovani non sono tutti uguali, non lo erano ieri e non lo sono oggi.
È direttore della Scuola di rigenerazione urbana e ambientale della Pegaso, cosa ne pensa dei giovanissimi della Generazione Greta? I seguaci dell’attivista svedese Greta Thunberg sembra abbiano riscoperto l’impegno civile, non accadeva da anni.
È una grande novità. Fino a una manciata di anni fa pareva proponessi argomenti alieni. Oggi i ragazzi mi chiedono specificazioni e precisazioni. Mostrano grande interesse. Gli studenti del ’68, e poi del ’77 con lo straordinario grandioso protagonismo delle donne, e più tardi del movimento della Pantera si sentivano chiamati a un ruolo attivo nella società. Quella presa di coscienza sembrava scemata. Un disinteresse alla “politica” favorito, purtroppo, proprio dalla classe politica. E non vanno dimenticati l’estremismo, le stagioni di violenza che avevano allontanato le persone dalla partecipazione attiva. Oggi, vivaddio, quei giovani sentono l’urgenza, pacifica, di porre all’attenzione degli adulti alcuni temi, la sostenibilità ambientale in particolare, e chiedono risposte. Si tratta di un movimento globale, come fu il Sessantotto, nato nelle università americane ricordo, che in questo caso coinvolge soprattutto gli adolescenti e incredibilmente sembra stia riuscendo a influenzare il gotha dell’economia mondiale e le policy dei governi. Greta e quei ragazzi possono contare sugli studi trentennali degli scienziati, che hanno ben documentato il pericolo dei cambiamenti climatici provocati dall’attività umana. Sono inoltre incoraggiati da papa Francesco, uno dei maggiori gli interpreti della sostenibilità ambientale, che con l’enciclica “Laudato si’ sulla cura della casa comune”, titolo tratto dal “Cantico delle creature” di San Francesco, già cinque anni fa manifestava preoccupazione per la natura, per la Terra maltrattata e saccheggiata, e chiedeva una “conversione ecologica”, un “cambiamento di rotta” strettamente legato allo sradicamento della povertà e all’accesso equo, per tutti, alle risorse del pianeta. È molto rilevante anche la scelta dei termini della lettera apostolica: in più passaggi si parla di “bene comune”. Solo uno Trump può pensarla diversamente…
Altri giovani, più grandi, fanno parte dei Millennial, in Italia hanno conquistato la ribalta, le Sardine.
Una novità importantissima per il nostro Paese, a mio giudizio. Le Sardine si muovono su un terreno assolutamente fondamentale e pregiatissimo, sono riuscite a mettere al centro dell’agenda politica l’etica dei comportamenti pubblici e il rifiuto del linguaggio volgare, arrogante e violento di chi diffonde odio nell’agorà mediatico. Propongono una visione pulita e limpida della res pubblica: senza rispetto e correttezza, dicono, sei fuori da ogni comunità civile. Non si rivolgono unicamente agli esponenti peggiori come Salvini, ma all’intero panorama politico italiano chiedono la metamorfosi di un costume che dalle nostre parti ha forme di degrado e corruzione senza pari in occidente. Sono giovani molto differenti da quelli del passato nel rapporto con l’attivismo, una volta chi aderiva o simpatizzava per un partito, pur non prendendone la tessera, ne condivideva i valori, libertà, eguaglianza, giustizia e reputava si riuscisse ad inverare quei principi grazie all’impegno civile attivo. Le Sardine invece esortano semplicemente i politici a “comportarsi bene”, ed è molto diverso. Una sollecitazione capace però di mettere in forte discussione consuetudini che personalmente ho visto crescere da una decina d’anni a questa parte.
Le Sardine avranno un futuro?
Me lo auguro con tutto il cuore. Il compito prioritario dei partiti e dell’associazionismo diffuso è accogliere, interiorizzare le loro richieste. E lasciarle libere di crescere. Finalmente, grazie alle Sardine e ai giovani della Generazione Greta possiamo godere di sorrisi belli, gioiosi e intelligenti.
Pubblicato martedì 28 Gennaio 2020
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