
Si sprecano le dichiarazioni verbali in favore del soggetto femminile, ma i fatti tardano a essere conseguenti, dal ridotto numero di donne candidate ed elette sindaco nella recente tornata elettorale amministrativa alla loro scarsa presenza nei vertici istituzionali e aziendali alle persistenti disparità che connotano la loro situazione occupazionale. Eppure la pandemia da Covid-19 ha accentuato trend che da decenni mostrano disoccupazione, precarietà, inattività persistenti, particolarmente gravi proprio per loro e per i giovani (tra cui, ovviamente, le giovani donne).

Diventa drammaticamente stringente l’implicazione che dobbiamo trarre da ciò che gli economisti ci insegnano: se la crescita è il frutto della somma dell’azione di due fattori, tasso di occupazione e tasso di produttività, poiché in Italia il basso tasso medio di occupazione complessiva, femminile e maschile, è interamente dovuto all’incredibilmente bassa occupazione femminile (perché il tasso medio di occupazione maschile risulta abbastanza in linea con gli standard europei), è la mancata occupazione femminile il vero handicap per la crescita.

Più in generale balza in evidenza il problema della propensione dell’operatore pubblico a non limitarsi a ricorrere prevalentemente a misure incentivanti volte a stimolare indirettamente la generazione di lavoro (come incentivi fiscali, decontribuzioni, bonus, trasferimenti monetari, riduzioni del cuneo fiscale, ecc.). Le analisi sui fiscal multiplier dicono chiaramente che, mentre il moltiplicatore in termini di maggiore Pil e di maggiore occupazione della riduzione delle tasse (di cui la decontribuzione è parte) è basso (circa lo 0,5%), il moltiplicatore degli investimenti pubblici può essere particolarmente alto (fino all’1.5% di aumento del Pil nel primo anno e 3% nel medio periodo).

Il nodo ai tempi di Keynes era, ed è tutt’oggi, la problematicità del processo di investimento e la sua relazione con il lavoro, quella problematicità che lo induceva a denunziare “l’atroce anomalia della disoccupazione in un mondo pieno di bisogni”.

Non si deve escludere di fare ricorso a strumenti straordinari quale fu la legge sull’“occupazione giovanile” 285 del 1977, promossa da Tina Anselmi (la prima ministra italiana donna) quando la convergenza delle implicazioni della prima grande crisi petrolifera e delle tremende “inquietudini” sociali dell’epoca – non ultimo un terribile terrorismo – spinse all’adozione di cruciali riforme. E si deve coltivare davvero la prospettiva del “lavoro di cittadinanza”: il tipo di “lavoro di cittadinanza” da creare è molto largo, deve comprendere lavori “buoni” di alto contenuto qualitativo, investire in qualifiche elevate, contemplare paghe adeguate sanando il gap retributivo che penalizza le donne.
Laura Pennacchi, direttore della Scuola per la buona politica della Fondazione Lelio e Lisli Basso, Issoco; coordina il Forum economia della Cgil; presidente del Gruppo di lavoro su occupazione femminile e disparità salariale istituito dal ministro del Lavoro, Andrea Orlando; già parlamentare e sottosegretario al Tesoro dei Governi Prodi I e D’Alema I
Pubblicato venerdì 5 Novembre 2021
Stampato il 23/09/2023 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/idee/perche-una-donna-deve-avere-un-progetto-tutto-per-se/