Paolo Silva è vicepresidente dell’Associazione Vittime della Strage di Piazza Fontana. Suo padre fu dilaniato dall’ordigno posto proprio sotto la sedia dove, alla Banca Nazionale dell’Agricoltura, quel pomeriggio attendeva il suo turno.
Vicepresidente Silva, dopo 47 anni per 17 morti e 89 feriti non ci sono ancora colpevoli. State continuando a battervi per la riapertura di un nuovo procedimento? Con la Strage di Piazza della Loggia ci si è riusciti.
Sarà difficile arrivare a una verità giudiziaria per Piazza Fontana. Certo, noi familiari non ci siamo mai arresi e mai lo faremo, né noi né i nostri figli. Esiste una verità storica e riteniamo importantissima la sentenza sulla Strage di Piazza della Loggia, a Brescia. Con le motivazioni pubblicate lo scorso agosto, la Corte di appello del Tribunale di Milano, ha stabilito dei punti fermi dai quali non si può più tornare indietro. La responsabilità di Ordine Nuovo era emersa in entrambe le stragi, ma con la condanna all’ergastolo di Carlo Maria Maggi, dirigente della cellula neofascista veneta, imputato e assolto per Piazza Fontana, e di Maurizio Tramonte, all’epoca collaboratore del SID, si è dimostrata in tribunale la stretta collusione della destra eversiva con alcuni apparati dello Stato e dei servizi segreti nazionale ed esteri.
La stessa storia delle indagini e dei processi per la Strage alla Banca dell’Agricoltura racconta molto…
Con la Strage di Piazza Fontana si provò a sovvertire lo Stato democratico, la Repubblica democratica. E ancora oggi da parte di alcune frange politiche esiste la volontà di tenere nascosta la verità. A Milano, il 12 dicembre 1969 si presero di mira semplici cittadini, agricoltori, agenti di commercio. Dovemmo riconoscere mio padre la sera stessa all’obitorio. La bomba confezionata con 7 chili di tritolo era stata piazzata proprio sotto la sua sedia. Papà era pensionato, collaborava con un’azienda americana di lubrificanti per il settore agricolo, la Mobil Oil. Conoscevo la maggior parte di quanti morirono con lui. Io allora avevo 27 anni, ero molto più grande rispetto ai figli degli altri Caduti. Con mio fratello Giorgio capimmo subito la portata di quanto avvenuto e non credemmo mai alla cosiddetta “pista anarchica”. La morte di Giuseppe Pinelli “precipitato” dalla Questura, l’arresto di Pietro Valpreda, solo molto tempo dopo completamente scagionato, non aveva senso.
Riuscì a seguire i processi?
Non fu facile. Nel 1972 il primo processo da Milano fu trasferito a Roma, poi tornò a Milano per incompetenza territoriale, subito dopo per ragioni di “ordine pubblico” fu spostato a Catanzaro e in appello a Bari. Le vedove per assistere alle udienze dovevano percorre 1.200 Km, con le difficoltà di una volta nel dover affrontare simili distanze. Si riunirono in associazione per poter sostenere i viaggi e fare richieste comuni. La pubblica accusa chiese l’ergastolo per i neofascisti Franco Freda, Giovanni Ventura, per Guido Giannettini, un agente segreto. Tutti assolti nei successivi gradi di giudizio. Freda e Ventura, pur ritenuti colpevoli, non poterono più essere giudicati e condannati perché precedentemente assolti. Nel 1990 il giudice Salvini riaprì le indagini, e riuscì a incriminare oltre a Maggi e ad altri, anche Delfo Zorzi in qualità di esecutore materiale della strage. Ebbene, lui era fuggito in Giappone, dove non esiste estradizione, e aveva anche ottenuto la cittadinanza nipponica, nonostante sia complicatissimo riuscirvi. L’ultimo atto è la sentenza della Cassazione del 2005: imputati tutti assolti e noi familiari delle vittime condannati a pagare le spese giudiziarie. Intervenne il Governo e si sobbarcò l’onere, ma quella sentenza resta ed è un pesantissimo macigno.
Parlava della collusione con alcuni apparati dello Stato…
Fin dall’inizio abbiamo assistito a una sequenza infinita di depistaggi, coperture, omertà. Il generale Maletti, per esempio, ex capo del controspionaggio, è cittadino sudafricano dal 1981. Avrebbe potuto e dovuto dire molto, non l’ha fatto. Come per tutte le stragi – Piazza Fontana, Ustica, Bologna – bisogna ancora trovare i mandanti. La lunga stagione stragista non si può imputare semplicemente a una frangia politica eversiva. Il ’69 era l’anno dell’autunno caldo, delle conquiste operaie, della crescita del partito comunista; a livello internazionale va ricordata la dittatura dei colonnelli in Grecia. È quello che raccontiamo quando con l’Associazione andiamo nelle scuole, licei e università. I giovani purtroppo non sanno nulla. Abbiamo provato a fare un sondaggio: qualcuno credeva che gli stragisti di Piazza Fontana fossero le Brigate Rosse, pensi un po’. Però quando spieghiamo i fatti e affrontiamo quella pagina oscura della storia italiana ascoltano in assoluto silenzio e comprendono benissimo. La memoria deve aiutare il presente e non è stato facile arrivare alle coscienze. Basti pensare alla partecipazione alle celebrazioni. Ogni anniversario della Strage della Stazione di Bologna vado alle iniziative promosse in rappresentanza dell’Associazione delle Vittime di Piazza Fontana. C’è un fiume di gente e lo stesso a Brescia, non è così a Milano.
Milano, città Medaglia d’Oro della Resistenza, non si sente ferita?
A Milano le iniziative non sono molto frequentate. Milano è una città divisa. In passato, negli anni di piombo sono morti tantissimi, troppi giovani. Spesso ci sono state contestazioni durante le commemorazioni. Qualcuno dice addirittura: “Cosa vogliono dopo tutto questo tempo!”. Di recente poi l’apertura di numerose sezioni di CasaPound e Forza Nuova non aiuta.
Quest’anno come verrà commemorato il 12 dicembre ’69?
Saranno due giorni di iniziative dedicate soprattutto ai giovani: il 12 cominceremo alla Casa della Memoria di Milano dove oltre cento studenti ascolteranno le testimonianze dei familiari delle vittime; si proseguirà con il tradizionale corteo da Piazza della Scala a Piazza Fontana e alle 16,37 – l’ora in cui scoppiò la bomba – verranno deposte le corone in memoria; poi interverranno relatori dell’ANPI e altri rappresentanti di associazioni alla presenza del Sindaco Sala. La sera è previsto un concerto a Palazzo Castiglioni che abbiamo cercato di allargare al maggior numero di persone, le più diverse politicamente, perché bisogna includere. Il 13 mattina allo Spazio Oberdan, in Corso Venezia, terremo un altro consueto appuntamento, con la partecipazione degli studenti: una pièce teatrale scritta dal prof. Paolo Colombo recitata da Lella Costa. Infine torneremo alla casa della Memoria per presentare la digitalizzazione di tre faldoni recentemente recuperati relativi a dibattimenti del processo di Catanzaro. La difficoltà di accedere ai documenti dopo l’annunciata desecretazione, le carte mancanti o addirittura i faldoni trovati vuoti sarà il tema affrontato con la Fondazione Flamigni e Benedetta Tobagi.
Come per le altre stragi, anche i familiari delle vittime di Piazza Fontana si aspettavano di più con la rimozione del segreto di Stato?
Non mi aspetto nulla di eclatante, il tempo ha fatto la sua parte, “i topolini si sono ben saziati”, però potremmo trovare documenti importanti. Sembrerebbe che ora il Governo abbia dato incaricato di raccogliere i materiali sparsi tra archivi, stanze di dicasteri e tribunali, e di facilitare la consultazione. Speriamo che alle parole seguano i fatti. Attendiamo.
Il 12 dicembre verranno rappresentanti del Governo a Milano per le commemorazioni della Strage?
Abbiamo invitato molti, non abbiamo ancora conferme, nonostante le ripetute richieste. È tutto fermo, nulla si muove: pare che tutto sia legato al 4 dicembre.
Pubblicato venerdì 2 Dicembre 2016
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