
Il destino non è stato generoso con Enrico Martini, morto in un incidente aereo il 19 settembre 1976 nei cieli della città turca di Antalya. Sono in pochi a ricordare il suo fondamentale contributo alla guerra di Liberazione, eppure è stato uno dei più importanti capi partigiani, di sicuro il personaggio che la battaglia contro il nazifascismo l’ha fatta con capacità organizzative e militari.
La scheda biografica dell’Anpi nella sua sinteticità, disegna un quadro completo del militare e dell’uomo, che aveva messo al servizio dell’Italia e della sua terra (era nato a Mondovì in provincia di Cuneo), le conoscenze apprese in Accademia militare a Modena e nelle guerre in Africa. Non aveva mai rinnegato, neanche a guerra finita, il giuramento fatto come militare del regio esercito e la fedeltà alla monarchia, che gli provocheranno l’ostilità di altre formazioni partigiane e l’ingratitudine a guerra terminata.

D’altro canto, anche lo scrittore Beppe Fenoglio, che militava nelle sue formazioni, aveva votato per la monarchia.
Fenoglio l’aveva reso immortale, dedicandogli il personaggio di Lampus nel Il partigiano Johnny, quello “che si rivolgeva col lei al minore dei suoi ragazzini portaordini”.
La sua nomina nel comando provinciale, che doveva avviare l’opera di ricostruzione, non verrà ratificata dal Comitato di liberazione nazionale di Cuneo, un atto ostile e arbitrario in considerazione del riconosciuto ruolo nella Resistenza.

Infatti il generale Trabucchi, d’intesa con il comando Alleato, gli aveva offerto la possibilità di scelta tra Cuneo e Alessandria: aveva scelto Cuneo per “ragioni sentimentali”, utilizzando le sue parole. L’esclusione era causata, secondo la sua analisi, dalla lotta per il potere e dal decadimento della dialettica democratica all’indomani della Liberazione.
Godeva di grande considerazione anche tra gli Alleati: aveva avuto rapporti prioritari con gli inglesi del maggiore Neville Lawrence Temple Darewski, conosciuto come “maggiore Temple” e che darà il suo nome anche alla missione di appoggio alla Resistenza che assicurerà a Mauri lanci di armi e viveri. Alle onorificenze nazionali, inoltre, aggiungerà l’americana Bronze star medal e la Croce d’oro al merito conferita dalla Polonia. Due anni prima della scomparsa sarà accusato di aver aderito al tentato “golpe bianco” di Edgardo Sogno, uscendone senza macchia.

Vi aveva militato dal maggio 1944 allo stesso mese dell’anno successivo: si era guadagnato persino un comunicato di Radio Londra per l’attacco riuscito a un treno blindato, portato a termine senza il permesso del suo superiore. Mauri cita anche questo episodio nelle sue memorie: “Ritorna la sera e si presenta con fare piuttosto preoccupato. Quindi, col suo spiccato accento napoletano, mi confessa: ‘Tutti vanno in azione qua e là e io volevo solo provare i miei uomini. Mi deve scusare se sono andato ad attaccare il treno senza informarla. È stato solo a titolo di addestramento’. ‘Almeno hai combinato qualcosa?’. ‘Lo abbiamo distrutto, la locomotiva e tre vagoni con tutte le armi. Il nemico ha avuto diciassette morti e venti feriti’. E a testa china attende una lavata di capo per aver fatto saltare un treno nemico senza permesso”.

Da uno stralcio inedito delle memorie di Lello la Valletta, ottenute grazie alla disponibilità dei familiari, emerge il resoconto della cattura di Mauri da parte dei nazisti l’1 agosto 1944. “Al bivio per Cigliè e Clavesana – scrive Mauri, che si era fermato con il suo autista Vico per osservare le postazioni nemiche – (…) una decina di tedeschi mi avvinghia rudemente sotto il collo e un forte colpo alla schiena mi rovescia a terra supino”. Un capitano, che parla perfettamente l’italiano, lo riconosce per la comune militanza nella campagna del Nordafrica, all’epoca da alleati nell’Asse. Dopo una proposta, respinta, di ordinare ai suoi uomini di arrendersi, Mauri si dichiara disponibile solo a scrivere un biglietto con il quale comunica: “Sono stato catturato. La colonna tedesca è molto forte. È meglio che ripieghiate. Portatevi sulle posizioni che tenevamo i giorni scorsi. Non preoccupatevi di me”.

Fa anche in tempo a bloccare una macchina, con a bordo il comandante della Prima divisione Langhe Mario Bogliolo e altri capi partigiani, diretta al comando generale di Clavesana, evitando in tal modo che venissero catturati dai nazisti. Nel frattempo Mauri era riuscito, in maniera rocambolesca, a liberarsi e a raggiungere, dopo una fuga tra campi e torrenti, la casa del professor Luigi Berra a Bastia Mondovì.
Per Raffaele Monaco questi sviluppi della vicenda non erano dovuti alla fortuna ma a una mano divina. “L’ora in cui accadde tutto ciò che ho or ora terminato di raccontare era esattamente l’ora in cui si celebrava nella cattedrale del mio paese natio la messa in onore della sua patrona: la Madonna degli Angeli, a cui certamente mia madre si era rivolta perché proteggesse la vita dei suoi tre figli tutti in zona di guerra. Come non credere al miracolo!!”.
Silvio Masullo
Bibliografia
Enrico Martini Mauri, Partigiani penne nere;
Autori vari, Sacco e saccàritudini. Il partigiano Nicola Monaco e altri sacchesi, Print Art Edizioni, 2005.
Pubblicato lunedì 22 Marzo 2021
Stampato il 03/10/2023 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/persone-e-luoghi/profili-partigiani/cosi-presero-mauri-il-lampus-del-partigiano-johnny/