Il monumento a Roma, nel quartiere Quadraro, in memoria dei 1000 deportati

Chi usciva dalla città per andare verso i Castelli Romani lasciava le ultime case al bivio della Via Appia. Dopo un tratto di campagna incontrava gli archi dell’Acquedotto Felice: dentro e tutt’intorno le baracche. Subito più in là c’era un piccolo agglomerato urbano, il Quadraro, poche case a uno o due piani. Poi cominciava la campagna e per un lungo tratto la via Tuscolana correva in mezzo alle cave di pozzolana, alcune a cielo aperto. Alla fine delle cave sorgeva l’Istituto Luce a Cinecittà”.
Italo Insolera

17 aprile del 1944, tre settimane dopo la strage delle Fosse Ardeatine, le SS guidate da Kappler organizzarono il rastrellamento del Quadraro

Il Quadraro era l’ultimo avamposto della capitale, una città che faticosamente giungeva all’Acquedotto Felice. Lì andavano a vivere immigrati del Sud, operai, edili, uomini di fatica, piccoli artigiani. Secondo la definizione di Berlinguer e Della Seta in Borgate di Roma era “una cintura operaia in una città non operaia”.

Qui, al Quadraro, il 17 aprile del 1944, tre settimane dopo la strage delle Fosse Ardeatine, le SS guidate sul campo da Kappler organizzarono il più feroce rastrellamento a Roma, dopo quello degli ebrei del Ghetto nell’ottobre del 1943. Tutti gli uomini tra i 16 e i 60 anni, circa 1000 persone, vennero prelevati, arrestati e portati via e, dopo un lungo peregrinare lungo l’Italia ancora occupata (Terni, Firenze, il campo di concentramento di Fossoli) deportati in Germania come “schiavi di Hitler” nelle fabbriche di guerra e lungo le trincee, considerati alla stregua di “pezzi di ricambio” per la macchina bellica nazista.

Giuseppe Albano, “il gobbo del Quarticciolo” (wikipedia)

Il giorno dopo, il 18 aprile, un comunicato del comando germanico forniva la “giustificazione“ di questa azione repressiva contro una intera popolazione, mettendola in relazione a  un conflitto a fuoco avvenuto il 10 aprile in cui erano stato uccisi tre tedeschi in una sparatoria dopo uno scontro con Giuseppe Albano, “il gobbo del Quarticciolo”.

In realtà, la motivazione profonda del rastrellamento si trova nel libro di memorie dell’allora console tedesco a Roma, Moellhausen: “In aprile avvenne il rastrellamento del Quadraro, che fu il più imponente di quelli che subì Roma; non rientrò però nel quadro previsto dalle forze armate per procacciarsi manodopera. Fu un’operazione diretta dalla polizia responsabile della sicurezza a Roma, la quale vedeva nel Quadraro il rifugio di tutti gli elementi contrari, degli informatori, dei partigiani, dei comunisti, di tutti coloro che combatteva. Il comando della città era dell’opinione, più volte manifestata, che quando qualcuno non trovava rifugio o accoglienza nei conventi o nel Vaticano, si infilava al Quadraro, dove spariva. Voleva farla finita con quel nido di vespe”.

Il rastrellamento del Quadraro (mausoleofosseardeatine.it)

Nel comunicato nazista si leggeva: “Il comando superiore germanico è stato costretto ad arrestare in detto quartiere tutti i comunisti e quegli uomini che collaborano con i comunisti e li appoggiano… Gli arrestati verranno assegnati a un’occupazione produttiva nel quadro dello sforzo bellico germanico rivolto contro il bolscevismo”.

Rileggere queste frasi svela pienamente il carattere politico dell’operazione: nella terminologia nazista, “comunista” equivale a “partigiano” e “coloro che collaborano con essi” a “fiancheggiatori”. Qui è il punto: in realtà furono arrestati tutti gli uomini, tutti “fiancheggiatori”! La Resistenza è un corpo vivente, tutt’uno con la popolazione, non è una escrescenza del corpo sociale: è il corpo medesimo. E per intervenire occorre colpire senza distinzioni, proprio perché non è possibile praticare quella distinzione.

La targa commemorativa scoperta nel 57° anniversario del rastrellamento

Eppure sulla finzione “reperimento mano d’opera” si è fondato per 60 anni il cavillo a causa del quale i rastrellati del Quadraro non ebbero il riconoscimento di essere stati deportati politici ma “semplice mano d’opera”, addirittura con la beffa dell’aggiunta “volontaria” in quanto nel campo di Fossoli furono tutti costretti a firmare come “lavoratori volontari”.

Questo la dice lunga sulla rimozione della memoria di cui i rastrellati e la comunità del Quadraro sono stati vittime per decenni; rimozione che alla fin fine null’altro è stata che una negazione politica come annullamento della soggettività sociale da essi rappresentata. Solo nel 2004, dopo anni di iniziative di cui i medesimi cittadini del Quadraro, l’Anpi, le forze democratiche del quartiere ne sono stati protagonisti, dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi arrivò il giusto riconoscimento con l’assegnazione della Medaglia d’Oro al Valor Civile al Quadraro per i meriti conquistati sul campo nella lotta al nazifascismo.

Una scena di Resistenza al Quadraro (Raiplay)

Non si coglie la dimensione della Resistenza a Roma se non si affronta il tema della Resistenza popolare, a partire dalla cintura delle allora borgate. Non si coglie il senso di questa insorgenza popolare contro il nazifascismo senza indagarne le ragioni sociali e culturali e fuori dal contesto del rapporto tra centro e periferia. E la definizione dello storico e urbanista Italo Insolera descrive perfettamente questa condizione: “La vita della città borghese, trasformata in città dirigente e della città popolare, divenuta città subalterna, è un dialogo sbagliato o assente del tutto e le due parti della città finiscono per costituire una unità solo geografica a cui corrisponde socialmente, culturalmente, economicamente e amministrativamente null’altro che un rifiuto”. A questo si aggiunga la povertà provocata dalla guerra e inasprita dalla direttiva bellica: “Roma deve soffrire la fame”.

Il quartiere, oggi: un murales dello street artist Lucamaleonte ricorda i “nidi di vespe”

Senza questo contesto, non si comprende l’insorgenza nelle borgate romane contro il nazifascismo. La centralità del rastrellamento nazista del Quadraro sta in questo nesso perché consente di avere una “chiave” che apre una porta e dà altra luce e altra dimensione alla ricostruzione della Resistenza a Roma. Possiamo parlare, a questo proposito, della Resistenza come “lotta costituente”, nel senso proprio di conquista della democrazia repubblicana e in quello della costruzione di una memoria condivisa e di una identità politica e culturale. Con un’altra immagine, potremmo parlare della costruzione di una nuova “coscienza” di sé e una nuova narrazione della società, che dall’esperienza della Resistenza si proietta nella costruzione di una nuova democrazia partecipata come leva di un riscatto civile e sociale.

Si avvia un nuovo protagonismo dal basso: quelli che erano i “fantasmi”, esclusi socialmente ed urbanisticamente, prendono corpo e parola e conquistano un ruolo propulsivo per sé stessi e per l’intera società.

Walter De Cesaris, Anpi “Nido di vespe” Quadraro-Cinecittà, Roma, già deputato, autore del libro “La borgata ribelle” (Edizioni Odradek 2004)