Un momento della cerimonia civile e religiosa ad Ancona (www.comuneancona.it)

In occasione della festa del santo patrono di Ancona, il 4 maggio, l’amministrazione comunale consegna i “ciriachini”, che prendono il nome dal protettore, san Ciriaco di Gerusalemme: civiche benemerenze a cittadine e cittadini meritori. E quest’anno su proposta dell’Anpi di Ancona, un riconoscimento è stato attribuito alla memoria di una donna del popolo dal nome semplice e bellissimo: Alda.

La carta d’identità di Alda Renzi Lausdei

Per la precisione, Alda Renzi Lausdei: una sarta rimasta vedova a soli 26 anni che, dopo l’occupazione nazista di Ancona, riuscì a salvare la vita a diversi soldati dello sbandato esercito monarchico, consegnati dai tedeschi nella caserma Villarey e destinati alla deportazione in Germania. E così, pochi giorni fa, il gesto altruistico e coraggiosissimo che questa donna compì 79 anni fa è stato finalmente valorizzato.

(www.comuneancona.it)

Eroina? Sicuramente Alda lo è stata e al suo ricordo la città si inchina, ma bellissime e pungenti sono state anche le parole pronunciate nel corso della cerimonia dalla nipote, Milvia Burattini, figlia di una figlia di Alda, la quale dal palco, ritirando l’ambito attestato e tenendo per mano i suoi nipotini, non ha esitato a pronunciare parole importanti e struggenti: “Alda – ha detto – è stata eroina in tutta la sua vita, rimase vedova a soli 26 anni (il giovane marito morì di spagnola) e da sola allevò le sue quattro figlie… e Alda riteneva giusta quella società che non ha bisogno di eroi”. Non poteva immaginare che proprio lei sarebbe stata ricordata come eroina.

Una foto d’epoca di caserma Villarey (corriereadriatico.it)

La vita per Alda fu dura, ma non indurì il suo cuore. Durante i terribili giorni dell’occupazione nazista, quando molti soldati italiani dopo l’armistizio non accettarono di passare nelle file dell’esercito occupante, la nemmeno cinquantatreenne Alda compì un gesto che ha dell’incredibile, nella sua spontaneità e arguta strategia, doti di cui spesso solo gli uomini e le donne del popolo sono dotati. Siamo ad Ancona, subito dopo la firma dell’armistizio. È il 15 settembre ’43 e i tedeschi sono appena arrivati in città occupando immediatamente i punti più importanti; tutti i soldati vengono rinchiusi nella caserma e in poco tempo si diffonde il panico in città, anche tra quei 3.000 militari forzatamente stanziati a Villarey. Pochi ufficiali erano riusciti a mettersi in salvo spostandosi nella caserma di via Cialdini, tutti gli altri erano stati disarmati e avevano ricevuto l’umiliante ordine di resa. Solo il comandante dell’esercito, Gino Tommasi, futura Medaglia d’Oro alla Resistenza, in quei momenti tenta di organizzare una difesa armata per la città cercando al tempo stesso i primi contatti con le forze partigiane (Tommasi verrà arrestato e morirà a Mauthausen il 5 maggio del 1945).

Il cortile della caserma viene dunque circondato di mitragliatrici tedesche puntate addosso ai militari italiani. Il colonnello Pascucci dopo la guerra racconterà di “come vennero trattati e umiliati i soldati italiani rimasti in balia dell’ordine germanico che intimava loro di combattere al fianco dei nazisti e sotto la minaccia di essere spediti nei campi di concentramento oppure uccisi”. Dei tanti soldati presenti solo cinque accettano di proseguire la guerra insieme ai tedeschi, gli altri scelgono la prigionia. Ed è in questo momento che Alda, la sarta sempre al lavoro e che abitava proprio di fronte alla caserma, si improvvisa eroina. Eroi di questo genere non finiscono nei libri di storia ma entrano nei cuori di tutti e prima o poi la storia li riprende con sé. Eroi che emergono proprio nei momenti più difficili, quando la bontà d’animo prevale sulla paura e lo fa con un impeto irrefrenabile e che segue soltanto le regole dell’istinto innato, tendendo verso il bene.

Alcuni momenti della cerimonia di premiazione (www.comuneancona.it)

Alda era già nota all’esercito perché lavorava per le forniture dei soldati, rammendava, cuciva, aggiustava le divise… Andava a prendere ogni tanto le tovaglie per la mensa degli ufficiali, entrava e usciva senza troppe formalità. In poche parole “era di casa” e comincia così a introdursi, eludendo le ispezioni e portando ai soldati abiti femminili o da prete: abiti che servono per farli uscire senza essere né identificati né fermati. Molti riescono così a fuggire, altri purtroppo vengono riconosciuti dalle scarpe da militare che portavano ancora ai piedi. Quando i tedeschi suonano l’allarme antiaereo per confondere la popolazione civile, Alda è già riuscita a mettere in salvo molti soldati che si disperdono nelle periferie prendendo la via delle campagne. È successo proprio a chi scrive di ascoltare anni fa il racconto di alcuni di loro: Romolo Schiavoni, poi divenuto un importante artista, lo scultore che ha realizzato il monumento al partigiano di Arcevia. Ricordo la sua commozione mentre riviveva i momenti di quando si ritrovò agli Archi, il lungomare della città, con gli abiti femminili addosso, ma vivo e libero! Romolo si unì alle file partigiane e mai dimenticò Alda. Fra i soldati salvati c’era anche Remo Baldoni, un ex calciatore dell’anconetana che lasciò testimonianze scritte di quei giorni vissuti a Villarey.

Ritratto di Alda Renzi realizzato da Roberto Cirino (consiglio.marche.it)

Ho anche parlato con la nipote di uno di quei soldati che Alda strappò alla prigionia e che mi ha raccontato commossa la storia di suo zio che purtroppo non c’era più. Suo zio non era un soldato, ma un civile rastrellato per strada e condotto alla caserma, quindi non portando una divisa era avvantaggiato. Grazie ad Alda aveva indossato una sorta di grembiulone da operaia. Aveva un fisico molto muscoloso e mascolino così che non gli sarebbe stato possibile fingersi donna. Per superare l’ostacolo giocò il tutto per tutto fingendosi facchino zoppo. Si caricò un sacco di sabbia sulle spalle e con un’azione diversiva arrivò al portone senza essere visto; lì incontrò un soldato ma finse di essere in entrata e non in uscita. I tedeschi pensarono che fosse un operaio invalido e lo cacciarono via in malo modo minacciando di sparargli alle spalle. Senza correre per non metterli in allarme, fingendo di zoppicare, raggiunse col sacco il portone del “palazzo fiorato”, poco lontano dalla caserma, dove, appena entrato, si sentì male per la tensione e svenne. Quando si risvegliò riuscì a rientrare a casa. Il medico che lo visitò disse che aveva avuto il suo primo infarto, ma era sopravvissuto anche a quello. Insomma: era destino non morisse quel giorno, “visse altri quarant’anni in buona salute e l’infarto definitivo lo ebbe solo nel 1983”. In un articolo di Voce Adriatica dei primi anni 60 un giornalista scrisse che ogni tanto quelli del quartiere davanti casa di Alda, e quindi davanti alla caserma Villarey – oggi sede della facoltà di Economia – vedevano fermarsi qualche sconosciuto curioso e un po’ spaesato.

La lapide esterna al rifugio dove Alda e parte della sua famiglia persero la vita

Erano tutti ex soldati salvati col travestimento, venuti a cercare Alda per mostrarle riconoscenza. Un giorno ne fu notato uno in particolare, arrivato da Udine appositamente per cercare colei che gli aveva salvato la vita ad Ancona nel settembre ’43. Lo si vide sedersi sui gradini e poi piangere, piangere a lungo come un bambino. Aveva bussato al portone, qualcuno gli aveva aperto, ma quel qualcuno gli aveva detto che Alda, la sua eroina dei giorni più terribili, la donna straordinaria che gli aveva salvato la vita con un arguto stratagemma e che avrebbe voluto riabbracciare con tutto il suo affetto, non c’era più, era morta poco dopo la rocambolesca fuga di gruppo nell’Italia in guerra. Alda aveva perso la vita insieme a due delle sue figlie, a un genero e a quattro nipotini, il più piccolo, un maschietto di soli 18 mesi. Erano morti tutti, insieme ad altre 700 persone sotto il bombardamento che aveva distrutto il rifugio dove avevano cercato riparo. Alda era morta così, in un ambiente angusto, senza aria né porte, senza possibilità di difendersi e di difendere chi amava di più al mondo. Era morta “intrappolata”, a pochi metri da casa e dalla caserma di Villarey.

Alessandra Maltoni, direttivo sezione Anpi “Gino Tommasi” di Ancona