“Proprio in Italia, dove per vent’anni regnò la reazione totalitaria, sorge la promessa di un’altra vita. Succede oggi in Italia una cosa incredibile, inaudita: si parla e si discute liberamente, apertamente”. Con questo commento Radio Londra mise in luce, 80 anni fa, uno degli aspetti di fondo del Congresso di Bari dei Comitati di Liberazione Nazionale (Cln), che si svolse nel Teatro Piccinni il 28 e 29 gennaio del 1944. A questa prima manifestazione di libertà dei Cln dell’Italia libera si arrivò dopo una dura lotta contro il governo del generale Badoglio e il re Vittorio Emanuele III, “fuggiaschi a Brindisi” all’indomani delle tragiche vicende dell’armistizio.
Nel capoluogo pugliese le forze dell’antifascismo si ricostituirono immediatamente dando luogo nell’ottobre 1943 alla nascita del Fronte di Liberazione Nazionale con l’adesione di azionisti, socialisti, comunisti, singole personalità della Democrazia Cristiana e dei liberali vicino a Benedetto Croce, trasformandosi nel mese successivo in CLN. Si cercò immediatamente di bloccare il disegno di restaurazione autoritaria monarchico-badogliana in continuità con il passato regime e nei primi giorni di novembre 1943 vennero pubblicati i primi settimanali di partito che ebbero la funzione di indicare i problemi politici sul tappeto.
L’iniziativa di convocare tutti i rappresentati dei Comitati di Liberazione Nazionale dell’Italia meridionale fu assunta dal Cln di Bari il 24 novembre 1943. “Allo scopo di esprimere e orientare unitariamente l’opinione pubblica italiana attraverso apposito organo”. Si scelse inizialmente di convocare il Congresso a Napoli, ma la decisione incontrò il divieto del Quartier generale alleato, su pressione del governo Badoglio. Per le forti proteste degli antifascisti e per l’eco sulla stampa internazionale, gli Alleati ne autorizzarono la convocazione a Bari. L’obiettivo del Congresso dei Comitati di Liberazione fu quello di porre al centro della discussione politica la situazione interna del Paese, i rapporti con le Nazioni Unite, l’apporto alla guerra di Liberazione nazionale e in particolare la questione istituzionale con il passaggio dalla Monarchia alla Repubblica.
Gli uomini del Partito d’Azione, tra cui Vincenzo Calace, Michele Cifarelli, Fabrizio Canfora, Tommaso Fiore, sostenuti dagli organi d’informazione, in particolare da Radio Bari, avviarono nelle settimane che precedettero il Congresso un intenso dibattito che animò la vita politica del Regno del Sud e delle altre province meridionali suscitando un forte interesse sulla stampa del mondo libero. Si denunciò la svolta autoritaria e repressiva della Monarchia dopo il 25 luglio, si indicarono le responsabilità di Badoglio e dei generali dopo l’8 settembre, e si stigmatizzò l’intento delle forze conservatrici di “rinverdire nel Mezzogiorno il vecchio e ormai spento sanfedismo”.
Iniziò a svolgere una funzione di forte contrasto nei confronti dei partiti antifascisti Filippo Naldi – sostenitore nel 1915 di Benito Mussolini, e nel 1924 “per il suo parziale coinvolgimento nelle vicende secondarie del delitto Matteotti” – che assunse la guida dell’Ufficio stampa del Governo di Brindisi nel novembre 1943. La sua opera si dispiegò in pieno con il tentativo di organizzare un contro-congresso, avvalendosi tra l’altro di una formazione politica, i demo-liberali, schierati a difesa della monarchia. Con l’avvicinarsi dell’appuntamento congressuale dei CLN lo scontro si radicalizzò, dando luogo a vicende torbide e inquietanti parzialmente emerse nell’immediato dopoguerra.
Alla vigilia del Congresso, in seguito a un intervento alla Camera dei Comuni di Eden, ministro degli Esteri britannico, si decise la sostituzione di Filippo Naldi e le autorità militari alleate svolsero una attenta azione vigilanza per evitare ulteriori ostacoli al sereno svolgersi dell’assemblea dei partiti democratici.
Ad aprire i lavori della prima assemblea libera delle forze dell’antifascismo, il 28 gennaio 1944, fu il giudice Michele Cifarelli, segretario del Cln pugliese che aveva svolto una intensa attività clandestina nel movimento liberal socialista, confluito nel partito d’azione, arrestato pochi mesi prima della caduta del fascismo. Dai discorsi ed interventi, susseguitesi nelle due giornate, quelli di Croce e di Tommaso Fiore ebbero il merito di riassumere il senso ideale e morale che aleggiava tra i rappresentanti di una Italia nuova. Rivolgendosi soprattutto ai principali interlocutori del momento (gli alleati) Croce affermava: “che fintanto che rimane a capo dello Stato la persona presente del Re, noi sentiamo che il fascismo non è finito che esso ci rimane attaccato addosso, che continua a corrodere e a infiacchire, che risorgerà più o meno camuffato e insomma che così non possiamo respirare e vivere”(1).
Croce non perdeva l’occasione di stigmatizzare l’opera di un governo caratterizzato da una “accolta di semiministri, di sottosegretari, di ministri inesistenti, che sono destituiti di ogni autorità” e indicava infine “l’urgente bisogno dell’Italia, la possibilità per lei di mettersi alacremente al lavoro che ora le viene intralciato o le è troncato. E l’Italia deve essere rispettata ed ascoltata”. Infine nella parte finale del suo discorso il filosofo napoletano metteva in luce il significato internazionale delle vicende politiche italiane, ed affermava: “L’Italia è la prima terra d’Europa che viene ad essere liberata dal fascismo-nazismo e dagli invasori tedeschi; e dall’assetto che essa prenderà col favore delle nazioni alleate i popoli degli altri paesi europei guarderanno come a saggio della nuova vita”(2).
Anche Tommaso Fiore nel suo intervento evidenziò il significato ideale del Congresso, il ruolo reazionario della monarchia, principale ostacolo al rinnovamento del Paese, e rivendicò con forza il ruolo dei partiti del Cln dell’Italia libera, con queste parole: “Noi siamo il popolo d’Italia. Nessuno ci potrà impedire di riunirci dove e quando vogliamo, siamo il nuovo governo, la democrazia, l’avvenire d’Europa. Tali ci ha salutato il parlamento inglese, tali ci vogliono in America e in Russia, tali ci impone la nostra coscienza, quello scoglio che è in noi e che è più forte di noi, contro il quale il fascismo si è rotto le unghie”.
La richiesta di “abdicazione immediata del Re responsabile delle sciagure del Paese e la formazione di un governo con la partecipazione di tutti i partiti rappresentati al congresso” costituì l’aspetto più importante della mozione votata dalle diverse forze del Cln che riuscirono non senza contrasti (le sinistre chiedevano una svolta radicale) a raggiungere un accordo comune. Il pronunciamento di condanna esplicita del Re servì a chiarire ambiguità e trasformismi tra gli esponenti dei partiti.
Il significato più alto del Congresso di Bari fu evidenziato dallo storico Giorgio Spini che in occasione del XX anniversario affermò: “Tutto questo può sembrare miracolo a ricordarsi. Giacché fu fatto nelle peggiori condizioni immaginabili, con un Paese stremato dalla fame, ridotto in macerie dalla guerra, soggetto all’occupazione di forze alleate in cui il popolo italiano vedeva bensì dei liberatori e degli amici, ma di cui erano tutt’altro che definite le intenzioni e non sempre favorevole il giudizio sulle possibilità della nostra rinascita in libertà. E tutto questo fu fatto in dignità e compostezza mirabili, dominando perfino giustificate impazienze, dando un primo solenne esempio di civile costume all’interno e all’esterno. Non vi è bisogno certamente di ricordare che il Congresso di Bari sia stato il primo anello della catena che ci ha condotti alla Costituente ed all’avvento della Repubblica”.
NOTE
(1) Cfr. Gli atti del Congresso di Bari, prima libera assemblea dell’Italia e dell’Europa liberata – Teatro Comunale «Piccinni», 28-29 gennaio 1944, Edizioni Messaggerie Meridionali, Bari 1944 (testo stenografico), pp. 17-22 (discorso inaugurale di Croce);
(2) Ivi, pp. 34-43 (relazione prof. Fiore).
29 gennaio 2024, dall’intervento del presidente nazionale Anpi, Gianfranco Pagliarulo, alla celebrazione dell’80° anniversario del Congresso CLN (Comitati di Liberazione Nazionale) a Bari
«Sono onorato di portare il saluto dell’ANPI a una celebrazione che, a ben vedere, parla di quella comunità nazionale pluralista che chiamiamo Repubblica democratica e antifascista, che comincia in qualche modo a delinearsi qui, esattamente ottanta anni fa (…). Fu allora, dopo quattro mesi di Resistenza al centro e al nord, che cominciava a germogliare quel patrimonio di riflessioni sulla democrazia che era stato seminato nel ventennio, da Gobetti a Gramsci, dai Fratelli Rosselli al Codice di Camaldoli, dal Manifesto di Ventotene a Eugenio Curiel, a Giuseppe Dossetti, a tanti altri. Fu anche attraverso quella cruna che passò l’avvio della rottura fra lo Stato fascista e prefascista e lo Stato nuovo, che si conclamò simbolicamente il 25 aprile e si proclamò concretamente il 2 giugno 1946 col referendum istituzionale e poi il 27 dicembre 1947, quando fu promulgata la Costituzione.
Fu rottura con lo Stato fascista, ma anche con la monarchia, sulle cui spalle ricadeva non solo la fuga da Roma dell’8 settembre, ma anche il rifiuto della firma dello stadio d’assedio dichiarato dal governo Facta durante quel drammatico ottobre 1922, in occasione della marcia su Roma, dopo la quale Vittorio Emanuele incaricò Mussolini di formare un nuovo governo. Rottura, ho detto, e non un semplice superamento, dietro cui si può nascondere una qualche continuità, un trascinamento delle scorie del passato. Di quella rottura il 28 e 29 gennaio del 1944 fu l’annuncio».
BARI, 29 GENNAIO ’44, RINASCE LA CGL
La ricostruzione della vita sindacale su basi libere avvenne 80 anni fa, in sintonia con quello dei partiti antifascisti uniti sotto l’egida del Cln. A Bari, il 29 gennaio 1944, si svolse la prima assemblea della Confederazione Generale del Lavoro, dopo venti anni di regime mussoliniano.
Nella sede del dopolavoro postelegrafonici, 500 delegati delle provincie liberate furono accolti da Pietro Stallone, segretario nazionale del sindacato postelegrafonici, molto attivo negli anni della clandestinità, protagonista il 9 settembre 1943 a Bari di uno dei primi episodi di Resistenza antinazista nella difesa del Palazzo delle Poste (dopo la liberazione, fu uno dei più attivi collaboratori di Giuseppe Di Vittorio).
In quella storica assise furono presenti i protagonisti delle lotte del mondo del lavoro del primo dopoguerra che avevano opposto una strenua resistenza alla violenza degli agrari, degli apparati repressivi dello stato e dello squadrismo fascista, tra cui Raffaele Pastore e Domenico De Leonardis, grandi organizzatori, negli anni Venti, del movimento contadino e cooperativistico, della Camera del lavoro confederale del Capoluogo pugliese che aveva sede in via De Rossi. Caratterizzarono quella prima assemblea gli esponenti dell’Alleanza del Lavoro costituitasi nel 1922, tra cui Francesco Favia, direttore di Puglia Rossa (il settimanale socialista su cui scriveva Giuseppe Di Vagno, l’onorevole socialista di Conversano assassinato dai fascisti nel settembre del 1921), Nicola Capozzi, Vito Pappagallo. Ventidue anni prima, sotto la guida di Di Vittorio, Piero Delfino Pesce (direttore del settimanale Humanitas), di Filippo d’Agostino (deportato e morto a Mathausen), tutti erano stati protagonisti della strenua difesa, delle sedi sindacali dei ferrovieri, portuali, tipografi, chimici, meccanici, edili, tabacchine, panettieri, spazzini. Sostenuti dalla popolazione, gli esponenti dell’Alleanza del Lavoro impedirono, nei giorni dello “sciopero legalitario” dei primi di agosto del 1922, a fascisti e forze dell’ordine di penetrare nella Città vecchia dove aveva sede l’altra Camera del Lavoro che aderiva all’Usi.
Ventidue anni dopo, la folta rappresentanza dei ferrovieri aveva un suo punto di riferimento in Roberto Anglani, originario di Ostuni, capostazione e noto esponente socialista, che non aveva piegato la schiena alle intimidazioni, arrestato nel 1943 assieme e al nutrito gruppo di liberal socialisti di Bari. Confluirono nel capoluogo pugliese tra gli altri i protagonisti della lunga resistenza al regime mussoliniano, delle diverse provincie pugliesi, con alle spalle gli anni duri della carcerazione e del confino tra cui il bracciante povero di Sansevero Luigi Allegato (eletto nel 1946 alla Costituente), Domenico Gugliotti di Minervino Murge, Carlo Mauro di Galatina, noto per i moti di Nardò del 1920 e Pietro Refolo di Maglie esule a Parigi, arrestato e consegnato alle autorità italiane nel 1943 e spedito nelle isole confinarie.
Furono presenti in quella prima manifestazione libera del mondo del lavoro esponenti dei contadini senza terra e dei braccianti di Andria (capitale contadina della Puglia), Cerignola, Spinazzola, Santeramo, Canosa, Barletta, Gravina, Copertino, Veglie, Castellaneta, tra cui Vito Guida, Giacinto di Nunno, Michele Damiani, tutti perseguitati per il dissenso nei confronti del fascismo e per le loro idee di giustizia sociale. La realtà operaia dei cantieri navali di Taranto era rappresentata da Giuseppe Latorre e quella di Brindisi da Giuseppe De Tommasi e Francesco Ricci di Ceglie Messsapica (esule a Parigi) che organizzò la Cgl in tutta la provincia e fu candidato alla Costituente.
Assieme ai protagonisti dei moti popolari a Irsina, Matera, Crotone, erano confluiti a Bari, tra gli altri, esponenti sindacali di Potenza, Cosenza, Catania, Reggio Calabria, Salerno assieme a rappresentanti della difesa dei molti lavoratori tra cui Vito Balzano noto per il suo impegno sin dal primo dopoguerra. I partiti antifascisti del capoluogo pugliese avevano affidato la loro rappresentanza a Giacomo Schirone azionista (reduce dalla guerra di Spagna e dall’esilio in Francia), Eugenio Laricchiuta, socialista (uno dei fondatori della Societa “Humanitas” a Bari nel 1920), assieme a rappresentanti liberali e democristiani.
Si pervenne dopo una ampia relazione alla elezione di un comitato provvisorio ad una deliberazione nella quale si affermava la ricostituzione della Confederazione generale del lavoro Italiano, “per riprendere il suo glorioso cammino che il fascismo, espressione più cieca dei ceti agrari italiani, vanamente ha tentato di interrompere, cercando di annullare la coscienza di classe dei lavoratori italiani nel 1922”. Fu approvato un programma che prevedeva”la ricostruzione delle Camere del lavoro, “l’attivazione delle commissioni interne sui luoghi di lavoro”, “la riorganizzazione del movimento cooperativistico” e fu presentato un ordine del giorno in cui si esprimeva la volontà dei lavoratori di veder ricostituito immediatamente un governo delle regioni liberate d’Italia a larga base popolare per la cacciata della Monarchia e di tutti i complici del fascismo”.
Vito Antonio Leuzzi, presidente Istituto Pugliese per la Storia dell’Antifascismo e dell’Italia Contemporanea “Tommaso Fiore” di Bari
Pubblicato venerdì 26 Gennaio 2024
Stampato il 13/12/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/servizi/bari-gennaio-1944-la-parola-ai-comitati-di-liberazione-nazionale-e-al-sindacato-libero/