Roberto Fiore e Giuliano Castellino (Imagoeconomica)

“Non si scioglie un movimento portatore di idee” ha riportato in un tweet il leader di Forza Nuova Roberto Fiore. A fargli eco, anche l’esponente romano del movimento neofascista Giuliano Castellino: “Restiamo un movimento organizzato dentro una più ampia coalizione. Come il Pci nel Cln. E questo è a tutti gli effetti un comitato di liberazione nazionale contro la dittatura sanitaria” (fonte FascinAzione.it).

Queste dichiarazioni sono arrivate all’indomani della notizia, riportata dai principali organi di informazione nazionale, dello scioglimento della formazione di estrema destra per confluire nel nuovo soggetto politico Italia Libera, del noto avvocato Carlo Taormina, i no mask e i gilet arancioni dell’ex generale dei carabinieri Antonio Pappalardo, proponendosi come governo alternativo a quello esistente che opprime il Paese in una cosiddetta “tirannia pandemica” e volendolo inoltre “liberare” dall’Unione Europea e dall’euro. Affermazioni che danno vita al più grande ossimoro attuale, secondo cui chi intende opporsi a una presunta dittatura (quella sanitaria) ne suffraga un’altra (quella del Ventennio) che commise atrocità, macchiandosi di crimini di guerra, promulgando e applicando le leggi razziali, sterminando in Etiopia ed Eritrea militari e civili con il ricorso ai gas chimici banditi dalla comunità internazionale e che soppresse ogni libertà politica, civile e sociale.

Nello scorso autunno, giorni e notti di violenze nelle strade di molte città italiane contro le misure di contrasto alla pandemia. Le bandiere sono quelle di Forza Nuova (foto Imagoeconomica)

Affermazioni, quelle degli esponenti di Forza Nuova, che creano un grottesco parallelismo con il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) del 1943, nato dai partiti dell’antifascismo storico i cui membri pagarono con il carcere, il confino, l’esilio e la morte per la propria opposizione al nazifascismo (per inciso, la rivista del Cln veneto, su cui scrisse anche l’accademico e futuro padre costituente Concetto Marchesi, si chiamava “Fratelli d’Italia)”.

C’è, inoltre, poca originalità, se non addirittura del tragicomico, nell’uso improprio di alcune locuzioni, come quelle dei comunicati delle manifestazioni avute luogo negli scorsi mesi a Napoli, Roma, Verona, Torino, Milano contro il lockdown e altre misure governative per contenere l’epidemia da parte di quei gruppi in seguito confluiti in Italia Libera. Ne sono un esempio “marcia della liberazione” e “resistenza alla tirannia del covid”.

Anche la scelta dell’intitolazione del nuovo soggetto politico segue questi canoni: sotto il nome “L’Italia Libera”, infatti, nel 1943, nacque il giornale ufficiale del Partito d’Azione dalle cui colonne si dava battaglia al regime fascista. Sin dalla loro nascita, gli estremisti di destra hanno sempre giocato con le parole, appropriandosi di termini, analisi, concetti della tradizione socialista e comunista.

Il primo numero di Ordine nuovo

Le stesse denominazioni di “fascismo” e “Fasci italiani di combattimento” richiama i socialisti Fasci siciliani dei lavoratori che tra il 1891 e il 1894 costituirono in Sicilia un movimento organizzato da contadini, minatori e operai. La stessa strategia si è continuata a registrare negli anni successivi, come attestano “Fronte della Gioventù”, organizzazione giovanile comunista nata nel 1944 da ragazze e ragazzi impegnati nella lotta di liberazione dal nazifascismo, usato nel 1971 per definire il gruppo giovanile del Movimento sociale italiano e “Ordine Nuovo”, rivista fondata nel 1919 dall’intellettuale Antonio Gramsci con cui si definì anche il movimento nato a fine anni Sessanta implicato nella strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969. Ordine Nuovo venne sciolto con l’applicazione della legge Scelba sul divieto di riorganizzazione del partito fascista, e i suoi principali esponenti condannati grazie ad anni di indagini da parte del magistrato Vittorio Occorsio, assassinato nel 1976 a Roma da una raffica di mitra. Vicino al suo cadavere vennero lasciati dei volantini in cui il gruppo di estrema destra ne rivendicava l’omicidio per aver “servito la dittatura democratica perseguitando i militanti” del movimento.

L’immagine simbolo di Ernesto Che Guevara, riprodotta su t-shirt e poster

In tempi più recenti, CasaPound è riuscita persino ad appropriarsi dell’icona di Ernesto Che Guevara nei propri manifesti. Negli anni Sessanta, il noto rivoluzionario argentino aderì, al fianco di Fidel Castro, al movimento che destituì il dittatore cubano Fulgencio Batista. In seguito volle attuare la rivoluzione socialista anche in Congo e in Bolivia, dove venne catturato dalle forze governative e ucciso. Il suo motto “Patria o muerte” oggi seduce anche gli estremisti di destra per i quali esiste «lo spazio per un fascismo rivoluzionario e sociale, un fascismo moderno che tiene insieme le soggezioni dello squadrismo d’azione e il mito rivoluzionario dell’autodeterminazione dei popoli. Insomma Marinetti e Che Guevara» afferma il giornalista Carlo Bonini nel documentario “Fuori dalle fogne”, in riferimento allo slogan “fascisti, carogne, tornate nelle fogne!” gridato negli anni Settanta nelle piazze.

Antonio Gramsci

CasaPound ha inoltre incorporato tra i propri numi Antonio Gramsci, uno dei fondatori del Partito comunista italiano, e la sua elaborazione di “egemonia culturale”, attuata attraverso un percorso ben preciso costituito da incontri e dibattiti di grande richiamo mediatico con l’intento di dominare a livello sociale e politico, come viene ben descritto da Elia Rosati, docente dell’università di Milano, in “CasaPound Italia. Fascisti del Terzo millennio” (Mimesis, 2018). Da ciò, un altro paradosso: l’appropriazione (indebita) da parte dei “fascisti del terzo millennio” del pensiero di una personalità a cui è stato impedito “di funzionare per almeno vent’anni” (così il pubblico ministero affermò nella sua requisitoria, durante il processo subito dall’intellettuale comunista nel 1928; l’arresto risale al 1926) e che in prima persona pagò le persecuzioni politiche del fascismo. Quel cervello non smise mai di funzionare e produsse in carcere una vastità di riflessioni che ne fanno, ancora oggi, uno dei pensatori più studiati a livello internazionale sotto il profilo politico e culturale. Morì nel 1937 dopo undici anni di reclusione.

Mariangela Di Marco