(Imagoeconomica, Saverio De Giglio)

È l’11 aprile quando l’Ansa diffonde un comunicato del ministro per la Protezione civile e le Politiche del mare, Nello Musumeci, con cui si informa che “il Governo ha deliberato lo stato di emergenza su tutto il territorio nazionale a seguito dell’eccezionale incremento dei flussi di persone migranti attraverso le rotte del Mediterraneo. Lo stato di emergenza, sostenuto da un primo finanziamento di cinque milioni di euro, avrà la durata di sei mesi”.

La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, nella Repubblica Federale Democratica di Etiopia (Imagoeconomica)

Continuava Musumeci: “Abbiamo aderito volentieri alla richiesta del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ben consapevoli della gravità di un fenomeno che registra un aumento del 300 %. Sia chiaro, non si risolve il problema, la cui soluzione è legata solo a un intervento consapevole e responsabile dell’Unione Europea. Con lo stato di emergenza si potranno realizzare procedure e azioni più veloci per offrire ai migranti soluzioni di accoglienza in tempi brevi con adeguati standard”.

Dopo il decreto Cutro, varato all’indomani del naufragio del 26 febbraio scorso e ora in discussione al Senato, è l’ultimo aggiornamento delle politiche messe in campo dall’esecutivo Meloni relativamente ai numerosi sbarchi che, ancor prima dell’arrivo della bella stagione, stanno interessando le coste peninsulari italiane, particolarmente in Calabria.

(Imagoeconomica)

Nei “desiderata” governativi, con fondi pari a 5 milioni di euro, il controllo della situazione sarà affidato alla Protezione Civile e alla Croce Rossa, e si potranno inoltre aumentare e rafforzare le strutture finalizzate al rimpatrio dei non aventi diritto alla permanenza in Italia (i Cpr), potenziando le attività di identificazione ed espulsione.

(Imagoeconomica, Sara Minelli)

Per gli addetti ai lavori, però, non è con la gestione emergenziale che si risolvono problematiche di questa portata. E ciò è attestato dalla storia della baraccopoli di San Ferdinando, Piana di Gioia Tauro, provincia di Reggio Calabria, un ghetto esistente da circa 15 anni.

Chiediamo ad Alice Tarzariol, coordinatrice del progetto “Terra Giusta” di Medu, Medici per i diritti umani.

La baraccopoli di San Ferdinando, Piana di Gioia Tauro, RC (foto MEDU/Valerio Muscella)

«Una volta la tendopoli veniva data dal Comune in gestione a varie cooperative. Da tempo non è più così, la tendopoli non è più gestita da nessuno. L’obiettivo dichiarato dal Comune di San Ferdinando era quello dello smantellamento della tendopoli, ma non è stata offerta nessuna soluzione alternativa. Il risultato è che da tendopoli l’insediamento si sta trasformando ancora una volta in baraccopoli. Non riusciamo nemmeno a capire quante persone ci vivano; prima c’era un ingresso, con un minimo di controllo, ora non più».

Per la volontaria: «Occorre creare iniziative di incontro tra i migranti e i cittadini della zona. Ci sono moltissime case sfitte e inutilizzate che potrebbero essere messe a norma e utilizzate per porre fine all’emergenza. Questi ragazzi tornano nella piana di Gioia Tauro ogni anno e alcuni sono ormai stanziali. Sono qui o ci tornano di anno in anno per lavorare, sostengono ritmi pesantissimi. Fornire loro la possibilità di vivere in maniera dignitosa è un dovere».

Continua Tarzariol: «La storia degli ultimi anni attesta che la precedente tendopoli, al tempo in cui il ministero degli Interni era gestito da Matteo Salvini, con modi molto simili a quelli degli sceriffi nel lontano Far West, fu sgomberata ed è stata trasformata in baraccopoli con costruzioni in legno e lamiera, poi di nuovo in tendopoli e ancora in baraccopoli. Sempre fatiscente: i braccianti, spesso arruolati e sfruttati dai caporali per il lavoro nei campi, vivono in condizioni di abbandono. I servizi essenziali come elettricità, acqua calda, smaltimento rifiuti, manutenzione dei servizi igienici sono del tutto assenti. Ogni tanto, in inverno, lo stesso ghetto prende fuoco».

(Imagoeconomica)

Il 27 gennaio 2018 morì in un incendio la ventiseienne nigeriana Becky Moses. Nel febbraio 2019 in un incidente analogo morì il lavoratore senegalese Moussa Ba. La situazione era già da lustri grave. Il 7 gennaio 2010, per esempio, due lavoratori che rientravano dagli agrumeti alla fine della giornata furono feriti a fucilate. Seguirono proteste e cortei, giorni di scontri tra i migranti e una parte di abitanti della zona, mentre i membri della ’ndrangheta organizzarono spedizioni violente contro i migranti. I lavoratori stagionali stranieri, che prima popolavano edifici dismessi, vennero allontanati dal centro abitato e isolati.

«Lo sfruttamento di questi lavoratori, nell’indifferenza generale, è sotto gli occhi di tutti – precisa Alice Tarzariol di Medu –. Sono pochi gli assunti e anche loro sono sfruttati dai “caporali”, come vengono chiamati coloro che gestiscono una sorta di “ufficio di collocamento privato”, spesso gestito dalla ’ndrangheta. Gran parte dei lavoranti sono occupati dai cinque ai dieci giorni al mese. Quelli sfruttati in agricoltura lavorano 7 giorni su 7, ma esistono anche dei contratti fasulli di durata quadrimestrale in cui non risultano i giorni settimanali effettivi e neppure la “tangente” che occorre versare agli stessi “caporali” che trovano agli operai il lavoro. E lo Stato che fa? Come cantava De André “si costerna, s’indigna, s’impegna poi getta la spugna con gran dignità”».

La Caritas a San Ferdinando

Una delle poche certezze per i migranti è la presenza della Caritas diocesana, guidata da Cecé Alampi, per decenni responsabile dei servizi sociali nel Comune di Taurianova e attualmente ministro regionale dell’Ordine francescano secolare che con i suoi volontari offre pane, calore e fraternità a coloro che altri sfruttano e chiamano “Niguri”.

Sino alla clamorosa indagine che si è svolta alcuni anni fa, sull’“isola felice” rappresentata dal Comune di Riace guidato da Mimmo Lucano. La cittadina, uno dei “Borghi più belli” in Calabria era il simbolo di una accoglienza contrapposta alla retorica dei porti chiusi. Nei primi anni 2000, Lucano anche per fronteggiare lo spopolamento di queste cittadine madri di migliaia di migranti, aprì la cittadina a. giovani donne e uomini approdati sullo Jonio calabrese facendo rinascere vecchi borghi abbandonati. Quest’utopica gestione dell’immigrazione, studiata da numerosi governi europei, produsse positività a pochi chilometri da Stilo, dove nacque nel 1568 Tommaso Campanella. Il religioso e filosofo autore della “Città del Sole” che per sfuggire al Regno borbonico dovette riparare in Francia, dove morì, fra gli onori tributatigli dalla Corte nel 1639. Scrisse in uno dei suoi più noti sonetti: Io nacqui a debellar tre mali estremi/tirannide, sofismi, ipocrisia;/Carestie, guerre, pesti, invidia, inganno,/ingiustizia, lussuria, accidia, sdegno,/tutti a que’  tre gran mali sottostanno,/che nel cieco amor proprio, figlio degno/d’ignoranza, radice e fomento hanno.

Mimmo Lucano

Nella Riace di Mimmo Lucano, i migranti venivano ospitati nelle case ormai vuote di chi era emigrato per cercare fortuna altrove, e i soldi pubblici destinati all’accoglienza venivano spesi per borse lavoro, formazione, apertura di piccole attività commerciali in collaborazione con gli abitanti. Il 30 settembre 2021 la condanna in primo grado a tredici anni e due mesi, con l’accusa di far parte di un’associazione a delinquere responsabile di abuso d’ufficio, truffa, concussione, peculato, turbativa d’asta, falsità ideologica e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Fu allontanato dalla cittadina, senza neppure potersi prendere cura dell’anziano padre malato.

(Imagoeconomica, Alessia Mastropietro)

Nell’incertezza di come andrà a finire il processo, di una cosa Mimmo Lucano è sicuro: «L’Occidente, con le sue politiche, obbliga migliaia di esseri umani ad avere come unica soluzione quella di intraprendere viaggi della speranza che poi sono viaggi della tragedia. Sono tragedie fisiologiche in un’Europa che alza muri e fili spinati e poi fa a scaricabarile sulle responsabilità».

In una recente visita a Crotone dopo il nubifragio cutrese dello scorso 26 febbraio aggiungeva che, a sua detta «si prende sempre più coscienza, comunque, che queste tragedie sarebbero evitabili. Per me i migranti sono stati preziosi cittadini che hanno fatto rinascere i luoghi. Penso ancora oggi che l’accoglienza sia una strada da percorrere, a patto che le norme non siano sempre orientate a penalizzare e a respingere. Di cosa abbiamo paura? Hanno creato l’industria della paura a livello mediatico»

Francesco Rizza, giornalista e componente Anpi di Petilia Policastro (KR)