Giorgio Alberto Chiurco, ras del territorio senese, non fu una figura di primo piano del fascismo, tuttavia, ha più volte attirato su di sé l’attenzione dei ricercatori, tra cui Michelangelo Borri dell’ateneo triestino, studioso che, a fine 2022, ha dato alle stampe “Giorgio Alberto Chiurco. Biografia di un fascista integrale”, edito da Unicopli.

Nel campo della storiografia il concetto di ‘definitività’ è sempre stato visto, giustamente, con sospetto dagli addetti ai lavori e se anche l’opera di Borri non ha tale pretesa, questa biografia getta una luce fondamentale e si impone per la sua imprescindibilità a tutti coloro che, negli anni a venire, vorranno studiare una figura, come quella di Chiurco, per molti aspetti controversa nel capitolo della storia del Novecento, sia locale sia nazionale.

Già prima dell’ondata revisionista e mistificatrice segnalata dal pool di autori del collettivo “Wu Ming” e dal gruppo “Nicoletta Bourbaki” (ondata che operò, tra l’altro, una parziale riscrittura giustificatrice delle azioni del ras senese sull’enciclopedia on line Wikipedia) la figura di Giorgio Alberto Chiurco era già stata inserita, da alcuni ambienti nostalgici della Città del palio, in una sorta di materiale ‘mitologico’ sotteso a riscrivere la storia del fascismo senese in chiave assolutoria. Tale costruzione, puntellata da alcune opere di memorialistica come quella di Pietro Ciabattini (“Quando i senesi salvarono Siena”), una volta sottoposta al rigoroso vaglio dell’indagine storiografica da parte di Michelangelo Borri evidenzia tutta la sua fragilità.

Non solo. Partendo dall’analisi del caso localistico, il punto di vista del ricercatore si allarga all’intero contesto nazionale ed europeo fornendo un’ulteriore chiave di lettura del fenomeno del fascismo italiano, dalla nascita alla mancata epurazione del Secondo dopoguerra, ossia lo studio degli snodi fondamentali del regime, quelli che collegavano l’élite centrale alle realtà locali da cui il fascismo dei primordi aveva tratto la sua forza.

Michelangelo Borri, concordando con lo storico Duccio Balestracci, sostiene che Siena fu una delle città più fasciste d’Italia e dimostra che uno degli artefici di questa fascistizzazione fu senz’altro Chiurco, uno studente di medicina proveniente, nel Primo dopoguerra, dall’Istria appena ‘redenta’.

Il giovane, nonostante millantasse una militanza da patriota italiano antiaustriaco, aveva alle spalle un passato assai poco trasparente, segnato, probabilmente dall’attivismo nei reparti sanitari dell’esercito di Francesco Giuseppe. Trasferitosi presso l’ateneo patavino alla fine del conflitto, l’istriano aveva conosciuto il movimento fascista aderendovi entusiasticamente per poi portare con sé le proprie convinzioni nel successivo approdo a Siena, dove era giunto in pieno Biennio rosso per completare gli studi di medicina. E fu proprio all’ombra della Torre del Mangia che Chiurco iniziò a costruire la sua carriera.

Particolarmente abile a sfruttare la congiuntura favorevole, lo studente capitalizzò le capacità di organizzatore e propagandista, arrivando in poco tempo ai vertici del movimento fascista locale che in quei mesi, grazie all’appoggio economico dei grandi proprietari terrieri nonché alla connivenza di buona parte dell’entourage politico-amministrativo liberale, stava facendo il salto di qualità. L’attività del giovane istriano era instancabile: fu presente all’assalto della Casa del Popolo di Siena, guidò la rappresaglia contro Grosseto a seguito dell’uccisione di Rino Daus, partecipò a buona parte dei più importanti assalti squadristi contri gli oppositori politici sul territorio e infine alla marcia su Roma.

Ancora. Chiurco fu una figura poliedrica capace di usare, oltre all’azione, anche il calcolo politico nonché le sue qualità di intellettuale e di scienziato. Quando le turbolenze del fascismo e dei gruppi di potere senesi lo costrinsero, temporaneamente, ad allontanarsi dai vertici del partito, egli seguì sempre le direttive con disciplina, pronto a tornare in sella nei momenti opportuni alla cui preparazione, nel frattempo, lavorava meticolosamente.

Caso esemplare, afferma Borri, è quello della redazione della monumentale “Storia della Rivoluzione Fascista (1919-1922)”, pubblicata nel 1929 in cinque volumi, opera che, redatta in un momento poco brillante, restituì l’istriano alle grazie dei vertici. La fedele militanza fascista del resto lo ripagò e, oltre ad aiutarlo nella carriera accademica, gli spalancò le porte della Camera dei deputati nella XXVIII legislatura.

Un aspetto di rilievo nella vita dell’istriano fu senz’altro il rapporto privilegiato con il mondo tedesco a cui la formazione giovanile mitteleuropea aveva dato un contributo fondamentale. Ebbe modo di conoscere il nazionalsocialismo nella fase cruciale della scalata al potere e lo ammirò da subito, nonostante le diffidenze di molti fascisti come lui.

(Istituto storico della Resistenza senese “Vittorio Meoni”)

Del nazismo in particolar modo, Chiurco abbracciò le teorie eugenetiche degli scienziati di Hitler e le condivise senza riserve all’interno nel monumentale lavoro pseudo scientifico (La sanità delle razze nell’Impero Italiano) da lui redatto a seguito della sua esperienza di ufficiale medico partito volontario per la “campagna d’Etiopia”. E proprio la fedeltà al fascismo e le buone relazioni con gli uomini del Terzo Reich segneranno l’ultimo momento di gloria della fortuna politica del medico istriano che si lega in modo inscindibile alle sorti della Repubblica sociale italiana.

La rinascita del fascismo senese, dopo l’otto settembre, lo vide ancora una volta protagonista e Mussolini, considerati i buoni rapporti con l’occupante tedesco, lo valutò come la persona più idonea per prendere il comando della provincia.

I martiri dell’eccidio di Montemaggio, i 19 partigiani uccisi dalla Gnr il 28 marzo 1944

La fiducia del duce non fu mal riposta: a differenza di altri fascisti storici della città, come il podestà Luigi Socini Guelfi che, nonostante l’adesione al regime saloino, preferì la strada dell’attendismo nel tentativo di ammorbidire le proprie responsabilità precedenti, l’adesione di Chiurco alla Repubblica sociale fu convinta e completa. Una sua chiara colpevolezza nelle pagine più cupe della storia territorio, come il rastrellamento degli ebrei (avvenuto nella notte tra il 5 e il 6 novembre 1943) e prima gli eccidi di Scalvaia e Montemaggio (11 e 28 marzo 1943), non emerge ma, essendo stato al vertice della catena di comando in qualità di prefetto e capo del fascismo locale, è improbabile che sia stato estraneo ai fatti.

Con la Liberazione di Siena, il gerarca fuggì a Brescia dove venne assegnato alla delegazione della Croce Rossa della Repubblica sociale e inviato in Germania per occuparsi dei prigionieri italiani detenuti nei campi di lavoro del Reich, avendo modo di visitare i lager hitleriani.

Ormai la tragedia della Seconda guerra mondiale era prossima alla fine e, dopo la conclusione del conflitto, Chiurco è arrestato e si apre per lui una lunga vicenda giudiziaria.

In prima istanza i magistrati senesi, in quello che fu il più grande processo celebrato in Italia contro i crimini di guerra commessi dai fascisti, condannarono all’ergastolo il medico istriano considerandolo il principale responsabile, insieme al braccio destro Alessandro Rinaldi, delle violenze commesse dagli uomini della Rsi nel territorio senese.

La stagione della giustizia e della conseguente epurazione fu tuttavia di breve durata. Nei successivi gradi di giudizio Chiurco, grazie ai mutamenti politici di quell’epoca, venne assolto per i capi d’imputazione più gravi e amnistiato per gli altri. E non è tutto. Gli venne perfino restituita la dignità di docente universitario e soltanto per la ferma opposizione del rettore Mario Bracci, convinto antifascista, non poté tornare a lavorare a Siena.

Si concluse in questo modo la vicenda di un uomo che visse per tutta la vita in modo coerente e il giudizio che ne dà Michelangelo Borri alla conclusione del suo lavoro è senza appello: «Giorgio Alberto Chiurco fu sostenitore entusiasta del fascismo […] abbracciandone la natura violenta e repressiva […] rimanendo fermo nelle proprie idee di fronte alla prevaricazione delle libertà, alla legittimazione scientifica della discriminazione razziale, all’orrore dei campi di sterminio».

Riccardo Bardotti, istituto storico della Resistenza senese e dell’età contemporanea “Vittorio Meoni” di Siena