«Tutti noi abbiamo sogni, immaginiamo cose.
E se non facciamo niente, non succede niente. […]
Abbiamo imparato dai nostri figli che avevano ragione».
Vera Vigevani Jarach, 7 luglio 2001

«Un colpo di tosse della storia dell’umanità». Così lo storico Carlo Greppi definisce l’ultimo minuto di vita della giovanissima Franca Jarach, appena diciannovenne (1957-1976), che come molti altri esseri umani verrà lanciata da circa 2.000 metri di altezza durante i cosiddetti “voli della morte”, certamente quasi nuda e imbottita di Pentothal (“Pentonaval” nel gergo degli assassini appartenenti al corpo della Marina militare), e il suo corpo verrà inghiottito per sempre dai fondali del Río de la Plata. Desaparecida. Lei come tutti coloro che infaustamente saranno caricati in quegli anni di notte a bordo degli aeromobili Skyvan ed Electra.
L’ultima fatica di Greppi, Figlia mia. Vita di Franca Jarach, desaparecida (Laterza, 2025) ricostruisce la (breve) vita di Franca, figlia di Vera Vigevani e Giorgio Jarach, sequestrata venerdì 25 giugno 1976 (tre mesi dopo il golpe del 24 marzo) e definitivamente scomparsa. Solo vent’anni dopo Marta Remedios Álvarez, sopravvissuta al centro di tortura e detenzione Esma, racconterà a Vera di aver visto Franca viva, ammanettata, incappucciata e con le catene ai piedi. Ma si presume che sia stata uccisa entro l’anno. Greppi ha la capacità di unire i puntini del tessuto familiare, degli ambienti della militanza politica, dell’universo di amici, toglie quella sottile patina di polvere agli album fotografici di amici e parenti, aiuta a far emergere ricordi dalle grinze della memoria. Dipana il cuore della matassa e fa calare il lettore nelle dinamiche familiari e negli eventi storici.

Figlia mia non è una storia a sé, ma inserita nel contesto degli anni più bui dell’Argentina che culminano con l’avvento dell’“ultima dittatura” (1976-1983) che con i suoi crimini efferati strapperà il futuro e i sogni di più generazioni: dei figli, delle figlie, e dei loro genitori. I militari al potere istituzionalizzano la tortura. Rivelerà l’ex ufficiale della Marina Julio César che «l’idea era mettere in mezzo tutti. Agivamo come paramilitari, imparando a inseguire, sequestrare e persuadere al pentimento». Come? «Attraverso la tortura». La “guerra sucia” contro i cosiddetti “sovversivi” e ogni presunto oppositore legittima qualsiasi forma di violenza e di abuso a tutti i gradi della scala gerarchica, tanto che le Forze armate installano oltre novecento centri di detenzione, tortura e sterminio clandestini per lo più nel centro delle città: caserme, questure, unità militari e di polizia, scuole, aziende, fattorie private e altri luoghi di transito sono riconvertiti alla repressione extralegale indiscriminata.

Eppure si stima che solo 1.500 dei 30.000 desaparecidos y desaparecidas, oltre i quattro quinti dei quali avevano tra i sedici e i trentaquattro anni, fossero in effetti guerriglieri, il cinque per cento. Come ha scritto Adrian Bravi nel suo recente Adelaida (2024), la biografia dell’artista argentina Adelaida Gigli, madre dei desaparecidos “Mini” e Lorenzo Ismael, è stata «una specie di Waterloo sotterranea», che ha risucchiato «un’intera generazione». Il «terrore più profondo che la società argentina abbia mai conosciuto» lo definì il giornalista, desaparecido, Rodolfo Walsh nella sua coraggiosa Lettera aperta di uno scrittore alla giunta militare.

Dalla ricerca di Greppi sappiamo che Franca è la migliore allieva del Colégio Nacional di Buenos Aires (Cnba), sul piano del rendimento scolastico una delle menti più brillanti di tutta l’America Latina. Con Il Capitale sotto braccio, è una militante politicamente attiva in ambito studentesco, fino ad entrare nella Gioventù Peronista. In una Argentina travolta dai rapimenti, dagli attentati e dagli assassini della Triple A (AAA — Alleanza anticomunista argentina) ben prima del golpe, la giovane studentessa abbraccia la scelta consapevole di lottare nonostante dal 1974 inizia a vedere i primi caduti nella sua cerchia. Quella di Franca di aderire ad un’organizzazione semiclandestina sin da gennaio del 1975 è, di fatto un “scelta partigiana,” ovvero l’unica opzione possibile in un contesto di violenza e di terrore. «Tutti erano disposti a dare il corpo, l’anima, la vita: lo sapevi che ti potevano ammazzare», ha sottolineato Norma Berti, ex detenuta politica, autrice del libro Donne ai tempi dell’oscurità. Erano ragazzi e ragazze «che avevano consapevolezza che la sfera della militanza argentina era anche una militanza che aveva scelto la lotta armata». Franca fa parte di quella generazione di “giovani adulti”, i chicos, che vogliono cambiare il Paese. Incoscienti, coraggiosi, sfrontati, idealisti, come è giusto che fosse: «Eravamo quasi bambini, ma il gioco era finito», scriverà quasi quarant’anni dopo un suo amico.

Pagherà il suo impegno e il 25 giugno 1976 verrà sequestrata. Iniziano così i gironi infernali attraversati dai genitori, dai familiari e dagli amici per cercare di avere (inutilmente) sue notizie dalle autorità, senza perdere la «fiducia nel genere umano», scrive la madre Vera al consigliere dell’Ambasciata italiana a Buenos Aires Bernardino Osio. Solo dopo pochi mesi, nel 1977, arriverà la spaventosa dichiarazione del generale Saint Jean, governatore militare della provincia di Buenos Aires: «Prima uccideremo tutti i sovversivi, poi i loro collaboratori, poi i loro simpatizzanti, poi coloro che rimangono indifferenti e infine uccideremo i timidi». Bastava che fosse presunta, la militanza, dalla metà degli anni Settanta, per essere assassinati o sparire.
Dopo «un anno di ossessionante esistenza», viene comunicato ai genitori di Franca di «non sperare più». Impossibile accettarlo. Credono, lottano e sperano: «continuiamo a cercare e far cercare senza lasciarci vincere dal muro di silenzio», scrive la madre Vera l’11 gennaio del 1978. Ma anche quando capisce che non troverà più sua figlia, non rinuncia mai alla lotta, ne cambia il piano: «Ma non solo si dimentica, non solo la lotta quotidiana per SAPERE continua, […] ma in tutto questo ci anima, in fondo, una speranza che niente può spegnere: di sapere la verità di ogni caso e di tutti quanti. E così: abbiamo ciascuno il nostro dolore privato e assieme il dolore di tutti».

È una ricerca incessante quella condotta da Greppi. Passa al setaccio carte, documenti d’archivio, album fotografici, testimonianze, fonti dirette e indirette. Franca vive nelle pagine del libro e ne fuoriesce per acquistare, grazie alla penna dello storico torinese, quella tridimensionalità che è anche sinonimo di umanità.
Quella di Franca Vigevani Jarach è una pagina di storia, in modo così compiuto, che mancava nel panorama storiografico. Per la sua giovane età, per la militanza politica, per il dramma della ricerca dopo la sparizione, per la tragica fine della sua vita, Franca rappresenta il simbolo di una generazione di ragazze e di ragazzi, la «generazione migliore» della storia argentina (per dirla con Arrigo Levi) che avrebbero potuto scrivere una pagina diversa del Paese e forse del Sudamerica, e che proprio per questo è stata perseguitata ed eliminata.
Andrea Mulas, storico Fondazione Basso, autore di numerosi libri, ultimo in libreria “L’oro introvabile. Saverio Tutino e le vie della rivoluzione”
Pubblicato venerdì 18 Aprile 2025
Stampato il 25/04/2025 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/terza-pagina/librarsi/la-chica-migliore-allieva-del-colegio-nacional-vittima-della-guerra-sporca-desaparecida-in-argentina/