Da staffetta della Brigata Garibaldi della sesta zona di Roma a collaboratrice di Enrico Berlinguer e di Gianni Rodari, fino all’inarrestabile lavoro per le donne e per le nuove generazioni, la vita di Luciana Romoli, classe 1930, ha un’unica matrice: l’antifascismo. Perché, ci ricorda, “Una volta che si fa la scelta, che si è partigiani, lo si è sempre e per sempre”. Ce lo racconta in una appassionante autobiografia intitolata Luce. Storia di una partigiana che parla alle nuove generazioni ed è realizzata con il contributo delle antifasciste di oggi.

Luciana Romoli riceve il libro a lei dedicato, a consegnarlo la presidente di Anpi Colleferro, Amalia Perfetti

Prima ancora di diventare staffetta, Luce aveva 8 anni quando compì il suo primo gesto di rivolta in difesa della sua compagna di banco ebrea, Deborah Zarfati. Un gesto che le costò caro. Era il 1938 ed entravano in vigore le leggi razziali: “Noi bambine e bambini – spiega oggi – non avevamo chiaro cosa volesse dire leggi e nemmeno razziali, figuriamoci se potevamo avere idea di quali conseguenze avrebbero avuto. Lo capimmo quel giorno”. Come avveniva in tutte le scuole di ogni ordine e grado, anche quel giorno prima delle lezioni si fece l’obbligatorio saluto al duce Benito Mussolini, eia, eia alalà!: “Noi figlie e figli di operai antifascisti di Casal Bertone – quartiere nel quadrante est della Capitale – sostituivamo, sussurrando, eia, eia alalà! con che te possino ammazzà!” scrive la partigiana, in una sequenza di dettagli.

La targa apposta in zona Portico d’Ottavia a Roma

Dopo l’appello, la maestra, una dirigente fascista, disse a Deborah che quello sarebbe stato il suo ultimo giorno di scuola, insultando lei e gli ebrei: loro, i falsi, gli sporchi che avevano fatto crocifiggere Gesù Cristo. È una delle affermazioni cardine dell’antisemitismo, professato, ieri come ora, da chi, stando alla dottrina “Dio, patria e famiglia”, pretende di appartenere alla religione cattolica e dimentica – o probabilmente ignora – che quel crocifisso difeso come simbolo occidentale (e italico) è l’effigie di un ebreo, cresciuto e morto da ebreo. Affermazione ingiuriosa che continua ancora a perseguitare i “colpevoli solo di essere nati”, come spesso ha ricordato la senatrice Liliana Segre.

19 luglio 1943, bombardamento del quartiere romano di Casal Bertone

Poi, prosegue Luciana Romoli, “la maestra afferrò Deborah e la trascinò vicino a una delle finestre. Prese le sue trecce e le legò al cordone della tenda. Immaginatevi la paura nei suoi e nei nostri occhi”. A quella ulteriore umiliazione e a quella forma di bullismo istituzionalizzata che il fascismo rappresentò, tutta la classe si ribellò prima circondando la maestra e spintonandola, poi liberando Deborah. Nonostante il baccano, nessuna delle maestre delle classi vicine intervenne. Le alunne furono mandate tutte a casa, ma la cosa non finì lì. Luciana e la sorella Adriana, di due anni più grande, vollero realizzare dei volantini per denunciare quanto accaduto all’amica Deborah: scritti dal loro padre e stampati dallo zio tipografo, presto si diffusero non solo in tutta la scuola ma anche in tutto il quartiere, con una risonanza tale che le autorità fasciste disposero un’indagine e non fu difficile risalire all’unica tipografia di Casal Bertone. Le due sorelle furono espulse da tutte le scuole del Regno d’Italia e Luce riuscirà a prendere la licenza di quinta elementare a 16 anni, il diploma di ragioneria a 30 e la laurea in biologia a 45.

Luciana Romoli intervistata per il progetto noipartigiani.it

Ma quello sforzo personale e collettivo fu vano perché Deborah fu tra gli oltre 200 bambini che insieme ai loro familiari vennero deportati ad Auschwitz il 16 ottobre 1943, nel corso del vasto rastrellamento che i nazisti, con l’ausilio degli elenchi aggiornati dai funzionari fascisti, perpetrarono ai danni della comunità ebraica della città, colpendo in particolare il ghetto ma spingendosi anche in altri quartieri.

E questo il volume lo spiega bene, inframezzando il racconto della partigiana a paragrafi scritti in corsivo che descrivono il contesto e conducono i lettori e le lettrici dalla storia personale alla cornice socio-politica nazionale. Delle 1.259 persone rastrellate in quella data, sopravviveranno solamente quindici uomini e una donna, Settimia Spizzichino, divenuta testimone storica della Shoah e venuta a mancare nel 2000.

Una giovane Luciana Romoli (noipartigiani.it)

“L’antifascismo non è solo opposizione e una rivolta contro il fascismo, va più in là – afferma nella postfazione del testo Giuseppe Civati, fondatore della casa editrice People. Si applica a tutte le forme di discriminazione e di violenza che possono emergere nella vita sociale. Trasforma un impulso morale in un’opzione politica”, conclude. Questa opzione politica spinse Luciana Romoli, appena tredicenne, insieme alla sorella Adriana, a prendere parte a quell’esercito silenzioso composto da 35mila partigiane che si unirono alla Resistenza. Di queste, 4.653 vennero arrestate, 2.750 deportate e 2.900 uccise. “Non pensate che per le donne fosse facile fare la staffetta partigiana” – chiosa Luce –. Era un mondo di uomini dell’Ottocento e ogni giorno dovevamo dimostrare di essere brave e coraggiose come un uomo e più di uomo”. L’importanza del suo ruolo, ovvero mantenere i contatti tra il Comitato di Liberazione Nazionale e la brigata di appartenenza, è stato direttamente proporzionale al rischio corso: ogni viaggio sarebbe potuto coincidere con violenza, anche sessuale, torture e, dopo lunghe agonie, la morte. Una pasticca di cianuro tenuta nel calzino avrebbe potuto essere l’unica via d’uscita.

Gianni Rodari negli anni Cinquanta (wikipedia)

La Resistenza di Luce non termina con la Liberazione. Nell’immediato dopoguerra inizia a collaborare con Il Pioniere, una rivista per ragazzi diretta dallo scrittore e pedagogista Gianni Rodari che le dedica la filastrocca L’accento sulla A, quando la partigiana si assenta dal lavoro per dodici giorni. Viene infatti arrestata mentre sta scrivendo su un muro Vogliamo Pace, Lavoro e Libertà. “I compagni mi avvisarono con un fischio dell’arrivo della polizia ma mi trattenni perché ci tenevo a mettere l’accento sulla A” racconta Luciana Romoli e la vicenda viene così raccontata da Rodari, nel suo stile scanzonato:

Mamma non stare in pena
se non rientro per cena,
in prigione mi hanno messo
perché sui muri ho scritto col gesso

1956, la scuola del Pci a Faggeto Lario (CO): Luciana Romoli è seduta al centro (finnegans.it)

Capitolo dopo capitolo, le circa cento pagine di Luce. Storia di una partigiana, diventano istruzioni per una pratica antifascista. E raccontano anche della collaborazione di Luciana Romoli con Enrico Berlinguer, dell’impegno sindacale e dell’incessante attenzione alle donne e alle nuove generazioni come dirigente dell’Associazione ragazze d’Italia per le borgate di Roma, occupandosi delle colonie permanenti aperte dal Partito comunista nelle scuole dei quartieri popolari che accoglievano bambine e bambini violenti, difficili, traumatizzati dalla guerra.

Una delle immagini più famose da “La Ciociara” di De Sica (1960)

Prosegue il racconto della vita di Luce quando, come componente dell’Unione donne italiane della Federazione romana del Pci, supporta le vittime dei soprusi sessuali, principalmente di sesso femminile, commessi dai goumiers del Corpo di spedizione francese nelle zone della Ciociaria e conosciuti come marocchinate, uno scempio che all’epoca balzò nel dibattito pubblico con il romanzo La Ciociara di Alberto Moravia e con l’omonimo film del 1960 di Vittorio De Sica. Emblematico il caso di Esperia, uno dei comuni più colpiti, decorato con la Medaglia d’Oro al Merito Civile, dove si contano 700 donne stuprate su 1.600 abitanti; il parroco, che si era opposto alle violenze, venne sodomizzato finché ne morì.

Da destra: Luciana Romoli, Adelmo Cervi e Luciana Castellina al congresso Anpi Roma

Con la stessa coerenza delle scelte politiche di Luciana Romoli, il testo ci riporta l’intervento del XVII congresso provinciale dell’Anpi di Roma tenutosi lo scorso marzo, dando, ai giovani a cui il libro è destinato, un ulteriore esempio sull’attualizzazione dei valori dell’antifascismo. “Il mio pensiero – ha detto tra le altre cose la partigiana – non può che andare alle donne di tutti e due i fronti: alle ucraine madri, figlie e giovani inermi che subiscono l’invasione di un esercito composto per la maggior parte da ragazzi che probabilmente non sanno neppure dove stanno andando, comandati da generali senza scrupoli e senza coscienza. E alle madri russe che vedono i figli partire per una guerra tra fratelli”.

La presidente della sezione Anpi di Colleferro, Amalia Perfetti, durante le celebrazioni del 25 aprile 2021

Come scrive nella prefazione del volume Amalia Perfetti, presidente della sezione Anpi Colleferro “La Staffetta Partigiana” e componente della presidenza Anpi provinciale di Roma, Luce “ci fa fare prima un passo indietro nella storia e poi ci riporta all’oggi”, invitando non solo a non dimenticare ma a non dimenticarci di continuare, perché è questo l’insegnamento più grande, in un passaggio di testimone che l’ha vista andare nelle scuole di tutta Italia e dialogare con migliaia di ragazze e ragazzi.

Con Luciana Romoli: Alice Guglielmetti e Eleonora Riccardi, le due ragazze che in occasione del 25 aprile 2022 hanno scritto il piccolo testo inserito nel volume

“È la stessa nonna Luce a darci uno strumento importantissimo – scrivono le giovani eredi morali delle partigiane, Alice Guglielmetti e Eleonora Riccardi, iscritte Anpi della sezione di Colleferro –. Perseverare la memoria e continuare a far conoscere e diffondere i valori che la Resistenza ci ha trasmesso al fine di non vanificare gli sforzi e i sacrifici dell’antifascismo di allora, continuando a praticarlo oggi, nella quotidianità delle nostre azioni”, mostrando quanto questo volume sia significativo per la cultura antifascista attraverso l’esempio stimolante di Luce.

Mariangela Di Marco