Angela Lazzarini e Virginia Longhi sono due donne marchigiane a cui la storiografia non si è mai interessata e su cui invece Anna Paola Moretti ha acceso un faro con il libro “Vittime senza giustizia, almeno la memoria” in cui, attraverso documenti processuali e fonti storiche, contrasta “una vulgata paesana che non rendeva, e non rende ancora, onore alla loro morte tragica”, scrive Dino Latini, Presidente del Consiglio regionale delle Marche.

Nel 1944, Angela Lazzarini e Virginia Longhi morirono di fronte a un plotone di esecuzione della Legione Tagliamento, nei Comuni di Macerata Feltria e di Pennabilli, nel Montefeltro pesarese, che per la loro posizione isolata, vennero scelti dal regime mussoliniano anche come sedi di internamento per ebrei e oppositori politici.

La Legione Tagliamento, “la legione del mio cuore” la appellava Mussolini

Le due donne non furono le sole a morire sotto i proiettili della Tagliamento, definita da Mussolini “la legione del mio cuore” e considerata dal generale tedesco Wolf, comandante delle SS in Italia “una delle mie migliori unità nella lotta contro i banditi”. Venne comandata da Merico Zuccari, ufficiale del Regio esercito, che giurò fedeltà a Hitler mentre i suoi legionari si consideravano un reparto d’élite. Operò tra i Comuni dell’Appennino tosco-emiliano per sabotare il movimento partigiano, collaborando con i nazisti al reclutamento coatto di manodopera maschile per la fortificazione della Linea Gotica. E lasciando una scia di sangue e terrore: “una serie raccapricciante di delitti e atrocità”, “sistemi coloniali”, recita la sentenza del processo presso il Tribunale Militare Territoriale di Milano, che unificava i procedimenti giudiziari per i delitti commessi nelle varie provincie, riportata con grande meticolosità dal libro. Solo nella provincia pesarese, la Legione Tagliamento compì 45 omicidi, dando attuazione con voluttà a quanto annunciato dai vari decreti fascisti che promettevano morte a “tutti coloro che aiuteranno in qualsiasi maniera i banditi anche quelli che offriranno un semplice bicchier d’acqua”.

Angela Lazzarini e Virginia Longhi

Angela Lazzarini e Virginia Longhi avevano entrambe 26 anni, erano coetanee, ma non si conoscevano. Furono accomunate prima dall’arbitraria fucilazione e dalla mancata giustizia, poi da narrazioni imprecise e lacunose da chi ebbe “velleitarismo grafomane”. Entrambe furono uccise per una delazione paesana, elemento sottaciuto nel racconto popolare più diffuso, che è invece presente nella ricostruzione storica di Anna Paola Moretti. “A loro è dovuta almeno la memoria”, afferma l’autrice­. la storia delle donne, specie delle cosiddette donne comuni, è stata spesso dimenticata e le loro azioni sottovalutate e anche distorte. Pesa sulla mancata memorabilità delle vite femminili la forzata attribuzione alla sfera privata, mentre quella pubblica viene riservata agli uomini, nefasto elemento costitutivo della cultura patriarcale”.

Panorama marchigiano

La loro colpa? La prima aiutò un milite della Legione a disertare e per questo venne arrestata, stuprata e fucilata. La seconda ascoltò, suo malgrado, e commentò con una battuta irriverente le parole di un soldato che raccontava un diverbio tra il comandante della Legione Tagliamento e un capitano di battaglione, in seguito al quale presentò le dimissioni. Battuta che non piacque però ai militi: alle loro orecchie di uomini abituati al culto della virilità e al più totale disprezzo verso il genere femminile, la frase canzonatoria pronunciata da una donna risultava probabilmente inaccettabile e venne pertanto arrestata e fucilata. “Sulla sua sorte pesò certamente la misoginia di Merico Zuccari ­ sottolinea la storica ­ condannato per collaborazionismo alla pena di morte con degradazione e all’ergastolo per aver ordinato la morte di Virginia Longhi per futili motivi e con crudeltà spietata”. Il milite che si era lasciato andare a confidenze pericolose, divulgando una notizia che doveva rimanere riservata all’interno della gerarchia della Legione, fu punito con 50 frustate alla presenza di tutti i componenti della compagnia e rimase legato al palo per 48 ore. Una punizione assai più dura di quella comminata per lo stupro di Angela Lazzarini.

Quando si pensa alle donne si sottovaluta sempre il loro ruolo nella Resistenza. Nella foto Vera Vassalle (archivio fotografico Anpi nazionale)

Perché la colpa principale di Angela e Virginia fu innanzitutto di essere donne uscite dai canoni che il maschilismo fascista imponeva, altro grande tema che Anna Paola Moretti affronta con chiarezza nel libro. “La propaganda bellica aveva utilizzato l’immagine della donna quale veicolo per i messaggi rivolti alla popolazione per lo più maschile, raffigurandola ora come madre ritta e severa, depositaria dei valori familiari e sociali, ora come la giovane madre con il figlio piccolo in braccio, in attesa, fiduciosa nel ritorno del combattente che, al fronte, lottava per lei”, scrive nella prefazione Sonia Residori, storica dell’Università di Padova. Relegata alla cura domestica in una dimensione privata, la donna risultava in ogni caso indifesa, fragile, simbolo della vittima da salvare. Una rappresentazione del tutto maschile, lontana dalla realtà che non corrispondeva a ciò che le donne erano diventate davvero durante il conflitto. Basti pensare al ruolo femminile assunto dopo l’Armistizio, quando  centinaia di migliaia di soldati italiani, lasciati senza ordini, per sfuggire alla cattura dei reparti tedeschi furono occultati da altre centinaia di migliaia di donne in quel fenomeno definito “maternage di massa” che non si esaurì in quei giorni, dal momento che le donne proseguirono nel loro ruolo di soccorso e protezione fino alla fine del conflitto, dando per scontato, anzi quasi fosse un fatto naturale, il rifiuto della guerra in quei ragazzi che, obbligati, avevano risposto alla chiamata della leva della Repubblica sociale italiana.

Leda Antinori, morta a 18 anni. Era stata staffetta capo-servizio collegamento dei Gap di Fano. Sarà riconosciuta partigiana combattente con il grado di sotto tenente (dal sito Anpi, sezione “Donne e uomini della Resistenza”)

La ricostruzione attenta e accurata delle biografie di Angela Lazzarini e Virginia Longhi “mostrano che ognuna è portatrice di storia, la quale attraversa ogni singola vita; dalla biografia è possibile risalire alla grande storia cogliendo il concretizzarsi degli eventi sul territorio e il loro significato nell’esperienza delle persone”. Una correlazione che aiuta meglio a comprendere la complessità dell’esperienza umana, sfidando le categorie con cui siamo abituati a pensare il mondo, restituendoci la conoscenza di ciò che avvenne anche una giustizia riparativa nei confronti delle comunità locali, altro grande pregio di un libro che cattura l’attenzione andando sempre più a fondo nelle questioni, aiutandoci “nel difficile compito di fare i conti col nostro passato”. Perché, fino a tempi recenti, “le ricostruzioni storiche riservavano al mondo maschile la sola chiave di lettura – rileva ancora l’accademica Residori – privilegiando gli aspetti militari degli scontri armati, mentre un silenzio singolare scendeva sulle donne e sulla peculiarità della loro esperienza”.

Quel silenzio che ha colpito la stessa Angela, uccisa non perché vittima sprovveduta ma perché compì una scelta consapevole, divenendo coordinatrice di un gruppo di bambine-staffette tra cui Federica Salvatori, Medaglia della Liberazione nel 2016, che abitava nello stesso territorio di Macerata Feltria di cui l’autrice di “Vittime senza giustizia, almeno la memoria” raccoglie la testimonianza, ponendo attenzione anche allo stupro di Lazzarini, uno dei primi – e pochi – raccontati in un processo, rimasto, come tantissimi altri, occultato nell’armadio della vergogna, non diventando capo di imputazione per alcun colpevole, silenziato da altre centinaia di migliaia di donne per timore di essere colpevolizzate, per quell’educazione ricevuta che considerava il sesso cosa vergognosa e innominabile, per dare spazio a una rappresentazione delle resistenti ricalcata su rettitudine e purezza, prerogativa delle ausiliarie fasciste, da contrapporre a un’immagine di donne di facili costumi, per una violenza subita che solo dal 1996 per la legge italiana ha cessato di essere un delitto contro la morale, offesa all’onore e vergogna da nascondere, riconosciuta come delitto contro la persona, arma di guerra che poggia sul fondamento di una strutturale misoginia preesistente.

Roma, 23-24 marzo 1950. Il convegno delle donne della Resistenza

“Non si è propensi a riconoscere alle donne la spinta ideale riconosciuta invece ai comportamenti maschili –­ chiosa Moretti ­– come se le donne fossero estranee agli ideali di umanità e giustizia e dovessero mantenersi nei ruoli e nei confini angusti del cerchio familiare. Le conseguenze derivanti da un comportamento anomalo diventavano una colpa per aver infranto la separazione delle sfere di competenza”. Ben analizzate da un libro che restituisce a queste donne la narrazione che spetta loro di diritto.

Mariangela Di Marco, giornalista