La copertina è di Sergio De Lazzari

Anche il niente è bugiardo è l’ultima raccolta poetica di Serena d’Arbela che, già dal titolo, contiene un paradosso, una provocazione o forse, più semplicemente, un’amara considerazione. Questa raccolta, breve quanto densa, racconta dei profondi solchi che il tempo lascia nel suo eterno fluire. E questi componimenti sono, appunto, ciò che rimane al setaccio di una sorta di ricerca non del tempo perduto, bensì di quello vissuto. Ogni parola è intrisa di vita, i versi si fanno corpo e occupano quelle che, già dalla prefazione, vengono definite stanze poetiche, non-luoghi dell’anima in cui si intrecciano più livelli temporali.

Una delle illustrazioni di Marina Ferrante che puntellano la raccolta

Si toccano i primi del Novecento, tra flusso di coscienza ed ermetismo: la parola è cascame del pensiero, del magma incandescente e interiore che racconta la problematicità del contemporaneo. L’utilizzo della punteggiatura nei componimenti di Anche il niente è bugiardo racconta di una dimensione in cui tutto resta sospeso: non ci sono punti fermi (se non di rado e a conclusione delle poesie) ma, in compenso, abbondano quelli interrogativi, le domande ancora insolute che la vita si è trascinata dietro, come pesci intrappolati nelle reti. Quella di d’Arbela è proprio una poesia “catturata” nelle intercapedini del quotidiano, in tutto ciò che sembra non si possa cogliere o “poetizzare”, in quelle “ombre mobili sott’acqua” (Della mia vita) o nel “fruscio dell’agguato/dietro la porta socchiusa” (Fragile).

Un’altra delle illustrazioni © Marina Ferrante e Sergio De Lazzari

Le pagine, poi, sono puntellate di illustrazioni che, come gli squarci di Fontana, aprono lo sguardo e lo spazio. Molti dei disegni ricordano quelli di Buzzati, rincorrendo l’intrigante equilibrio tra onirico e metafisico. Volti dagli occhi ipnotici, labirinti di figure umane e geometrie ricorsive, musica che diventa, in una sinestesia, tappeto grafico: il compito di queste tavole essenziali è sorreggere il senso e il sentimento dei componimenti fulminei. Ci sono volti, momenti e dettagli che si affastellano, testimonianza e confessione (senza rimpianto) di aver vissuto: come succede in Ci siamo stati, in cui “figure senza più forma” si affacciano sulla soglia di una dimensione senza più spazio.

© Marina Ferrante

I ricordi accompagnano il dipanarsi di questa raccolta poetica e, come ologrammi (sempre meno nitidi) delle esperienze che rappresentano, raccontano bene il groviglio di presente e passato, come in Volato via, permeata di un nóstos non legato al viaggio per mare, ma a un volo inesorabile, o in Come ti vorrei, dove “dal fievole ricordo/si staccano le membra”.

Anche il niente è bugiardo. Illustrazioni ©  Ferrante

Poesie che sono anche corporeità la cui ri/evocazione è consolazione viva: La mano fedele racconta di mani robuste, temprate dal lavoro manuale, dalla sofferenza della guerra, del partigiano che in tempi di pace “scorreva le pagine/guidava la penna stilografica/batteva sui tasti/della macchina da scrivere”. Addio è consapevolezza e, insieme, resa di un animo forgiato che conosce la separazione e può “infine accettare il corso del fiume/capriccioso o fatale”.

© Ferrante

Con i trentanove brevi componimenti di Anche il niente è bugiardo, d’Arbela spalanca una dimensione intima e sofferta. Come nella poesia di chiusura, Linea discendente, una rapsodia a due voci in cui, come i passi di due ballerini che si rincorrono, il tema è ancora il trascorrere di giorni incuranti dell’inesorabile destino umano. Da una parte ciò che il tempo ha dato, in termini di esperienze, conoscenza, vita; dall’altro ciò che impietosamente sottrae, avanzando.