“Tornate, non dovete fare altro. Qui se ne sono andati tutti, specialmente chi è rimasto”. Sono i versi che continuano a riempire da settimane i muri delle strade di numerosi centri urbani del Sud Italia, parole del poeta e paesologo Franco Arminio, che chiosa: «Il covid ha dimostrato quanto le città siano, sotto alcuni aspetti, luoghi pericolosi. Questa fase di ripensamento del nostro stare al mondo può essere una grande opportunità per i nostri paesi».
Il distanziamento sociale, destinato a mantenersi con strascichi ed effetti di medio-lungo termine, potrebbe infatti far rivivere i borghi abbandonati dell’Italia alpina e appenninica, definite “aree interne”: territori che non soddisfano in maniera simultanea servizi essenziali come l’istruzione, la sanità e la mobilità e che sono ad una distanza significativa dai centri urbani. Rappresentano il 60 per cento del territorio nazionale, e, dal Veneto alla Sicilia, sono segnati da una imponente contrazione demografica e occupazionale.
Negli ultimi cinque anni, numerose amministrazioni comunali di queste aree hanno indetto bandi di concorso, promosso progetti, sollecitato il cambio di residenza o le aperture di esercizi commerciali, attività imprenditoriali anche attraverso l’acquisto di immobili abbandonati al costo simbolico di un euro per incentivare il ripopolamento di borghi altrimenti destinati all’inesorabile spopolamento e abbandono. Soluzioni lodevoli, che non bastano. A livello nazionale, la “Strategia per le aree interne” (attuata dal 2014) mira a contrastare lo spopolamento e la marginalizzazione di questi luoghi mediante l’assegnazione di risorse statali ed europee, «ma somiglia a una sceneggiatura a cui si lavora alacremente, il cui film non comincia mai. Gli obiettivi della strategia, in realtà, tardano ad essere conseguiti, come se si facesse fatica a individuare gli attori per un film. Sono troppe le lungaggini burocratiche» commenta il paesologo irpino. Un problema di cui molti esperti dibattono da diverso tempo e, al momento, risultano attivi solo pochi progetti pilota. Altra problematica concerne il “Piano strategico nazionale a sostegno dello sviluppo della banda ultralarga” (approvato nel 2015) che consentirebbe il collegamento dei territori montani e delle cosiddette “aree bianche” (quelle che le imprese private non coprono perché non sono redditizie) e che avrebbe dovuto concretizzarsi fino all’80 per cento entro il 2020. Ad oggi, invece, copre solo pochissimi Comuni.
«Abbiamo sempre vissuto il ritardo della modernità come un problema, ma nel momento in cui la modernità e lo sviluppo vanno in crisi perché l’umanità sta pensando ad un nuovo modello di civiltà, ecco che chi si trova in una situazione più arcaica può attingervi per costruire una modernità migliore, plurale, con un’attenzione maggiore all’ambiente, ai rapporti umani. Un modello in cui praticare gentilezza, accortezza, rispetto verso il pianeta e i più deboli. Lo chiamo “umanesimo della montagna” perché l’umanesimo che abbiamo conosciuto nei secoli è andato via via degradandosi e oggi può partire proprio dalle zone più desolate, portandole al centro attraverso l’implementazione di servizi che cambiano da territorio a territorio» afferma Arminio. Rafforzare i servizi significa non attendere un’ambulanza 45 minuti perché la struttura ospedaliera più vicina è stata falciata dai tagli alla sanità, consentire ai bambini e ai ragazzi di seguire le lezioni online in tempi di pandemia senza dover prosciugare in poco tempo il traffico dati degli smartphone di famiglia, lavorare in rete escludendo la possibilità di spostarsi, pc alla mano, per inseguire la copertura di rete.
L’umanesimo delle montagne ha ogni anno, come catalizzatori, i festival “Roccamorgia” di Salcito (Campobasso), “Siluna” di Acri (Cosenza) e “La luna e i calanchi” di Aliano (Matera), luogo, quest’ultimo, dove l’intellettuale Carlo Levi venne confinato nel 1935 per essersi opposto al fascismo e dove venne in contatto per la prima volta con la realtà dei contadini meridionali. Profondamente colpito, ne scrisse in Cristo si è fermato a Eboli, a seguito del quale in Italia si accese un intenso dibattito politico sulle condizioni socio-economiche del Sud. Oggi Aliano, a precipizio sui calanchi dove “le case stavano come librate nell’aria” – per usare proprio la definizione di Carlo Levi – è un parco letterario dedicato al medico-scrittore con strade costellate da murales e citazioni del romanzo che contribuì alla riflessione sui luoghi desolati.
Molti dei dibattiti che animano questi festival, presieduti da esponenti della politica, della cultura e dello spettacolo, si concludono con Bella ciao. Uomini e donne, spesso con bambini in braccio, giovani e meno giovani, in piedi nella condivisione di un comune sentire. «I miei incontri sono all’insegna del ritorno alla comunità, alla lotta politica, alla passione politica, al di là del partito che si preferisce. È un invito alla partecipazione alla vita della polis, anche un invito alla partecipazione lieta, quindi non un comizio. Concludo con una canzone perché sono convinto che il canto, la poesia, la preghiera sono forme espressive a cui dovremmo dare sempre più spazio» spiega ancora il poeta-paesologo.
Tornare, dunque, significa cercare o ideare una attività redditizia, abbracciare la meraviglia della natura e della comunità che vi appartiene e destinare una parte della giornata all’ozio. Un ozio che diviene costruttivo se si seguono i corsi di “ergonometria della panchina”, “scienze dell’inutilità” o “antropologia del distratto” indetti dalla Libera università dell’accidia. «Perché – scrivono dalla “Casa della Paesologia”, sede dell’associazione Comunità provvisorie di cui Franco Arminio è animatore – la carica virale si combatte anche con la carica vitale».
Mariangela Di Marco
Pubblicato sabato 6 Febbraio 2021
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