Sono pugliese di nascita, siciliano d’amore
e napoletano d’adozione.
Domenico Modugno
Domenico Modugno è stato uno dei maggiori innovatori della musica popolare nella seconda metà del Novecento: narratore e protagonista al tempo stesso. Autore e interprete nella medesima persona. A lui si deve l’invenzione di una canzone nuova in Italia, che si può definire d’autore, nella quale sempre si riconosce una peculiare visione del mondo, un pensiero sui fatti che accadono, una poetica. Domenico Modugno, infatti, è stato il primo artista popolare capace di dare voce a tematiche differenti restando sempre se stesso, perfettamente riconoscibile nella vocalità, nell’espressione scenica, nell’uso della lingua e dei diversi dialetti, in grado di mettere a nudo i propri sentimenti e nel contempo di manifestare istanze collettive. Conservare la memoria di una terra e di un popolo, oppure anticipare i tempi, sfidare convenzioni e stereotipi: un vero, incredibile artista d’avanguardia.
Quando nel 1958 irrompe nel microcosmo della canzone inaugurando dal palcoscenico del Festival di Sanremo la sua rivoluzione, che ben si sposava con il nuovo corso di un’Italia pronta a fare il grande salto da Patria martoriata a Paese del rilancio economico, altri fermenti agitavano le acque stagnanti di un mondo della canzone impantanato alle vicende di un’Italietta bigotta e moralista, di mamme e di cuori, di vecchi scarponi e di edere, di colombe bianche, di papaveri e di papere.
Torino, città in cui – come racconta Don Backy nel volume Domenico Modugno: la rivoluzione del canto – per breve tempo risiederà anche il nostro in cerca di lavoro, con i Cantacronache vedeva esordire una canzone sociale e di protesta, dedita al recupero delle radici popolari, della memoria e dei valori della Resistenza, della solidarietà e dell’uguaglianza sociale, in un momento in cui il miracolo economico lasciava ai margini del benessere le persone più fragili.
Dal capoluogo piemontese prendeva il via anche l’impresa musicale di Fred Buscaglione, artefice di uno straordinario rinnovamento del tessuto musicale, influenzato dai ritmi e dai suoni che giungevano dall’America, dal jazz, dallo swing, impressi nella mente di un bambino, diventato poi polistrumentista, geniale creatore di un universo teatrale e musicale totalmente inedito. Uno scenario simile si materializzava anche a Napoli, attraversato da ritmi e sonorità d’oltreoceano, ma anche da influenze arabe e africane, nelle creazioni del grande Renato Carosone, animato dall’identica missione di modernizzare la canzonetta italiana. Nuove esperienze musicali, tutte in accordo con i cambiamenti di una società che doveva crescere e dimenticare le tragedie passate, trovare lo slancio per ricostruire il Paese. Anche abbandonando ciò che ancora la inchiodava a una rappresentazione convenzionale e retrograda di sé e dei sentimenti umani, musicalmente appoggiata su trame sonore standardizzate e immutabili e su ritmi di soporiferi terzinati. Era tempo di cantare ritornelli nuovi, anche incomprensibili e con abbinamenti di parole nonsense: era tempo di ballare, a ritmi sfrenati, la conquistata libertà.
Sarà Modugno, incorporando in sé tutti questi diversi stimoli, l’autore della rivoluzione più radicale: la sua carriera ispirerà cori di voci che canteranno i cambiamenti della società italiana, a partire dai rappresentanti della cosiddetta scuola genovese. Musicisti come Bruno Lauzi, Gino Paoli e Fabrizio De André faranno proprie le novità del cantautore pugliese insieme a quelle dei francesi: voci cariche di umanità, di riscatto, di vicinanza agli ultimi.
Le canzoni di Modugno sono, così, il resoconto di un lungo capitolo di storia italiana, spesso osservata dal punto di vista dei più deboli, dallo sguardo di chi, partito dal basso, è arrivato a toccare il cielo.
Polignano a Mare, in provincia di Bari, è una cittadina il cui nucleo più antico sorge su uno sperone roccioso a strapiombo sul mare Adriatico. Qui, il 9 gennaio 1928, Domenico Modugno, presto soprannominato Mimmo, viene al mondo, figlio di Pasqua Lorusso e di Vito Cosimo Modugno, comandante del corpo delle Guardie municipali. Il padre, appassionato di musica, lo avvicina fin da piccolo all’arte dei suoni insegnandogli a suonare la chitarra e la fisarmonica, strumenti con cui, intorno ai sedici anni, accompagna le sue prime canzoni, mai incise.
Nel 1935 la famiglia si trasferisce a San Pietro in Vernotico, in provincia di Brindisi. La vita di paese offre ben poche prospettive al giovane Domenico che fugge al Nord. A Torino, nella grande città che diventerà presto meta di una inarrestabile immigrazione interna dal Sud, lavora come cameriere e poi come gommista.
Nel 1949 è a Bologna per il servizio militare; terminata la leva ritorna a San Pietro Vernotico dove si esibisce suonando la fisarmonica alle feste di paese. Le orchestrine locali accompagnano sempre i riti e le celebrazioni tipiche del borgo pugliese, dove le ricorrenze del mondo rurale sopravvivono alle trasformazioni che, a breve, nel resto d’Italia cancelleranno i segni della cultura popolare con l’abbandono delle campagne verso le città, le divisioni sociali, i mestieri alienanti.
Fa tesoro di quel patrimonio, Mimmo, e lo metterà a frutto. Dopo aver vinto un concorso per attori dilettanti si trasferisce a Roma per frequentare il Centro sperimentale di cinematografia grazie a una borsa di studio ottenuta in quanto migliore allievo. Qui conosce Franca Gandolfi, attrice siciliana, che sposerà nel 1955. La musica è nel sangue e nelle sere romane canta al Circolo artistico di via Margutta.
Dopo una serie di esperienze cinematografiche, tra cui I pompieri di Viggiù di Mario Mattoli dove è tra le comparse, Filumena Marturano di Eduardo De Filippo, in Carica eroica di Francesco De Robertis veste i panni di un soldato siciliano intona una ninna nanna a una bambina.
Con questo canto popolare riscuote un tale successo da conquistare un contratto con la Rca: la più grande casa discografica d’Italia pubblicherà le sue canzoni in un dialetto che, nella prima produzione verrà catalogato come siciliano, ma che in realtà è una creazione del cantautore, un finto siculo, nato dalla mescolanza tra varie inflessioni del Sud, dal polignanese, al sanpietrano molto simile ad alcuni dialetti siciliani. Le contaminazioni non sono solo linguistiche e si avvertono anche nelle ritmiche: le danze salentine, come la pizzica, insieme alla tarantella campana. Per esempio in Tambureddu.
L’esordio discografico è dunque legato al recupero delle tradizioni musicali del Sud, con canzoni spesso originali, ma ispirate al contesto popolare, nate dai ricordi d’infanzia e dagli elementi tipici del suo paese. Diverse sono favole moderne nelle quali gli animali, protagonisti, vivono le stesse emozioni e sofferenze degli esseri umani. Diventano allegoria delle persone fragili che non hanno voce e subiscono le angherie dei più forti; raccontano l’esistenza di chi sta in solitudine e in miseria: i pescatori siciliani, i contadini pugliesi, i minatori della Calabria, i disperati del Sud.
Nel suo primo 45 giri del 1954 è incisa ‘U pisci spada’, canzone che in pochi minuti consuma il dramma di un amore e del suo triste destino. Una femmina di pesce spada resta impigliata in una rete, pronta a sacrificarsi purché il suo amato sia salvo. Ma lui decide di condividere la sorte di lei e non si sottrae alla mattanza che di lì a breve li colpirà. I due pesci sfortunati sono due innamorati che, di fronte a una tragedia, decidono di restare insieme, eroi che affrontano una morte cruenta pur di non dividersi. Eseguita dal vivo nel 1964.
Stesso destino infelice è quello del cavallo protagonista di Cavaddu cecu de la miniera, non dissimile dalla storia di un qualsiasi individuo sfruttato nelle miniere della Sicilia. Quelle di cui, già a fine Ottocento, anche Giovanni Verga in “Rosso Malpelo” ha lasciato memoria. Il cavallo in questione, costretto a vivere tutta la vita nel buio di una miniera, perde la vista, per ritrovarla solo all’uscita dall’antro, ma è vecchio e senza più forze per vivere. Quando cerca il conforto nell’uomo questi lo maltratta condannandolo alla morte.
In queste prime registrazioni emergono le radici di Modugno: l’attaccamento alle tradizioni della sua terra, luogo sperduto e distante anni luce dai grandi centri in cui l’Italia stava rinascendo, e la volontà di utilizzare quelle tradizioni popolari e una lingua, che è un dialetto tutto suo, per comunicare con forza le sue idee, la sua visione di un mondo nel quale sapere sempre da che parte stare.
Roma è una svolta: la città lo vede nascere come attore, affabulatore e come cantautore, nuova professione di sua invenzione. Cantautore è colui che in una canzone esprime totalmente se stesso, contemporaneamente autore, narratore, interprete e protagonista. Per la prima volta queste anime coincidono e trovano il migliore degli accordi nel brano Vecchio frac, incisa nel 1955.
Scritto e interpretato in un italiano limpido e forbito, racconta di un nobile d’altri tempi e del suo vagare tra le vie della grande città con il pensiero di mettere fine alla propria esistenza. Ispirata forse alla vicenda del principe romano Raimondo Lanza di Trabia che nel 1954 morì in circostanze misteriose in seguito all’infelice epilogo della storia d’amore con l’attrice Olga Villi, è anche espressione di un commiato: con lui sparisce quella classe un tempo dominante ora condannata a essere sopraffatta da nuove forze sociali.
Vecchio frac, che avrà successo solo dopo lungo tempo, è in realtà la prima canzone di respiro internazionale, che apparenta, nello spirito e nello stile, la figura di Modugno a quella dei cantautori francesi. Tra tutti, Pierre Delanoë ne farà una sua versione nel 1956: L’homme en habit,
e poi anche la cantautrice Barbara.
L’interesse per i dialetti del Sud e per la canzone popolare è radicato. Lo condurrà a cimentarsi con la tradizione melodica più antica, quella partenopea. Tradizione che nel dopoguerra aveva accolto le influenze musicali d’oltreoceano contaminandosi, per esempio, nelle trasgressive composizioni di Renato Carosone. Da questi stimoli Modugno trarrà canzoni che ripropongono, rinnovati nelle musiche e nei ritmi, i tòpos della tradizione napoletana: il sole che illumina in E vene ’sole,
la grande passione amorosa in Resta cu’ ’mme,
lo stereotipo dei giovani che non riescono a liberarsi dall’oppressione familiare in Io, mammeta e tu.
Ma tra le più riuscite c’è Strada ’nfosa, che racconta un amore che sta per svanire. Non è certo il tema l’elemento di rottura. È il modo di interpretare il canto che si stacca dalla perfetta espressione belcantistica tipicamente napoletana, per lasciare spazio a improvvisazione e libertà esecutiva, aprendo così la strada a una canzone moderna.
E poi Lazzarella, che ottiene il secondo posto al Festival di Napoli del 1957, canzone più tradizionale, si ispira al genere della “macchietta”, con cui si ironizzava sulle storture della società. Modugno trasforma il testo in un copione di pause e sfumature che accompagnano la vicenda del personaggio principale: una ragazzina che può finalmente vivere con pienezza la sua età, trasgredendo alle regole bigotte di una società che a fatica si emancipava dal suo impianto maschilista.
Ancora più sconcertante per i benpensanti dell’epoca sarà l’immagine della donna tratteggiata in Nuda (1960), canzone che, infatti, subirà la censura dalla Rai per qualche tempo. Protagonista una donna, padrona della propria sessualità, con un corpo che si svela e provoca istinti primordiali.
Con Il maestro di violino, dall’omonimo film del ’76 diretto da Giovanni Fago, invece, il racconto di un amore proibito tra una giovane e un insegnante molto più adulto sarà meno contestato grazie a un’opinione pubblica più progressista, reduce da battaglie per i diritti civili e anche per l’emancipazione femminile.
Diverse, dunque, le canzoni di Modugno che, anche successivamente, testimoniano un impegno nel dare voce a donne dalla grande personalità. Anche l’amore per Napoli lo accompagna lungo tutta la carriera. Ancora nel 1964 è vincitore del Festival della canzone napoletana con Tu si’ ’na cosa grande, che ha il merito di svecchiare il linguaggio in favore di una scrittura più attuale.
Sarà una delle canzoni più interpretate, diventando un classico. Tra le versioni più emozionanti, quella di Ornella Vanoni.
Nel ’58 Modugno è pronto al grande salto che scalzerà in una volta sola, pregiudizi, stereotipi, vecchie tare. La canzone vincitrice del Festival di Sanremo, Nel blu dipinto di blu scritta con Franco Migliacci, esplode nelle case degli italiani generando un entusiasmo collettivo. Volare rappresenta il successo del nuovo: una canzone ritmata, moderna, che fa un uso espressivo della voce e della sua naturalezza e vince il duello con la vecchia canzone all’italiana. Vicino a lei le altre spariscono, diventando piccole, inutili e superate. Perché Nel blu dipinto di blu gioca a combinare parole nuove in libertà, scherza sul ritmo strizzando l’occhio alla musica americana con i suoi vari accenni al rock e al rhythm and blues. E l’interprete (attore, cantante e autore insieme), spalancando le braccia mentre si esibisce, in un solo gesto fa apparire obsoleto lo stile retorico dei divi del tempo. Il successo di Modugno è clamoroso: arriva perfino oltreoceano esportando l’immagine di un nuovo interprete, senza maniere languide o inutili virtuosismi vocali, ma un attore e un cantastorie dotato di carisma e di una voce e una vocalità personalissime e inimitabili.
https://www.youtube.com/watch?v=nD8BryVB9d0
Da qui il decollo della discografia italiana, soprattutto con l’affermarsi delle prime major, la diffusione capillare di supporti musicali, la nascita delle tante etichette e dei nuovi mestieri connessi alla produzione, al marketing, alla comunicazione. In quest’Italia in pieno boom, Modugno mette in fila una serie incredibile di successi, risultato anche della collaborazione con Franco Migliacci, la cui intenzione è quella di avvicinare i giovani di quella generazione con un linguaggio meno artefatto, più diretto e vivo.
Seguono altri Festival di Sanremo e altre vittorie: l’anno successivo è la volta di Piove, più nota come Ciao, ciao bambina, canzone di immediata presa, in virtù di una melodia essenziale e di un linguaggio semplice e quotidiano; un ritmo di swing subito coinvolgente.
Nel 1962 Addio Addio, cantata in coppia con Claudio Villa porta in scena una sorta di gara tra conservatori e rivoluzionari. La canzone vince e Claudio Villa, che impressiona tutti con l’acuto finale, rappresenta il colpo di reni della tradizione del belcanto che ancora non vuole scomparire. Modugno
e Claudio Villa
E poi, nel ’64 il tango Che me ne importa a me;
e Come stai nel ’71.
Trionfi e cadute si susseguono, insieme alle partecipazioni a Sanremo, una manifestazione spesso a favore delle espressioni più convenzionali.
Il 1961 è segnato dall’importante traguardo di Jurij Gagarin che decolla da una base russa per orbitare intorno alla Terra. Nel blu dipinto di blu sembra la perfetta profezia di ciò che sarebbe accaduto. Ma le canzoni di Modugno e Migliacci sono tasselli unici che compongono il grande puzzle della storia di quegli anni e per celebrare l’impresa e la vicenda del cosmonauta scrivono Selene presto soprannominata Gagarin Twist. Canzone che varrà a Modugno una grande celebrità in Russia, al punto da essere il primo italiano protagonista di una tournée in una nazione del blocco sovietico.
https://youtu.be/KKaZGX8Ui0k?t=4
Nella sua vastissima opera, tra cinema, canzone e teatro non si può non far menzione di Rinaldo in campo, commedia musicale messa in scena per la regia di Garinei e Giovannini nel 1961 per celebrare il centenario dell’Unità d’Italia. Personaggio principale, ricordo dell’eroe impavido dell’epica carolingia, è qui un brigante-eroe siciliano che ruba ai potenti per dare ai poveri. Tre briganti e tre somari, interpretata da Modugno con i compari Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, resta tra i momenti più esilaranti dello spettacolo e probabilmente dell’intera carriera del nostro.
Al cinema, nel 1966, canta i titoli di coda di Uccellacci e uccellini, capolavoro di Pier Paolo Pasolini,
che poi lo coinvolge come voce narrante nei panni dell’immondezzaro, nella rivisitazione dell’Otello intitolata Che cosa sono le nuvole?, quarto episodio del film corale Capriccio all’italiana, uscito nel 1968. Interpreta la canzone omonima con le parole di Pasolini, rielaborazione del testo originale di Shakespeare, mescolato a riflessioni sul tema dell’amore e della gelosia. Risultato di questa operazione, la straordinaria interpretazione di un Otello che sprofonda nei meandri della propria anima, dentro il conflitto dei propri sentimenti.
Favolosa la versione degli Avion Travel.
In quello stesso anno la contestazione giovanile che esplode nelle università italiane, destinata a raggiungere tutti gli ambiti di una società considerata classista e retrograda, sembra non coinvolgere Modugno. Non nascono canzoni dettate dai fatti sconvolgenti: le rivolte, gli scioperi, le rivendicazioni. Scrive, invece, una canzone che quelle contraddizioni le risolve nella vicenda personale del protagonista, combattuto tra la scelta di restare al mondo e accettare le difficoltà della vita oppure rinunciarvi, ponendovi fine. Il finale racconta di un’accettazione che giunge al termine di infinite riflessioni che lo distolgono dal proposito del suicidio e lo riappacificano con se stesso, nella contemplazione della bellezza del creato. Questa canzone è Meraviglioso.
Verrà eliminata dal Festival di Sanremo alla prima votazione perché ritenuta irrispettosa nei confronti di Luigi Tenco che l’anno prima, al termine dell’esibizione di una canzone ingiustamente bocciata, si era tolto la vita. Ma Ciao amore, ciao poneva questioni troppo complesse – l’abbandono della terra d’origine, il Sud, alla volta del Nord alla ricerca di un lavoro, lo spaesamento dei tanti italiani in cerca di lavoro – perché il pubblico di quelle kermesse potesse comprendere e apprezzare. Così, Meraviglioso, inno ottimista alla vita e all’umanità, si rivela totalmente fuori dai canoni della canzone di quegli anni e anche Modugno appare quindi superato. In quel clima acceso dagli scontri di piazza scriverà poi, ancora, decisamente controcorrente, ma coerente con se stesso, Come hai fatto, sul tema, mai abbandonato, dell’amore struggente e smisurato.
Nella trasmissione “Speciale per voi” del 1970, primo talk show Rai, invitato a confrontarsi con molti giovani dei vari movimenti studenteschi lo vediamo però farsi valere, con il carisma, il dialogo e la forza delle sue canzoni. Come La Lontananza.
Negli anni del folk revival, anche lui fa ritorno alle origini. L’album “Con l’affetto della memoria” (1971) contiene, infatti, brani della tradizione popolare. Tra questi Amara terra mia, nenia abruzzese intonata dalle donne durante la raccolta delle olive, riadattata in primis da Giovanna Marini. La versione di Modugno ed Enrica Bonaccorti coglie il sapore multietnico di questa melodia che sembra appartenere alla tradizione di culture popolari intrecciate nei secoli. Porta alla ribalta temi molto attuali in quel momento: il dramma della migrazione, interna ed esterna, e quello del cambiamento impossibile di una terra, generosa di olive, ma amara di gioie. Una terra, Abruzzo o Italia, da cui per sopravvivere si fugge, lasciando sole donne e famiglie.
È una canzone che lascia il segno in tanti artisti. La interpretano i Radiodervish,
Ginevra Di Marco,
Mina.
Anche attraverso brani spesso inediti, Modugno rinnova le proprie radici. Non fa ricerche sul campo come i tanti artisti che in quel momento sono mossi dall’intento di mettere in salvo il patrimonio del canto popolare, con tutto l’impegno della valorizzazione di una cultura, ma attraverso l’esperienza personale e il ricordo recupera melodie, storie, personaggi. Salinaru è ispirata ai venditori ambulanti;
Lu Frasulinu narra la storia vera di un matto di paese;
La Cia è invece dedicata alla prima donna amata;
Lu brigante è ispirata alla figura leggendaria che fin dalla fine dell’Ottocento, è popolare in diverse parti del Sud, tra Puglia e Calabria. Se questo album non riscuote grande successo, ne otterrà invece il brano pubblicato poco dopo, nel ’76, Malarazza. Tratto da un canto siciliano riscoperto dall’antologia del poeta di Acireale Lionardo Vigo che nel 1857 aveva composto i versi del Lamento di un servo ad un Santo in Croce. Censurato per blasfemia era di fatto un canto di protesta di un umile sfruttato contro un padrone per il quale l’uomo chiedeva vendetta a Cristo. Riproposta da Dario Fo che la inserisce in “Ci ragiono e canto” (’73), anche Modugno la porta alla ribalta con il suo messaggio sovversivo: con spirito di umanità il Cristo incoraggia l’uomo a non subire e a ribellarsi alla sua situazione. Il brano è una riflessione sulle condizioni di coloro che vivono nel pericolo continuo di perdere le proprie libertà e i diritti civili, chiamati a reagire. Sono questi gli anni di nuove rivolte sociali, più cieche e violente. Anni del terrore e della destabilizzazione di un ordine costituito.
“La Malarazza – spiega Corrado Minervini nel volume Volere è volare – è quel manipolo di uomini che impongono la loro volontà con la prepotenza sugli umili. Una classe dirigente meschina che abusa della paura”.
La versione di Ginevra Di Marco
e quella di Carmen Consoli con i Lautari.
Sono anni in cui è necessario affrontare problematiche di ordine sociale per contribuire a ridare dignità a persone e diritti. Un calcio alla città (Sanremo ’72) è incentrata sulla nuova tipologia umana dell’impiegato, uomo da scrivania condannato a una vita grigia di umiliazioni e sacrifici che un giorno decide di reagire e di riconquistare la libertà con la fuga.
L’anniversario (’74) diventerà inno ufficiale della campagna a favore del divorzio,
mentre Il vecchietto (’77) fa emergere il tema dell’abbandono degli anziani, un tempo portatori di valori e memoria, ora solo causa di problemi per figli sempre troppo indaffarati.
Nel 1982 Ballata per un matto, adattamento da un tango di Astor Piazzolla, è il racconto stralunato di un Modugno “fanciullino” capace di meravigliarsi di ciò che lo circonda e di vivere il sentimento dell’amore con la magia di chi sa osservare la realtà a suo modo. Di chi è fuori dalle convenzioni, diverso e per questo speciale.
Particolarmente attento a questa tematica, non manca di battersi per i diritti dei malati mentali attraverso l’azione politica, come deputato del Partito Radicale, attività alla quale si dedica negli ultimi anni della sua vita, toccati dalla malattia.
Nel 1987 si fa portavoce di una importante battaglia contro il manicomio-lager di Agrigento, riuscendo a ottenerne il sequestro e la ristrutturazione. Per questo pubblico, di uomini e donne ai margini, decide di tornare sul palco dedicando loro i suoi successi.
Tra gli ultimi brani, Delfini, dialogo tra padre e figlio, è la canzone che lo riporta a casa, a fluttuare nel suo mare. Blu dipinto di blu.
Domenico Modugno è mancato il 6 agosto 1994 nella sua abitazione di Lampedusa.
Polignano a Mare, l’anno prima, lo aveva visto ritornare, salutato da un numero incredibile di appassionati accorsi da ogni dove per assistere a un concerto storico: la voce che aveva varcato limiti geografici viaggiando per il mondo, tornava al luogo delle sue origini. Quel pubblico, sempre nuovo ed entusiasta, continua a ricordarlo nell’evento “Meraviglioso Modugno” in cui grandi personalità del panorama musicale rendono omaggio alle eterne canzoni di Mister Volare.
Da Rai Storia: “Incontro con Domenico Modugno”.
Chiara Ferrari, autrice del libro Le donne del folk. Cantare gli ultimi. Dalle battaglie di ieri a quelle di oggi. Edizioni Interno 4, 2021; coautrice del documentario Cantacronache, 1958-1962. Politica e protesta in musica. Da Cantacronache a Ivano Fossati, edizioni Unicopli
Pubblicato domenica 30 Gennaio 2022
Stampato il 11/12/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/terza-pagina/pentagramma/sognando-e-volando-nel-blu-di-modugno/