Sì, la famiglia può uccidere come può uccidere la cura sbagliata di un medico. “Favolacce” dei fratelli Damiano e Fabio D’Innocenzo (Orso d’argento per la sceneggiatura all’ultimo Festival di Berlino) ce lo mostra puntando sulla nostra società uno sguardo acuto che si tramuta in un grido.
“La terra dell’abbastanza”, opera precedente degli stessi registi, mostrava l’alienazione e l’indifferenza di due giovani della periferia romana, colpevoli di un incidente stradale e plagiati dal contesto, e poi il drammatico risveglio della loro coscienza.
Il nuovo film, ambientato in una comunità piccolo borghese, affronta il problema delle colpe dei genitori incapaci di gestire la crescita morale dei figli e la loro serenità. Ma la carenza di valori è ormai diffusa ovunque e questa favola nera, piena di realtà su vittime e carnefici, lo conferma.
Una voce fuori campo che legge il diario scritto a penna di una bambina presenta i protagonisti, personaggi fragili, frustrati, nevrotici e centrati sul narcisismo, futili al pari dei peggiori modelli televisivi. Vediamo i genitori riversare le proprie carenze culturali sui figli, di cui si sentono padroni, assistiamo alla loro manipolazione come oggetti e come bersagli della loro insoddisfazione.
Questa storia di sofferenze infantili di smarrimenti insopportabili nel quotidiano con tragiche conclusioni non è finzione, rispecchia situazioni vere che proliferano intorno a noi a largo raggio e che leggiamo continuamente nei fatti di cronaca più truci, dove la responsabilità genitoriale appare svanita.
La storia si svolge tra le villette a schiera di angolo alberato di Spinaceto, quartiere della periferia romana, ma potrebbe essere anche altrove. Ciò che conta sono i connotati dei personaggi. Tutto sembra scorrere tranquillo in apparenza, ma via via, sotto l’ostentato benessere di facciata, le spiacevoli verità segrete vengono a galla. L’ignoranza e la superficialità degli adulti minano l’esistenza dei ragazzi il cui quotidiano è costellato di malessere e confusione. Il vuoto di valori è totale, molti gli slogan presi dalla pubblicità, continue le soluzioni contraddittorie e gli esempi negativi che suscitano negli adolescenti sconcerto e reazioni di autodifesa. Qui scavano i registi che fin da piccoli – come afferma Fabio D’Innocenzo in un’intervista – sono stati dei grandi osservatori, molto perspicaci. “Sentivamo che c’era qualcosa che non andava, che c’era qualcosa di malinconico nel mondo, negli adulti”.
Dennis e Alessia, i due figli di Bruno Placido (Elio Germano) e Dalila (Barbara Chichiarelli) sono, come i loro compagni, continuamente soggetti alle intemperie domestiche. E quando a scuola apprendono dal professor Bernardini come costruire una bomba, la realizzano. Lo scopo ingenuo e terribile è quello di far saltare in aria i genitori e il quartiere.
Pur avendo scoperto l’ordigno sulla scrivania di Dennis, i grandi fanno finta di nulla.
Sono troppo distratti dai loro battibecchi coniugali e ossessionati dalla ricerca di una felicità fittizia. Bruno, disoccupato, deve fare i lavori di casa mentre Dalila è insoddisfatta e nello stesso tempo passiva di fronte al maschilismo del marito instabile e collerico. Repressione, rancore e ipocrisia sono gli elementi costanti del menage.
Non meno squallida è la coppia dei Rosa, Pietro e Susanna, benestanti che frequentano la famiglia Placido con la figlia Viola. Si sentono superiori ai Placido ma la loro spocchia pretenziosa è ingiustificata, il loro livello culturale lascia molto a desiderare, hanno solo più contante, ma pessimo gusto. Li vediamo vantarsi e preoccuparsi solo di apparire.
Nel quartiere c’è anche Vilma (Ileana d’Ambra) una ragazza provocatoria e ruvida nei modi, delusa dalla famiglia e dalla vita grama. Mal sopporta le privazioni e una madre anaffettiva. Attende un figlio dal fidanzato. Parla con Dennis ma non sa se fidarsi o no del ragazzino e ha un linguaggio volgare.
Amelio (Gabriel Montesi) che vive in un box con il figlio Geremia (Justin Korotkin) crede di essere il migliore dei padri mentre, al contrario, è un padre padrone. Impone al ragazzo il suo modello di duro, lo domina e finirà per allontanarlo dagli amici trasferendolo in un’altra zona della città, in un contesto ambiguo.Tutti questi figli subiscono la dittatura e gli errori dei padri e sognano la fuga. Nelle prime sequenze vediamo la famiglia Placido seguire in tv con la massima indifferenza la notizia del suicidio di una coppia che ha annegato nella vasca il figlio neonato. Poi Bruno ordina ai suoi ragazzi di esibire i bei voti in pagella ai Rosa invitati a tavola. Vuole solo rifarsi clamorosamente col vincente Pietro, la cui figlia è una schiappa.
La narrazione filmica ha il pregio, accanto alla tematica, di essere incisiva perché parte dal basso attraverso dettagli intensi e plastici, tutti allusivi, utili non solo all’intensità della storia ma ad entrare nei suoi contenuti. Questo stile non frettoloso o d’azione ma di precisione scientifica che vuole essere imparziale ci fa pensare al naturalismo di Zola in campo letterario. Parte dal corpo per inquadrare l’anima e il contesto sociale.
Così gli atti dei personaggi colti nel quotidiano si trasformano in momenti clou e hanno sempre doppi significati. Bruno, invidioso dei vicini, squarcia nottetempo la loro piscina gonfiabile per simulare un attentato. Tutta quell’acqua che fuoriesce è come un travaso della rabbia comune.
Dennis sta per soffocare per un boccone di traverso, Bruno cerca goffamente di salvarlo e poi reagisce con una crisi isterica. È inadeguato ma la moglie, sbagliando obbiettivo, se la prende col bambino.
L’abbigliamento di Vilma, i pantaloni stretti che mal contengono la pancia, i sandali, i piedi, le unghie,la sensualità del corpo gravido, le posture sguaiate, ben dipingono la sua formazione grossolana e al contempo la sua autenticità. Gli sguardi curiosi e ingenui di Dennis sulle sue fattezze e le ambiguità confidenziali della ragazza riflettono le sfumature del loro legame saltuario.
Il timido Geremia incitato dal padre a esercitarsi a guidare l’auto, girando come un forsennato, è smarrito quando Amelio gli offre il preservativo e lo tratta da grande, da complice. Esita nell’appuntamento con Ada (Laura Borgioli) e si eclissa malgrado le dritte paterne mentre la ragazzina sdraiata sull’erba, in posa di attesa, si prepara con diligenza a un abbraccio come ha visto fare sui social.
Bruno furioso porta fuori dall’auto Dennis che ha osato porgli domande sul suo rapporto con la mamma e lo prende a botte. La sequenza fuori campo è seguita dal finestrino dalla sorellina piangente. È lei che vede per noi lo svolgersi della violenza e ce la fa immaginare.
La scelta dei Rosa di far rasare a zero Viola che ha preso i pidocchi e di affibbiarle una parrucca è rivelatrice. Le verità scomode – pensano – non vanno sanate ma mascherate.
Tutto questo inquietante puzzle familiare così messo a fuoco è uno specchio e non può non racchiudere una tragedia finale.
Infatti i figli esautorati, ma ancora non inquinati, decidono di uscire con una scelta definitiva dal programma negativo coniato dagli adulti. Sarà il professor Bernardini ad additare loro la soluzione. Licenziato dalla preside per aver insegnato a costruire la bomba offre l’ultima dritta deleteria. In ogni garage della zona si può trovare – dice– un potente antiparassitario che offre una morte facile e indolore. Forse il docente vuole vendicarsi di un mondo a lui ostile, forse esprimere la condanna di una società che considera totalmente fallimentare.
Così i due fratelli Placido e Viola decidono di sparire e trovare la pace come il fantasma di Canterville nel racconto di Oscar Wilde, letto durante le vacanze estive. “La morte dev’essere tanto bella…. Non avere né ieri né domani”. La citazione li paragona a quel personaggio ignorato nei suoi tormenti. Sembrano invisibili come lui agli occhi dei grandi.
Certo in questo panorama buio l’assunzione di responsabilità è solo dalla parte dei figli. Se cerchiamo uno spiraglio di speranza lo troviamo solo nella loro sincerità disarmante e ingiustamente punita.
Risalta poetico e delicato il regalino di plastica di Viola a Geremia in partenza. Struggente il fotogramma degli ultimi istanti dei fratelli che si danno la mano seduti davanti al tavolo di cucina verso la morte.
Anche Vilma non ce la farà a ricominciare dopo il parto, malgrado le fantasticherie in auto col fidanzato e i progetti rosei conditi di canzoni. Non c’è scampo. I due non hanno aspettative. Il copione sembra fatale. Eliminare la neonata nella vasca e togliersi la vita dopo aver assunto un cocktail di farmaci.
La notizia scarna appare sullo schermo tv davanti ad Amelio e Geremia e sembra ripetere quella vista all’inizio del film. Significa che tutto ricomincia? In effetti i problemi restano aperti. Amelio crede di aver salvato Geremia con il trasloco ma il futuro è incerto.
La sequenza di Bruno che scopre al mattino i corpi dei figli è l’emblema calzante del disagio in una società cieca e sorda. Quest’uomo fragile pavido e vile dal polso di ferro coi deboli torna tremante a letto senza il coraggio e la volontà di parlare alla moglie, lascia che la donna entri nella cucina e veda da sola la morte.
Nel cast non è bravo solo Elio Germano, definito un prestigiatore dagli Innocenzo per la sua abilità di togliere e aggiungere all’interpretazione. Verosimili e intensi coi loro diversi caratteri sono anche i ragazzi,che offrono un convincente ritratto generazionale: Tommaso di Cola (Dennis) Justin Korovkin ( Geremia), Giulia Melillo (Viola), Giulietta Rebeggiani ( Alessia), Laura Borgioli (Ada). Ileana d’Ambra, è l’interprete giusta, forte e sanguigna del personaggio di Vilma. Gabriel Montesi rende bene l’immagine di una paternità rozza e dispotica.
Il film è pessimista? Più che altro suona come un monito. I due fertili registi appaiono più che una promessa del cinema italiano.
Serena d’Arbela, giornalista e scrittrice
Pubblicato sabato 31 Ottobre 2020
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