Ci sono storie che ammaliano per la loro intensità, per la loro tragica o felice conclusione, e poi ci sono storie che non invecchiano perché oscure, cariche di domande che non possono né potranno mai avere una risposta.
Così è per la vicenda Majorana, un mistero lungo ottant’anni.
Ettore Majorana, fisico teorico e docente all’Università di Napoli, con una brillante carriera davanti a sè, scompare letteralmente nel nulla nel 1938 a 31 anni, lasciando una manciata di lettere che ne alimenteranno il mistero: suicidio, fuga in Argentina o Venezuela, collaborazionismo con la Germania nazista per la creazione della bomba atomica, crisi spirituale e ritiro in convento.
Sulle sue tracce si è messo il regista Egidio Eronico dando vita al docu-film “Nessuno mi troverà” del 2015 – distribuito da Istituto Luce Cinecittà – con lo scopo non tanto di risolvere il mistero quanto di rimettere in fila i fatti, i documenti, le piste, e riscoprire l’uomo Majorana oltre gli stereotipi rispettandone la scomparsa, indipendentemente dalla motivazione che ne fu la causa.
L’opera del regista romano, che già si era misurato con temi storici delicati e pregnanti come nel film “My father- Rua Alguem 555” sul criminale SS Mengele – film che inaugurò la rassegna Berlinale Special nel 2003 –, sta raccogliendo apprezzamento unanime di critica e pubblico.
Eronico ha rilasciato una lunga intervista a Salvatore Trapani per RS-Ricerche Storiche, la rivista di Istoreco-istituto storico di Reggio Emilia, in cui scandaglia il senso di questo suo lavoro in occasione della proiezione nella città emiliana il 15 dicembre scorso.
Basandosi sull’approfondito e rigoroso lavoro di ricerca dei fisici Francesco Guerra e Nadia Robotti su Majorana, il regista è andato alla ricerca dell’uomo Ettore, superando il limitato ritratto che le prime ricerche poliziesche, le prime ricostruzioni giornalistiche e le speculazioni successive hanno lasciato di lui: di genio incompreso e problematico.
Majorana era nato a Catania nel 1906. Laureatosi con Enrico Fermi, il quale lo definì “un genio della statura di Newton e Galilei”, fece parte del gruppo dei ragazzi di via Panisperna a Roma, l’équipe di fisici che collaborò con Fermi alla scoperta, nel 1934, delle proprietà dei neutroni lenti, fondamentali per realizzare il reattore nucleare e di conseguenza la bomba atomica. Ma nel 1938, precisamente il 25 marzo, Ettore parte in piroscafo da Napoli alla volta di Palermo, con in tasca le ultime buste paga. Qui scrive lettere ad un amico parlando di “decisione ormai inevitabile”, e ai familiari chiedendo loro di non vestire di nero. Poi, quasi fosse pentito, immediatamente dopo il messaggio invierà all’amico un telegramma dove lo prega di non allarmarsi e dove gli annuncia il suo rientro a Napoli il giorno successivo.
Da questo momento se ne perdono le tracce.
Sulla figura di Majorana si sono appassionati diversi “narratori” fra cui il regista Gianni Amelio e, primo fra tutti, Leonardo Sciascia con il suo “La scomparsa di Majorana” (1975). Lo scrittore qui sposa la teoria del ritiro spirituale in convento del fisico per sfuggire ai possibili sviluppi delle sue intuizioni scientifiche, l’atomica appunto, nell’imminenza della Seconda guerra mondiale. Ma quella di Sciascia è una teoria come un’altra, attendibile quanto quella di chi sostiene di aver riconosciuto Majorana, invecchiato, in una fotografia accanto al nazista Adolf Eichmann in fuga verso l’Argentina nel 1950.
Ciò che secondo Eronico ha attirato Sciascia della figura del suo conterraneo è il coraggio della disobbedienza, di “un genio che a un determinato momento rinuncia al suo destino di genio”, ai riconoscimenti, alla gloria. “Poco importa – aggiunge il regista nell’intervista a RS – lo schieramento politico, ideologico. Sciascia vede in Majorana un uomo libero, libero di scegliere, coraggioso proprio perché si rifiuta di fare ciò che tutti si aspettano da lui. (…) Per Sciascia i siciliani migliori sono sempre quelli portati a non fare gruppo, e Majorana era fra questi”.
Ma come raccontare gli intrecci e queste complessità, e cioè le scoperte scientifiche e il difficile rapporto con Fermi, il mondo accademico e la gioventù, cercando di tratteggiare in modo veritiero il profilo di un uomo sfuggente senza la pretesa di capirlo e, tanto meno, di trovarlo? E poi perché farlo?
Eronico è della stessa scuola di pensiero degli amici Wu Ming, il collettivo di scrittori, e dichiara che una storia può contenere tutte le storie immaginabili, che ciò non è affatto un limite quanto una risorsa per mettere in discussione luoghi comuni, punti di vista e prospettive. Ha scelto così un “punto di vista documentario” per il suo “Majorana memorandum” che gli ha permesso di mixare diversi stili: documentario, fiction, graphic novel, e realizzare un viaggio nelle contraddizioni di un animo umano – dell’animo umano – immerso e a confronto con la storia, con la memoria e con l’inesauribile sete di mistero e libertà della nostra società che, non a caso, di questo giovane – forse inquieto, forse risoluto, alla ricerca di sé o di qualcosa di diverso, e in cui possiamo rispecchiarci – ha fatto un paradigma delle questioni scientifiche, politiche e morali che evidentemente continuano ad appassionarci.
Gemma Bigi, ricercatrice
Pubblicato lunedì 19 Dicembre 2016
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