“Perché ho parlato tardi? Volevo vivere tranquillo”. Eppure forte, una grande convinzione, un pensiero urgente su questa nostra contemporaneità e la sua cultura antifascista si è a un certo punto sovrapposto: “allo stesso modo di allora, oggi bisognerebbe trovare una cosa che ci accomuni, come ci ha accomunato la lotta di Liberazione”. Ecco le ragioni che inducono a parlare, e poi a scrivere, così come le troviamo in Diario di un giovane sardo che scelse di combattere per la libertà e la democrazia, autobiografia inedita di Nino Garau, il partigiano che sarà ricordato domani 28 ottobre con l’evento organizzato nella facoltà di Scienze politiche dell’università di Cagliari. Entrato nella Resistenza con il nome di “Geppe”, diventa, nel Modenese, comandante della 13a Brigata Aldo Casalgrandi intitolata a un giovane antifascista impiccato dai tedeschi, e inizia a raccontare la sua esperienza partigiana molto dopo la Liberazione.

Garau all’Accademia aeronautica di Caserta
nel 1941 (fondo della famiglia Garau, wikipedia)

Non vogliamo fare una ricostruzione agiografica della figura del partigiano “Geppe” attraverso la lettura del suo diario: non lo fa l’Anpi e non lo avrebbe voluto Nino. Sono così chiare le priorità del racconto: lo scorrere del tempo, il succedersi delle azioni e il convincersi definitivamente che quella guerra, i partigiani, l’avrebbero vinta e avrebbero liberato l’Italia dal nazifascismo e costruito la democrazia.

(lanuovasardegna.it)

Questo diario è il vero ultimo regalo di Nino consegnato a quei suoi amici che lo hanno accompagnato nelle scuole a parlare di Resistenza e di partigiani, invitato alle manifestazioni del 25 aprile: quei suoi amici di cui lui aspettava l’arrivo in piazza del Carmine a fine mattinata. E noi abbiamo rispettato il suo invito a diffondere quella testimonianza “solo dopo la mia morte”, per mantenere il racconto al riparo dalla narrazione resistenziale a uso solo di chi scrive, come dice lo stesso Nino nelle sue memorie e rivendicare spazio nuovo invece a “chi narra da protagonista”. Il diario si apre con l’affettuosa dedica a ciascuno di noi, per poi allargarsi a tutti i lettori e chiudersi con i versi di Bertolt Brecht in A coloro che verranno.

Uno dei paragrafi centrali è intitolato “Cominceremo un’altra guerra dopo la Liberazione”, in cui il pensiero è tutto proiettato verso il futuro, il suo e il nostro: “dovevamo portare l’idea di democrazia a persone vissute per vent’anni sotto una dittatura”, scrive. A testimonianza di quanto nei suoi interventi pubblici amasse soffermarsi sul dopo e parlare dell’oggi, il paragrafo “Caccia alle streghe” svela dolorosamente un pezzo di storia d’Italia durante la Ricostruzione. Geppe, comandante partigiano, insieme agli altri protagonisti della Resistenza nel Modenese, documenta la storia nel territorio di Spilamberto, per lasciare ai cittadini e agli studiosi una fonte certa e attendibile cui attingere in futuro, “la storia della nostra brigata e la lista di coloro che nella nostra zona avrebbero dovuto essere riconosciuti partigiani o patrioti, conclusa ad agosto e inviata a Modena al Comando di divisione: vi lavorai dal 1945 al 1947”.

Nino Garau (a destra) con Gilberto Galli a Modena subito dopo la Liberazione (dall’archivio personale di Garau, wikipedia)

Ed ebbero crudelissimo destino, sia la lista che la storia della brigata, distrutte per impedire che “la polizia di Scelba”, nell’accanimento contro i partigiani, potesse collegare i nomi contenuti nei documenti “all’uccisione di qualche fascista avvenuta dopo il 25 aprile”, e non si tratta certo dell’unico caso in Italia. In quella caccia alle streghe anche Nino venne coinvolto per una lettera anonima, e il tono del racconto si fa triste e sconsolato come mai nel corso della narrazione perché, se restano intatti i valori della solidarietà e della giustizia sociale maturati durante la Resistenza, alquanto iniqua si profila l’Italia del dopoguerra, che comprime la libertà al punto da perseguitare gli stessi partigiani, segnando il ritorno al passato e la continuità col fascismo. E poi ancora affiora vera e dichiarata la delusione del combattente, per essere arrivati, in tempi più recenti, a pretendere di “considerare i repubblichini alla stregua dei partigiani”: avevano combattuto, i partigiani, “per costruire un Paese diverso”.

Uno scorcio di Cagliari a inizi anni ’40 (wikipedia)

I fatti si avvicendano repentinamente: l’arresto a Cagliari nel 1949 (indiziato dello stesso reato, pur se subito dopo scagionato), e il ritorno alla sua vita normale, come funzionario e poi segretario generale in Consiglio regionale. Così il lettore è invitato a ricercare nel diario anche quei momenti di vera gioia e di grande commozione, per esempio di fronte all’importante riconoscimento del ruolo svolto da Nino, con il conferimento della Medaglia di Bronzo al Valor Militare e soprattutto, “la felicità quando il sindaco di Spilamberto mi consegnò le chiavi della città, e la cittadinanza onoraria per aver liberato la città prima dell’arrivo degli alleati, onorificenza riconosciuta dai miei compagni di lotta”.

La lapide commemorativa di Spilamberto, insignita della Croce al Valor Militare (pietredellamemoria.it)

Aneddoti che servono anche a richiamare i caratteri della Resistenza, la storia di una guerra partigiana combattuta fino in fondo, “nonostante gli americani preferissero fare di noi semplicemente dei piccoli nuclei di informatori e sabotatori”, pur se costretti poi a riconoscere esplicitamente il “contributo dei partigiani” nella vittoria contro il nazifascismo. A iniziare dalla Liberazione della V Zona (Spilamberto e il suo territorio) a opera “delle nostre brigate”, prima ancora dell’arrivo degli alleati, quando le azioni predatrici tedesche dopo lo smantellamento delle loro linee negli Appennini emiliani e lo sfondamento della Linea gotica iniziano a farsi sempre più pressanti. Momenti di grande fervore nei preparativi all’azione finale e di grande coinvolgimento per il lettore, “il piano di difesa e offesa” messo a punto man mano nella brigata, il collegamento garantito dalle staffette col Comando di brigata stesso e con i comandi dei battaglioni e dei distaccamenti. E si svela la strategia del comandante Geppe, in quella “operazione a ventaglio” che provoca l’immediato ripiegamento dei tedeschi, già in ritirata con i loro mezzi corazzati, sintesi dei luoghi e delle azioni in cui si sono svolti mesi e mesi di guerra partigiana.

Partigiani in Emilia Romagna (Archivio fotografico Anpi nazionale)

E poi gli abitanti, che sparano dalle finestre con i vecchi fucili della prima guerra mondiale e il cui supporto è indispensabile per la cacciata dei nazifascisti. Nella coralità dell’azione si aggiungono gli uomini dislocati in punti strategici e che l’autore ricorda spesso col nome di battaglia – Parigi, Galli, Borghi, Balugani, Muratori – da San Vito, punto centrale della pianura, tutti pronti a intervenire per la liberazione dell’intero territorio. E il rastrellamento finale dei partigiani alla ricerca degli ultimi tedeschi, fino al 23 aprile: Spilamberto è ormai libera, gli Alleati riprendono il loro cammino verso Nord, fermandosi solo a salutare i partigiani per riconoscerne l’indispensabile contributo anche nell’insurrezione finale.

Un’immagine di Spilamberto nel decennale della Resistenza (gazzettadimodena.gelocal.it)

Si può dire che prevale nel racconto la forte determinazione ad andare avanti e, se “il proclama di Alexander” nell’inverno del 1944 crea sgomento, nel bel mezzo del racconto di Nino si legge che “forte ancora la risposta dell’esercito dei partigiani, non abbandonare la lotta”. Si legge ancora come si costruisce la brigata, dopo l’abbandono dell’accademia e il rifiuto dell’arruolamento nell’esercito di Salò e poi la fuga verso Spilamberto dove, sostenuto dai vecchi e i giovani antifascisti, egli promuove la unificazione di Sap e Gap e ottiene la disponibilità dei capifamiglia, che conoscono luoghi e persone: a disposizione cascinali per la sosta e per il nascondiglio delle armi. Operai, contadini, artigiani, tutti giovani combattenti da istruire: Nino “Geppe”, riconosciuto esperto nell’uso delle armi, nella lettura delle carte, nella capacità di organizzare il gruppo, viene nominato comandante partigiano della 13a Brigata Aldo Casalgrandi, per poi ottenere il riconoscimento ufficiale della Brigata nel maggio del 1944.

Un resistente in Emilia-Romagna (Archivio fotografico Anpi nazionale)

E se la narrazione si fa più avvincente, forse è proprio la presenza di tante persone e il modo concreto di procedere collettivamente a rincuorare il lettore; l’intervento – definito “indispensabile” dall’autore – di informatori e guide, le donne staffette ad assicurare i collegamenti e, nei casolari, i pasti e gli alloggi e il conforto dell’accoglienza e del riposo e il rifugio sicuro per le armi. Poi viene la descrizione della piramide, Comando di divisione, ispettore di zona, brigata, e la sezione della brigata per intercettare le spie ma, prima di tutto, il collegamento con la missione americana che distribuisce le armi: di notte, l’attraversamento dei poderi e dei sentieri campestri, guide e staffette a controllare gli spostamenti dei tedeschi. E l’incontro con Ferruccio, inviato della missione americana, che consegna mitragliatori pesanti, bazooka e bombe a mano, sull’uso dei quali è necessario ancora istruire i combattenti. La narrazione arriva quindi alle pagine più drammatiche della cattura di Nino e di altri partigiani (alcuni dei quali fucilati subito dopo), il carcere, le torture e la fuga rocambolesca precedono una bella pagina del diario, il ricongiungimento a Spilamberto dell’intera brigata, mentre il racconto sembra avanzare con lo stesso ritmo con cui la guerra spietatamente impone ai combattenti di procedere, nonostante le fatiche e i grandi dolori della lotta clandestina.

Spilamberto in una foto storica (Archivio fotografico Comune Spilamberto)

Così come accade nei paragrafi “Le armi e le azioni” e “La presa delle armi in montagna”, in cui si susseguono immagini cinematografiche, per arrivare alla liberazione della V Zona e agli episodi della “Cattura delle spie nazifasciste” e de “L’attacco alla colonna tedesca”: qui Geppe racconta il trasporto nelle retrovie del bottino di guerra. Lo studio del luogo con le guide e il posizionamento della squadra al tramonto in un costone sopraelevato, un attacco a fuoco della durata di cinque minuti, con mitragliatrici pesanti e bombe a mano. Quindi la fuga per vie già stabilite e “La cattura del distaccamento delle brigate nere di Spilamberto”, un coraggio che si fonda sull’intesa forte del gruppo e sul sostegno della popolazione, 50 fascisti presi in trappola, giustiziati i criminali di guerra, gli altri consegnati ai partigiani di montagna. Fino al “Piano di difesa e di attacco”, le carte e le mappe sul territorio del fiume Panaro, poi l’incontro a Modena di tutti i comandanti di brigata, presso il Comando di Divisione, per coordinare l’azione finale contro i nazifascisti.

Il centro della cittadina di Spilamberto nel secondo dopoguerra (allacciatilestorie.it)

Passare dalla condizione di soldato che ubbidisce a quella di partigiano che combatte per la liberazione, nell’intima confidenza fra donne e uomini impegnati sullo stesso fronte, anche una nuova consapevolezza sorge, guardando e vivendo la vita degli altri, il mondo dei poveri e degli oppressi, a Nino del tutto sconosciuto. “Mi avvicinavo a quella gente”, agli operai umili, e “toccai con mano il perché dell’antifascismo e delle insurrezioni, il perché degli scioperi e l’ingiustizia del contratto di mezzadria: era necessario vivere in quei luoghi per conoscere il mondo reale”. Che diviene, da quel momento la scena dell’azione, accompagnata da una profonda presa di coscienza, scelta etica in difesa dei deboli, degli oppressi, per questo dalla parte della libertà e della democrazia, dalla parte della politica, quindi, contro il fascismo che l’aveva sospesa nell’intero Paese.

Alcuni partigiani in Emilia-Romagna (Archivio fotografico Anpi nazionale)

È vera consapevole presa di posizione che dà senso all’esistenza, in quello sbandamento dell’esercito, la fuga dei capi e del re, che avevano preteso di insegnare qualcosa della vita ai giovani militari come Nino, esaltando la violenza della guerra, la brutalità della morte in guerra. “Ho ucciso per non essere ucciso, ciò che conta è aver vissuto la guerra e poi aver vissuto la pace”, così in quelle pagine di ricostruzione storica, “La caduta del fascismo”, “Resistenza italiana” e “La Resistenza italiana vista dagli alleati” si evidenzia l’interesse di Nino per tutti i militari che si opposero all’invasione nazista dopo l’8 settembre, i combattenti sul fronte orientale e gli Imi, gli internati militari italiani nei campi di concentramento. Uno scenario eterogeneo che definisce anche quelle tante diverse Resistenze, come si dice oggi, necessarie e significative insieme a quella combattuta in Italia.

Uno scatto da “Sentieri della memoria”, l’iniziativa di trekking storico organizzata a Spilamberto nel giugno 2016 (allacciatilestorie.it)

Ancora inedito, il diario di Geppe è un nuovo contributo che dà spessore, pur nel racconto che parte dall’esperienza personale e del gruppo in quel ben definito territorio, all’intero quadro delle narrazioni sui partigiani in Emilia-Romagna e in Italia. È un’esperienza da far leggere nelle scuole, da dare agli studenti, come ci aveva raccomandato Nino “Geppe”. Per la loro educazione sentimentale, per costruire una coscienza democratica attraverso le storie di un ventenne partigiano di Cagliari, che ai suoi figli lascia in eredità un vero patrimonio spirituale, cui pure noi tutti potremo ancora a lungo attingere.

Gianna Lai, presidente della Sezione Anpi di Cagliari