Lo scorso 5 gennaio, nel salone Vanvitelliano di palazzo Loggia a Brescia, più di cento persone sono convenute, con mascherina e super green pass, perché il contagio in città si fa sentire e gli eventi tragici trascorsi incombono pesanti, ma non al punto da mancare all’appuntamento. Tutti presenti per ricordare lui, il professor Romano Colombini, per molti solo Romano, mancato nell’agosto del 2020, nel giorno in cui avrebbe compiuto 93 anni.

Il saluto del presidente del comitato provinciale Anpi Brescia, Lucio Pedroni

Il primo a onorarne la memoria, ricordandone la statura morale e culturale, è stato l’assessore Fabio Capra del Comune di Brescia, anche a nome del sindaco Emilio Del Bono, seguito dal presidente provinciale Anpi, Lucio Pedroni, che nel suo ricordo partecipato e commosso ha rievocato il personale rapporto con Romano Colombini, in qualità di presidente della Commissione scuola Anpi “Dolores Abbiati”, ma si è soffermato con particolare commozione sul legame tra suo padre Lino e Romano, giovanissimi militanti antifascisti che seminavano chiodi a tre punte e spostavano cartelli stradali per intralciare e disorientare i nazifascisti che presidiavano la città.

Il presidente nazionale Anpi, Gianfranco Pagliarulo

Una cerimonia arricchita dall’intervento di Gianfranco Pagliarulo, presidente nazionale Anpi, che in un videomessaggio ha evidenziato il valore umano, civile e politico di Romano Colombini indicandolo come esempio virtuoso, modello per le giovani generazioni.

L’assessore Roberta Morelli apre il convegno

Moderatrice dell’evento è stata l’assessora Roberta Morelli che ha coordinato sapientemente gli interventi e introdotto i contributi video e musicali, inserendosi a pieno titolo tra i “memorialisti” di Romano ed esponente del mitico gruppo degli “insegnanti di Sant’Eufemia”, prima scuola a tempo pieno in provincia di Brescia, voluta e diretta dall’illuminato e lungimirante preside Colombini.

Estremamente significativi per ricostruire questa poliedrica figura, gli interventi dei due relatori, lo storico Marino Ruzzenenti e il pedagogista Mario Maviglia, entrambi membri della Commissione scuola Anpi”.

L’intervento di Marino Ruzzenenti

Lo storico Ruzzenenti ha messo in risalto il coraggio della scelta di Romano, che pur appartenendo a una famiglia borghese, cattolica, capace di convivere con il regime senza fanatismi ma neppure aperta ostilità, matura una profonda scelta antifascista, portandola avanti all’insaputa dei genitori. Forse fu l’indole di Romano, bambino non proprio incline alla rigida disciplina del regime, a far scaturire le prime forme di insofferenza alla propaganda di regime, ma la svolta razzista del ’38 lo toccò profondamente: nell’ottobre di quell’anno, in quinta elementare, scoprì che uno dei suoi compagni era sparito dalla classe: era ebreo, “colpa” per lui del tutto incomprensibile. E raccontava spesso anche di come avesse sofferto la scomparsa improvvisa da scuola della sua piccola amica Anna, pure lei colpita dalle leggi razziali.

Nel Memoriale ella Resistenza italiana realizzato dall’Anpi nazionale la testimonianza resistente di Colombini (da noipartigiani.it)

Questa istintiva e sempre maggiore insofferenza sfociò in una più matura ostilità dopo l’8 settembre, quando la Repubblica sociale di Salò fece risorgere il fascismo, più aggressivo e violento. Romano, studente al liceo Arnaldo, avrebbe potuto stazionare nella “palude”, ma lui, quindicenne, si schierò contro, nonostante per la giovane età, non fosse necessariamente costretto a farlo. Il giorno di San Martino, padre Giulio Bevilacqua dell’Oratorio della Pace convocò i ragazzi dell’Azione cattolica e li incitò ad agire: Romano era tra questi. Da allora svolse attività clandestina di sabotaggio e di staffetta. Queste le parole con cui raccontava la sua partecipazione alla Liberazione di Brescia raccolte nel Memoriale della Resistenza italiana realizzato dall’Anpi nazionale “Noi partigiani”: «Con il giorno 26 aprile anche a Brescia città iniziò l’insurrezione. (…) La sera del 26 mi fu affidato l’incarico di presidiare villa Brivio, sede del comando fascista, nella zona di Porta Venezia: era stata lasciata libera, come le altre lì vicine, in seguito al fuggi fuggi generale. Mi rivedo ancora con il mitra e due bombe a mano tedesche, solo, in una situazione rischiosa, della quale forse non ero pienamente consapevole. Quella notte fece particolarmente freddo, nonostante la stagione primaverile. Dalla finestra vedevo il lampeggiare di razzi traccianti e di proiettili, mentre da Viale Venezia verso la Bornata transitavano ancora automezzi che trasportavano gruppi sparsi di soldati della Wehrmacht. Rimasi lì, senza dormire, fino alla sera del 27, quando mi venne annunciato che la città era ormai praticamente libera».

L’intervento di Mario Maviglia

Il pubblico, con ancora la mente occupata dalla tenera immagine di Romano sedicenne che presidia Villa Brivio, è stato invitato da Mario Maviglia a seguirlo nel suo agire da adulto, quando con coerenza profonda ai valori che fin da ragazzo lo avevano mosso, operò nell’ambito della cultura e della scuola della città.

Maviglia, che aveva collaborato con lui, ne ha ricordato ai presenti la curiosità intellettuale, il profondo credere nella cultura e nella scuola, insostituibile presidio di uguaglianza, luogo per eccellenza di crescita umana e civile. Ed emergono le tante iniziative di Romano Colombini, prima da insegnante, poi da preside. Maviglia ha evidenziato come al preside Colombini non sia sfuggita la portata civile e democratica della riforma delle 150 ore, introdotto nel nostro sistema scolastico nei primi anni 70 del Novecento, per consentire a tanti lavoratori di riaccostarsi al mondo dell’istruzione e della cultura. Così, avviava un corso nella scuola media di S. Eufemia, che allora dirigeva, divenendo poi proprio il Coordinatore provinciale dei corsi e curando i rapporti con il Provveditorato agli studi e le organizzazioni sindacali. Nello stesso tempo avviava specifici corsi di formazione su come insegnare in questi particolari centri di istruzione.

Due video-racconti, prodotti dalla Commissione scuola Anpi “Dolores Abbiati”, hanno consentito al pubblico di conoscere meglio due momenti topici della vita di Colombini: la “Pillola di memoria” lo ricorda bambino e ragazzo che si oppone al fascismo e alla sua retorica e la “Scheggia, brevi racconti di una strage” lo presenta sopravvissuto alla strage del 28 maggio 1974, con ancora in corpo le terribili sensazioni del momento, il dolore acuto per la perdita di amici carissimi (gli insegnanti vittime della strage di piazza Loggia) e una lucidità di analisi fine e pregnante dell’accaduto. Il pensiero dei presenti è andato subito a Manlio Milani, seduto in platea.

Bruna Zanelli ricorda Colombini

Quello che ancora manca per tentare una definizione dell’uomo Colombini è il suo impegno come presidente della Commissione scuola dell’Anpi di Brescia, un ruolo che Romano ha ricoperto per molti anni fino alle ultime ore di vita, divenendone il fulcro, l’anima. Sono le parole profondamente commosse di Bruna Zanelli, la voce della Commissione, le più adatte a svolgere tale compito e a queste mi affido per illustrare quello che Romano Colombini ha rappresentato per la Commissione scuola “Dolores Abbiati”: come l’abbia rinnovata, quanto l’abbia sostenuta e amata, quale meraviglioso rapporto abbia saputo creare con i collaboratori. Cito il testo partendo dall’attività che ha fin dall’inizio caratterizzato la Commissione scuola: gli incontri fra gli studenti degli istituti bresciani e i partigiani, protagonisti della Resistenza locale.

Il professor Romano Colombini, “per 20 anni fulcro e sprone” della Commissione scuola dell’Anpi Brescia, scomparso nell’agosto 2020

Ricco di pathos, il discorso di Bruna Zanelli: «Mentre lo scorrere del tempo assottigliava quell’originario drappello di testimoni, è stato Romano Colombini a onorarne la memoria e a tenerla viva, rispondendo con inesauribile generosità a decine di richieste di incontri provenienti dalle scuole di tutta la provincia, senza mai tirarsi indietro, neppure dopo che, per problemi di vista, aveva dovuto rinunciare a guidare l’automobile (…). Aveva una capacità speciale a far riflettere i ragazzi sui principi fondanti, sulla convivenza democratica, sugli eventi da cui erano scaturite la coscienza di quei principi e le battaglie per conquistarli, senza tacere gli aspetti del nostro presente in cui essi sono minacciati o non ancora realizzati. Li conquistava raccontando di sé, della sua famiglia d’origine, che non aveva condiviso i suoi gesti di insofferenza per l’ottusa disciplina della dittatura e per la sua retorica roboante. E ricordava come quei gesti, dettati all’inizio da un impulso istintivo di ribellione, si fossero gradualmente trasformati in lui in una ponderata scelta di campo, maturata anche grazie a letture e a incontri fondamentali per la sua formazione. Di quella scelta giovanile Romano Colombini aveva conservato la convinzione, ne aveva fatto un principio ispiratore della sua storia personale, proiettato quello spirito combattivo sul suo impegno civile, professionale, culturale: l’impegno di una vita dedicata allo studio e alla formazione dei giovani e degli insegnanti. Il suo antifascismo è stato una scelta esistenziale, una modalità di stare al mondo e di guardare il mondo, la sostanza di una resistenza quotidiana, alimentata da una devozione profonda per la Costituzione, sua stella polare, che sapeva spiegare ai giovani, ai bambini, con la nitidezza propria di chi padroneggia la materia. (…) Generazioni di studenti hanno conosciuto la sua azione educativa, generazioni di insegnanti si sono formati seguendo i suoi corsi e studiando sui suoi libri di testo, sperimentato le sue proposte innovative che hanno arricchito e stimolato il modo stesso di interpretare la professione di docente».

Grande partecipazione all’iniziativa in ricordo di Colombini nel salone Vanvitelliano di palazzo Loggia a Brescia

Ha proseguito Zanelli:  «È stato un privilegio collaborare con un tale maestro, con questo esempio di rigore e di coerenza, di attenzione al dialogo, all’ascolto, al rispetto profondo per la diversità di opinioni: una lezione vivente di cosa significa essere democratici, essere antifascisti, essere uomini interi. (…). Aveva la dote rara di intuire e di fare emergere il meglio di ciascuno, il dono di valorizzare e di far crescere i suoi collaboratori. Indicativo di questa sua intelligenza relazionale, delle sue doti di vero leader e della sua capacità di cogliere la contemporaneità è stato il suo approccio agli ultimi progetti della Commissione realizzati durante la pandemia. Mi riferisco al Manifesto Costituente, alle Pillole di memoria e alle Schegge, brevi racconti di una strage. Nel primo caso, di fronte al germe di un’idea, nutrita allora più di emozioni e di auspici che di un programma, ne coglieva l’esigenza, ne riconosceva la potenzialità, ne favoriva il nascere. E la ‘battezzava’: a lui, infatti, si deve il nome Manifesto Costituente dato al progetto. Anche le Pillole e le Schegge, i video-racconti digitali di eventi, personaggi e vissuti della Resistenza e della strage di Piazza Loggia, creati in occasione del 25 aprile e del 28 maggio per mantenere i contatti con le scuole durante il buio della pandemia, sono stati ‘benvoluti’ e sostenuti dall’entusiasmo di Romano, lui novantenne, ma giovane più di tanti giovani, destinatario commosso della Pillola e della Scheggia a lui dedicate. Era rapido nella risoluzione dei problemi, ottimizzatore del tempo che non poteva permettersi di sprecare perché le sue giornate erano intense, scandite, soprattutto negli ultimi anni, da incombenze familiari molto impegnative che però riusciva, misteriosamente per noi, a conciliare con una delle sue passioni più grandi: la lettura».

La foto divenuta simbolo della strage di Piazza della Loggia

Bruna Zanelli ha poi ripercorso altre tappe importanti della vita di Romano che hanno lasciato un segno profondo: «Grazie al suo esempio abbiamo capito cosa significa essere partigiani per sempre, praticare la cittadinanza attiva come forma di resistenza ai tanti pericoli che minacciano la democrazia e che Romano anche ultimamente ravvisava nell’inquietante riproposizione di simboli, linguaggi, posture, colpevolmente tollerati in questo Paese con indifferenza, quando non con ammiccante indulgenza. A questi rigurgiti del passato, ripeteva spesso “si possono dare nomi diversi ma in essi i partigiani, da sismografi quali sono, riconoscono inequivocabilmente i segni di una malapianta che continua a produrre i suoi frutti avvelenati, ancora capaci di sedurre e intossicare le coscienze”. E il pensiero correva a quella piovosa giornata di maggio, alla città straziata per sempre dalla viltà di un’esplosione, a quell’urlo che a distanza di decenni continuava a risuonargli dentro. Ne era stato profondamente segnato, tanto da ripetere spesso di sentirsi un sopravvissuto: collaboratori preziosi, affetti carissimi gli erano stati strappati da quella bomba esplosa nella vita di tutti, una ferita non rimarginabile, uno spartiacque che Romano faticava a rievocare senza commuoversi fino alle lacrime. Anche per sfidare quell’affronto Romano Colombini ha continuato a restare fedele al suo impegno militante; nel giorno della nostra festa più bella, il 25 aprile, per anni, fino a questi ultimi della sua vita, si prestava a rappresentare l’Anpi nelle cerimonie della Liberazione in giro per la provincia. Vi partecipava come esempio di antifascismo irriducibile e parlava a braccio, con eloquio semplice, con una lucidità di analisi e una carica ideale che lo mettevano al riparo da ogni retorica commemorativa. Ma a tessere la trama quotidiana del suo impegno è stata la continuità del suo lavoro come presidente della Commissione scuola, di cui negli anni aveva arricchito le attività, a partire dal Concorso, un’iniziativa ogni anno indirizzata agli istituti scolastici della città e della provincia, le cui tracce, che in origine privilegiavano la storia del 900, Romano aveva voluto aprire alla complessità del presente e ai nuovi linguaggi. E il giorno della premiazione, stringendo la mano a tutti i vincitori, aveva per ciascuno una parola, un sorriso, un’attestazione calda di autentica stima. Un altro appuntamento che, fin dagli inizi degli anni 2000, ogni anno ha impegnato la Commissione scuola è stato il Convegno pensato per gli istituti superiori della città. Il nostro presidente ha sempre puntato su personalità di rilievo: storici, sociologi, pedagogisti, giuristi di fama nazionale, occupandosi personalmente degli inviti. (…) Anche dei convegni l’anima è sempre stata Romano Colombini: il suo prestigio ci ha aperto tutte le porte cui abbiamo bussato. (…) Era la voce che apriva il Convegno, l’intelligenza lucida che ne commentava lo svolgersi, con un’attenzione particolare per gli studenti che gratificava con sincero apprezzamento, pronto a cogliere in tutti i lavori lo spunto, l’intuizione meritevoli di essere sottolineati. L’ultimo convegno, ‘Obiettivo giustizia’, proposto in modalità da remoto causa pandemia il 12 marzo 2021. l’abbiamo dedicato alla sua memoria, tanto era frutto dei suoi studi e delle sue cure e intenzioni».

Carlo e Paola Colombini, figli di Romano

Il ricordo di Zanelli si è soffermato sull’urgenza sentita sempre da Colombini nel trasmettere la memoria e la storia democratica:  «Sempre attento alla comunicazione con gli studenti, ha curato personalmente efficaci e apprezzate pubblicazioni didattiche, gratuitamente diffuse nelle scuole. Ricordiamo la collaborazione con il compianto Ermes Gatti, in rappresentanza delle Fiamme Verdi, nella stesura dell’opuscolo “Sul filo della memoria: conoscere per giudicare”, (2004), un vademecum ricco di informazioni sul periodo tra il 1915 e il 1945. E negli anni delle turbolenze abbattutesi sulla nostra Costituzione, segnati da numerosi tentativi di revisione, quando non di stravolgimento, in occasione del 60° della Liberazione, Romano Colombini propose e condivise con la Commissione scuola la diffusione tra gli studenti di “La Costituzione della Repubblica Italiana”, un’agile pubblicazione arricchita da un’introduzione che ne contestualizzava l’origine, il significato, ne sottolineava il filo diretto con i valori della Resistenza, il ruolo che in essa avevano avuto gli inermi e le donne. Con convinzione energica si era speso per un progetto la cui idea era scaturita da una ricerca di storici locali, del 2005, dal titolo “Le vie della libertà. Un percorso della memoria (Brescia, 1938-1945)”. Ispirati da questo lavoro, studenti e docenti dell’Istituto Tartaglia di Brescia nel 2008 avevano pubblicato una guida ai luoghi della Resistenza cittadina, anch’essa intitolata “Le vie della libertà”, un itinerario per un possibile percorso della memoria antifascista locale. Concretizzare questo originale lavoro in una sorta di museo diffuso sul territorio divenne per Romano Colombini un punto d’onore, condiviso e attivamente sostenuto anche dall’Anpi provinciale e dalle Fiamme Verdi. Intralci burocratici, lungaggini procedurali, tiepide volontà politiche ne hanno rallentato per anni l’attuazione, motivo, questo, di profondo e manifesto dispiacere per il nostro presidente, solo di recente risarcito dalla posa delle prime targhe volute dall’attuale amministrazione comunale. Il pomeriggio del 12 agosto 2020 ero al telefono con lui per concordare la ripresa delle nostre attività. “Dobbiamo fissare una riunione al più presto, abbiamo già perso troppo tempo”, sono state le ultime parole per noi. Romano Colombini ci ha lasciati qualche ora dopo, ma ancora una volta aveva avuto ragione: per chi crede e si ostina a difendere e diffondere i valori dell’antifascismo scolpiti nella Costituzione, non c’è mai tempo da perdere. La sua memoria ci solleciterà a non farlo».

Così ha concluso il suo intervento, visibilmente emozionata, Bruna Zanelli. La cerimonia ha visto infine il ricordo commosso, profondamente affettuoso, dei figli Carlo e Paola di un padre autorevole e dolce insieme, che li ha educati al rispetto degli altri e all’amore per la libertà. Alessandro Sipolo, cantautore bresciano che aveva già eseguito un suo pezzo in onore di Romano, ci ha aiutato a salutarlo cantando Bella ciao. Mi piace chiudere citando il saluto che Gianfranco Pagliarulo ha rivolto a Romano Colombini, un canto degli indiani Navajo: “Non restare a piangere sulla mia tomba. Non sono lì, non dormo. Sono mille venti che soffiano. Sono la scintilla diamante sulla neve. Sono la luce del sole sul grano maturo. Sono la pioggerellina d’autunno quando ti svegli nella quiete del mattino. Sono le stelle che brillano la notte”.

Nella Macrì, Commissione scuola Anpi Brescia “Dolores Abbiati”