«Dovunque sia stato, nei Paesi più lontani, i popoli hanno ammirato il presidente Allende e hanno elogiato lo straordinario pluralismo del nostro governo. Mai nella sede delle Nazioni Unite a New York si è udita un’ovazione come quella tributata al presidente del Cile dai delegati di tutto il mondo». Il riferimento di Pablo Neruda è al famoso intervento tenuto all’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 4 dicembre 1972, nel corso del quale il suo amico Allende ribadì la fermezza del governo cileno nel proseguire il “rivoluzionario” percorso di indipendenza economica e politica del proprio Paese, parlando di una “seconda indipendenza”: «Il disegno della nostra azione si basa essenzialmente sull’indipendenza del nostro Paese. Parliamo della seconda indipendenza. La prima è stata quando abbiamo sconfitto il colonialismo, dove abbiamo raggiunto l’indipendenza politica; oggi lottiamo per l’indipendenza economica che porti alla piena indipendenza politica, di cui purtroppo i Paesi in via di sviluppo non godono».
Il sociologo brasiliano Theotonio dos Santos negli stessi mesi definì il distorto rapporto tra il capitalismo e i Paesi latinoamericani basato sulla “nuova dipendenza”: «Il capitalismo non riesce a far progredire i popoli se non a costo del loro regresso: cioè affogandoli nella struttura sfruttatrice della concorrenza e della lotta dell’uomo contro l’uomo».
I dati parlavano chiaro. Nel periodo 1950-67 i nuovi investimenti nordamericani nell’America Latina, esclusi gli utili reinvestiti, raggiunsero i 3.921 milioni di dollari. Nello stesso arco di tempo, i profitti e i dividendi rimessi all’estero dalle varie imprese raggiunsero la cifra di 12.819 milioni. Il drenaggio dei profitti era stato tre volte superiore all’ammontare dei nuovi capitali introdotti nella regione.
D’altronde già un decennio prima, nell’agosto del 1961 a Punta del Este, in Uruguay, il Comandante “Che” Guevara aveva profeticamente illustrato le conseguenze della penetrazione del capitale straniero, in questo caso statunitense, sulle economie latinoamericane: «[…] è da prevedere che ci sarà un peggioramento sempre più evidente della bilancia dei pagamenti di ognuno dei Paesi americani, al quale si aggiungerà l’azione dei monopoli che esportano capitali. Tutto ciò toglierà ogni possibilità di sviluppo, proprio il contrario di quello che pensa l’Alleanza per il progresso. L’assenza di sviluppo provocherà maggiore disoccupazione, la disoccupazione porta immediatamente una diminuzione reale dei salari; parte un processo inflazionistico, che tutti conosciamo, per sopperire al bilancio preventivo dello Stato che non viene rispettato per mancanze di entrate. A tal punto verrà in quasi tutti i Paesi d’America a giocare un ruolo preponderante il Fondo monetario internazionale».
Il posizionamento internazionale di Allende in tema di democrazia economica è stato sempre coerente. I suoi inviti all’opinione pubblica mondiale a reagire contro il potere irrefrenabile delle compagnie multinazionali che sconvolgevano i rapporti commerciali tra Stati e esercitavano una pesante e indebita influenza politica drenando alti profitti dallo sfruttamento dalle risorse dei “Paesi in via di sviluppo” si riveleranno, anch’essi, profetici. La sua particolare attenzione per tutti i movimenti di liberazione, non solo sudamericani, ma anche africani superava la strategia dell’antimperialismo come collante ideologico dei Paesi del Terzo mondo. Era tra i pochi che seguiva con particolare attenzione i governi della Guinea-Bissau, del Mozambico e dell’Angola. In generale, l’Unidad popular si legò ai movimenti anticolonialisti e di liberazione nazionale, proprio del “terzomondismo”. Ridefinì così il più consueto orizzonte anticapitalista della sinistra, non aderendo all’egida comunista dell’Urss, rappresentando quindi un’alternativa di modernizzazione socialista e popolare del subcontinente.
«Oggi vengo qui perché il mio Paese sta affrontando problematiche che, nella loro universale importanza, sono oggetto dell’attenzione permanente di questa Assemblea delle Nazioni Unite: la lotta per la liberazione sociale, l’impegno per il benessere e il progresso intellettuale, la difesa della personalità e della dignità nazionali. La prospettiva che si presentava alla mia patria, come a tanti altri Paesi del Terzo mondo, era un modello di modernizzazione riflessa, che gli studi di esperti concordano nel ritenere che sia condannato a escludere dalle possibilità di progresso, benessere e liberazione sociale sempre più milioni di persone, relegandole in una vita subumana. Un modello che produrrà una maggiore scarsità di alloggi, che condannerà un numero sempre più elevato di cittadini alla disoccupazione, all’analfabetismo, all’ignoranza e alla miseria fisiologica. La stessa prospettiva, in breve, che ci ha mantenuto in una relazione di colonizzazione o dipendenza. Che ci ha sfruttato in tempi di Guerra fredda, ma anche di conflitti bellici, e in tempi di pace. A noi, Paesi sottosviluppati, viene chiesto di essere condannati a questa realtà di seconda classe, sempre sottomessi».
Quella allendista era una concezione incentrata sulla promozione dell’individuo, della libertà, della democrazia, dello sviluppo e dell’umanesimo, che indicò una strategia di cambiamento. Dalla realtà nazionale dialogava con le esperienze estere. Inoltre il governo dell’Unidad popular non era estraneo alla politica dell’unione latinoamericana, come chiarì Allende in ognuno dei suoi interventi in cui non mancò di fare riferimento alla politica estera cilena e al ruolo che il Paese avrebbe dovuto svolgere nella promozione della “pace e della cooperazione internazionale”, ma sempre nel rispetto dei quadri giuridici e del “non intervento negli affari interni degli Stati”.
Non stupisce quindi l’interesse che suscitò per il governo Allende la Terza Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo (Unctad III), che fu ospitata dal gobierno popular a Santiago dal 13 aprile al 21 maggio 1972, e rappresentò un passaggio paradigmatico della condanna internazionale contro la dipendenza dei Paesi del Terzo mondo.
L’avanzata di un internazionalismo antimperialista non era considerata un compito solo dei popoli latinoamericani, ma di tutti i Paesi che furono sottomessi al colonialismo, sia politicamente che economicamente. Allende, nel suo primo discorso al Congresso (21 maggio 1971), aveva ribadito il posizionamento internazionale del Paese: «La nostra lotta contro l’arretratezza e la dipendenza da egemonie straniere pone il Cile in una comunità di interessi con altri popoli dell’Asia e dell’Africa. Per questo motivo la decisione del governo popolare a far parte attiva del gruppo delle cosiddette nazioni “non allineate” partecipando con determinazione alle sue deliberazioni e accordi».
La rivendicazione dell’importanza strategica della sovranità economica si basava sul fatto che l’appropriazione e lo sfruttamento delle risorse naturali da parte dello Stato era concepito come il modo migliore per superare la condizione del sottosviluppo.
«In un solo anno queste società hanno ritirato ingenti utili dal Terzo mondo, il che ha significato trasferimenti netti a loro favore di 1.723 milioni di dollari, 1.013 milioni dall’America Latina, 280 dall’Africa, 366 dall’Estremo Oriente e 64 dal Medio Oriente. La loro influenza e il loro raggio d’azione sta sconvolgendo i rapporti commerciali tra Stati, incide sul trasferimento di tecnologia, sul trasferimento di risorse tra nazioni e sui rapporti di lavoro.
Siamo di fronte a un vero conflitto frontale tra le grandi multinazionali e gli Stati, che subiscono le interferenze nelle loro decisioni fondamentali – politiche, economiche e militari – da parte di organizzazioni che non dipendono da nessuno Stato e che nel complesso delle loro attività non sono controllate da nessun Parlamento, da nessuna istituzione rappresentativa dell’interesse collettivo. In una parola, è l’intera struttura politica del mondo che viene minata. […] Le grandi corporazioni transnazionali non solo minacciano gli effettivi interessi dei Paesi in via di sviluppo, ma la loro azione travolgente e incontrollata avviene anche nei Paesi industrializzati in cui hanno sede. […] Il nostro non è un problema isolato o unico. È la manifestazione locale di una realtà che ci travolge, che abbraccia il continente latinoamericano e il Terzo Mondo. Con intensità variabile, con peculiarità nazionali, tutti i Paesi periferici sono esposti a qualcosa di simile. Il senso di solidarietà umana che prevale nei Paesi sviluppati deve far sentire la sua ripugnanza perché un gruppo di imprese potrebbe interferire impunemente nelle dinamiche più vitali della vita di una nazione, fino a turbarla totalmente».
L’auspicio-denuncia del presidente Allende rivolto ai governanti dei Paesi del Nord del mondo dall’assise delle Nazioni Unite nel 1972 sembra aver preso forma con il recente rafforzamento dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) – le cinque maggiori economie emergenti al mondo – con l’ingresso nel gruppo originario di altri Paesi, dall’Arabia saudita all’Iran passando per Emirati, Etiopia, Egitto, Argentina. Altri seguiranno. Ora sono il 35% del Pil mondiale e il 46% della popolazione del pianeta. Un Sud globale che si è stancato della supremazia predatoria dell’Occidente democratico e delle istituzioni che ne esercitano le prerogative (il G7, la Banca mondiale, il Fondo monetario). Certo i Brics non sono i “Paesi non allineati” perché non c’è un mondo bipolare, e Johannesburg non è Bandung (1955); i suoi membri non sono tutti sistemi democratici, praticano le disparità sociali, sono nazionalisti e “sviluppisti” , ma aspirano a rispondere ai bisogni del Sud del mondo.
Proprio in quest’ottica, hanno lanciato un insieme di iniziative finalizzate a offrire una piattaforma di cooperazione a molti altri Paesi dell’area in via di sviluppo su un’ampia gamma di temi di grande rilevanza, dal cambiamento climatico alla governance globale, alla gestione del debito dei Paesi più poveri. Tra i progetti, particolare rilevanza assume quello di dare nuova linfa alla Banca di sviluppo dei Brics che è stata di recente ribattezzata Nuova banca di sviluppo (Ndb) col mandato di colmare il divario di finanziamenti che penalizza i progetti di molti Paesi emergenti e in via di sviluppo, soprattutto in tema di transizione climatica.
Su questo punto tornano alla mente, ancora una volta, le parole pronunciate all’Onu dal presidente Allende: «Lo scontro per la difesa delle risorse naturali fa parte della battaglia condotta dai Paesi del Terzo mondo per superare il sottosviluppo. L’aggressione che subiamo fa sembrare illusorio mantenere le promesse fatte in questi anni circa un’azione determinante per superare lo stato di arretratezza e di bisogno delle nazioni dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina. […] Questo è il dramma del sottosviluppo e dei Paesi che non hanno ancora saputo far valere i nostri diritti e difendere, con una vigorosa azione collettiva, il prezzo delle materie prime e dei prodotti di base, nonché affrontare le minacce e le aggressioni dell’imperialismo».
Andrea Mulas, storico Fondazione Basso
Pubblicato lunedì 4 Dicembre 2023
Stampato il 07/10/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/cittadinanza-attiva/da-allende-ai-brics-la-lotta-del-sud-globale-per-lemancipazione-dalloccidente/