Nel percorso che porterà ad aprile alla Conferenza di Organizzazione delle Anpi Sud, e che Patria Indipendente sta accompagnando è la volta di dar voce all’Abruzzo, con Fulvio Angelini, presidente provinciale dell’Anpi L’Aquila e coordinatore per l’Abruzzo. Vi abbiamo proposto, ricordiamo, dopo l’intervento illustrativo del vicepresidente nazionale vicario Anpi, Carlo Ghezzi, le interviste ad Angelo Lauricella, presidente provinciale Anpi Agrigento; a Ciro Raia, presidente provinciale Anpi Napoli, a Michele Petraroia, membro della Commissione di garanzia Anpi nazionale e a Carmela La Padula, presidente provinciale Anpi Matera.
Orgoglio e stupore. Sintetizza così Fulvio Angelini, presidente provinciale dell’Anpi L’Aquila e coordinatore per l’Abruzzo, i suoi sentimenti di puro apprezzamento per la conoscenza e il valore del ruolo che ha avuto il Mezzogiorno «e, per quanto mi riguarda, l’Abruzzo nella lotta di Liberazione nazionale».
L’Abruzzo parte dell’Appennino, cuore della lotta di Liberazione, l’Abruzzo che ha avuto due madri costituenti, Maria Agamben Federici e Filomena Delli Castelli, che è stata anche la prima donna a essere eletta sindaca di una città. L’Abruzzo del Gran Sasso e della Brigata Maiella, dei tanti sentieri partigiani che hanno permesso a ragazzi e ragazze di 80 anni fa di difendere l’onore vero dell’Italia.
Proprio in occasione dell’80° anniversario dell’inizio della lotta di Liberazione c’è stato modo di raccontare e riscoprire i tanti momenti duri, valorosi, fatti di umanità e di storie locali che hanno costellato un periodo del nostro passato eppure, continua Angelini, se anche «ognuno di noi era consapevole degli episodi importanti e significativi che localmente abbiamo sempre celebrato e onorato, avere un quadro ricco, più organico e più compiuto, dell’insieme della storia che si è consumata in Abruzzo è stato veramente sorprendente».
Il presidente provinciale aquilano e coordinatore regionale si prepara a partecipare, come tanti altri dirigenti, iscritti, simpatizzanti della grande famiglia Anpi, alla Conferenza di Organizzazione del Mezzogiorno che si terrà a Paestum in aprile. Un’occasione di confronto, di avvio di nuove pratiche per rilanciare tra i cittadini la presenza dell’Associazione nelle regioni del Sud Italia e per ricordare che anche il Mezzogiorno ha dato un notevole contributo alla Resistenza.
L’Abruzzo ha avuto una storia nobile durante la lotta di Liberazione e ha patito numerose stragi che restano come cicatrici del passato fascista e nazista.
Abbiamo in qualche modo riscoperto e condiviso la consapevolezza che la nostra regione ha vissuto in quegli anni la Storia, con la S maiuscola, ed è stata al centro delle vicende più significative. Noi infatti abbiamo vissuto sia gli aspetti meno nobili di quella storia come la prigionia e poi la finta liberazione di Mussolini sul Gran Sasso e la ignominiosa fuga del Re d’Italia dal porto di Ortona tra l’8 e il 9 settembre, sia gli aspetti più drammatici come le stragi, le rappresaglie. Pensiamo all’eccidio di Pietransieri (frazione del Comune di Roccaraso, ndr).
Lì, al bosco dei Limmari, nel novembre ’43 i tedeschi trucidarono 128 persone inermi, tra cui 60 donne, 34 bambini al di sotto dei dieci anni, e molti anziani, solo per il sospetto che la popolazione civile sostenesse i partigiani. I cadaveri rimasero sepolti nella neve e furono rinvenuti l’estate successiva.
Fu una delle stragi più feroci che si è consumata in Italia e nel Mezzogiorno proprio con l’obiettivo che avevano i nazisti di fare terra bruciata. E si vendicarono su persone inermi che si rifiutavano di collaborare coi nazisti, difendevano il nulla che avevano insieme alla loro dignità e libertà, anche loro – magari inconsapevolmente – erano “resistenti”.
Veniamo all’aspetto forse più conosciuto della lotta partigiana abruzzese, quello della Brigata Maiella.
La vicenda di questa Brigata è stata epica: unica nello scenario forse europeo che allora contribuì a liberare non solo la propria regione ma anche il resto d’Italia. Ma voglio sottolineare l’insieme del movimento resistenziale: sono state censite 86 bande partigiane tra l’Abruzzo e il Molise, quindi migliaia di partigiani e patrioti. E la storia degli IMI, gli internati militari, o la resistenza umanitaria e il ruolo delle donne che ci devono far parlare al plurale di Resistenze. Così, dal punto di vista storiografico, per noi la scoperta e la condivisione di queste vicende abruzzesi è stata sorprendente e utile. Aggiungo che, subito dopo l’armistizio, ci fu la strage dei Nove Martiri aquilani (compiuta da un plotone misto di fascisti e nazisti, ndr); il 25 settembre la Battaglia di Bosco Martese che fu in assoluto il primo scontro in campo aperto tra partigiani e soldati tedeschi e subito dopo la Rivolta di Lanciano con il sacrificio dei Martiri ottobrini dove un gruppo di partigiani affrontò i soldati della Wehrmacht. L’Abruzzo era attraversato dalla linea Gustav perciò noi la lotta di Liberazione l’abbiamo vissuta nel profondo, in tutte le sue espressioni. L’occasione dell’80° anniversario dell’inizio della guerra di Liberazione ci è servita anche per condividere le celebrazioni, ognuno è stato coinvolto anche nella “storia degli altri”, abbiamo sentito molto forte questo elemento di unione.
Cosa si aspetta dalla Conferenza delle Anpi del Mezzogiorno?
Una ulteriore condivisione di questo orgoglio della storia e del contributo che il Sud ha dato alla lotta di Liberazione nazionale, aggiornando una narrazione storiografica che nel tempo ci ha “sottovalutato”. Mi aspetto però anche il fatto che noi riusciamo oltre alla valorizzazione della memoria – e quindi il ricordo e la protezione e la condivisione di questi eventi storici – anche nell’altra missione fondamentale dell’Anpi che è quella di valorizzare la Costituzione. Intendo una attualizzazione dei valori costituzionali – cosa che già peraltro facciamo – ma vorrei che quei principi scritti tanti anni fa possano trovare una aggiornata incarnazione nelle contraddizioni e nei problemi dell’oggi. Da questo punto di vista mi verrebbe da dire che noi la Costituzione non la dobbiamo difendere perché dire che stiamo in difesa della carta costituzionale è come dire che siamo in una trincea, pronti a “limitare i danni”. Mi rendo conto che è giusto dire “noi difendiamo la Costituzione”, ma come Anpi dovremmo anche dire che la vogliamo rilanciare. Non solo perché in tante parti non è attuata ma perché viene messa in discussione. Oggi proprio per le contraddizioni che viviamo – a partire dalla guerra, dalla corsa al riarmo e quant’altro – dobbiamo invece rimettere al centro la Costituzione repubblicana e offrirla alla società come lo strumento per realizzare gli ideali e i valori di tutti.
Ci sono dei temi che le stanno più a cuore per i lavori della Conferenza?
Per la Conferenza del Mezzogiorno vedo due questioni che sono politiche nel senso più nobile del termine. La prima – a proposito della guerra – è la questione del Mediterraneo, perché il Mezzogiorno è la proiezione dell’Italia nel mare nostrum, un mare strategico per gli equilibri del mondo, per i diritti di decine di milioni forse un miliardo di persone che dall’Africa o dall’Oriente naturalmente intercettano l’Occidente europeo. Parlare di Mediterraneo riguarda la pace e la solidarietà, le questioni energetiche, le questioni ambientali, naturalmente la questione della migrazione, del rispetto dei diritti e dello sviluppo dei Paesi africani. Per non parlare della vicenda clamorosa della guerra in Palestina, una terra usata come scenario feroce e simbolico dello scontro tra le grandi potenze del mondo. Insomma noi siamo nel cuore di un’area attraverso la quale l’Italia deve saper giocare un ruolo e quindi dobbiamo immaginare che il nostro Paese sviluppi un sistema di relazioni – e anche l’Anpi a modo suo dia un contributo – perché il Mediterraneo torni ad essere uno spazio di sviluppo, di ospitalità, di pace e di opportunità per tutti.
La seconda questione?
Si tratta di una vicenda un po’ più locale e insieme nazionale, ovvero l’autonomia differenziata. Perché è del tutto evidente che noi siamo il primo bersaglio di una “secessione dei ricchi” come la chiama l’economista Gianfranco Viesti, lo sono le regioni meridionali più fragili che hanno meno opportunità e servizi. Il dramma dell’autonomia differenziata è che non solo va a indebolire strutturalmente le realtà più povere, le va a indebolire sui sistemi sociali più pregiati e fondamentali a partire dalla sanità, dalla formazione, dalla scuola. E come se non bastasse le classi dirigenti meridionali, soprattutto quelle delle regioni governate dal centrodestra in molti casi – lo dico per l’Abruzzo – per puro servilismo di partito e ubbidienza agli ordini del governo invece di fare gli interessi delle proprie Regioni, e quindi esserne “i primi cittadini”, subiscono i diktat nazionali e si accontentano di non so quale briciola o promessa per il futuro. Questo poi è un tema che intercetta il ragionamento sull’unità e indissolubilità del Paese e sulla difesa universale ed egualitaria dei diritti fondamentali dei cittadini sancita dalla Costituzione. Quindi un tema di carattere nazionale ma che nel Mezzogiorno vede le sue maggiori contraddizioni.
C’è qualcosa di operativo che si può fare attraverso l’Anpi, ovvero risposte che si possono dare a partire da questo nuovo anno di lavoro?
Naturalmente non ho la soluzione in tasca, più che altro dal punto di vista dell’azione dell’Anpi penso che la nostra associazione è chiamata a svolgere inevitabilmente un ruolo politico, però escludo il ruolo partitico, sia chiaro. Nel corso di questi decenni molte delle bussole di riferimento di carattere progressista, democratico, antifascista e costituzionale si sono appannate perciò l’Anpi può dare un contributo. Non può svolgere alcun ruolo sostitutivo dell’organizzazione partitica ma deve svolgere una funzione di ancoraggio cioè deve indicare in maniera coerente, ferma e continuativa gli obiettivi da perseguire e quindi sfidare anche la politica dei partiti a cimentarsi con i nostri temi. Dobbiamo escludere qualunque presunzione di autosufficienza come Anpi perché questa è una tentazione che rischieremmo di avere vedendo intorno a noi difficoltà in certi momenti della sinistra, delle organizzazioni storiche. Però non dobbiamo pensare di essere gli unici ad avere la verità, ciò sarebbe sbagliato.
Quindi come dovrebbe operare l’Anpi?
Dobbiamo avere la capacità di tessere rapporti con tutti cioè col maggior numero possibile di gruppi, associazioni, enti, istituzioni anche per quanto riguarda gli stessi macrotemi di cui parlavo prima. Il modo migliore per affrontarli è fare massa critica e creare alleanze, fare sinergia con il mondo democratico, con tutto l’associazionismo possibile classico del mondo progressista. Penso per esempio alle iniziative a Roma in piazza durante le manifestazioni per la pace o dopo l’assalto alla sede della Cgil. Dobbiamo anche intercettare alcuni ambienti moderati o liberali che tuttora sono prigionieri e in qualche modo vincolati al centrodestra imperante. Dovremmo stimolare una riflessione e un impegno su questi temi anche da parte di persone forse lontane da noi ma che non vogliamo regalare alla destra.
Creare sinergie col maggior numero di soggetti…
Se sviluppiamo questa capacità di rapporto con il maggior numero possibile di associazioni, anche cercando strumenti e formule di comunicazione più aggiornate, penso che riusciremmo a ottenere un effetto di credibilità e di ascolto di una parte maggiore dell’opinione pubblica, non solo delle élite. Per esempio, tutti ci interroghiamo su come dialogare con le giovani generazioni, usando i loro stessi codici di linguaggio, per attrarre, incuriosire e coinvolgere. Partiamo da una capacità di coerenza dell’Anpi tesa ad avere sintonia con i grandi movimenti di cui i giovani sono protagonisti. Intanto, per esempio, la difesa dei diritti delle donne, penso alla vicenda dell’omicidio di Giulia Cecchettin, o i diritti dei neri, penso al movimento Black Lives Matter o alla sensibilità verso l’ambiente. Quindi dobbiamo manifestare la nostra sintonia verso questi gruppi e capire inoltre come entrare in contatto per esempio anche con i ragazzi che vanno allo stadio o a un concerto o a uno spettacolo teatrale. Sarebbe auspicabile avere qualche testimonial che parli ai giovani e che sia inattaccabile e coerente coi valori che l’Anpi rappresenta. Poi dovremmo essere ancora più presenti nel mondo del volontariato e collaborare per esempio con chi si occupa della raccolta alimentare, della donazione del sangue. Insomma stare nella società, farsi vedere e stare insieme a quelli che ogni giorno fanno concretamente e materialmente del bene.
Volontariato, solidarietà, assistenza sono le parole chiave.
Stare dalla parte dei più deboli che poi è anche mettere in pratica sempre i valori della Costituzione. Occorre questa cornice generale di impegno strategico nobile e solenne, e al tempo stesso una grande umiltà. Con un po’ di sacrificio e un po’ di fatica dedicarsi agli altri quindi partecipare a iniziative di volontariato ambientale (pulire un parco, una spiaggia eccetera), cose concrete, locali, riconoscibili e possibilmente organizzate insieme a chi già le fa. Perché così il messaggio che passa è che non agiamo strumentalmente ma insieme a chi quella specifica esperienza già la pratica. Ciò conferisce a tutta l’azione una credibilità maggiore come quando si collabora insieme dopo un terremoto, un’alluvione o un’emergenza. Trasformare questo nostro impegno in un servizio.
Nell’ultimo film di Ken Loach, The Old Oak, una sorta di fiaba laica, proprio l’impegno e il servizio – la solidarietà anche tra persone di mondi distanti che vivono crisi diverse – danno luogo ad azioni concrete utili a tutti. In un mondo in cui tutti sono in lotta contro tutti per la mera sopravvivenza, per il lavoro, la salute, in una società sempre più interconnessa ma sempre più persa, distratta, in cui si condividono immagini fintamente felici sui social ma non c’è una reale empatia o condivisione di sentimenti, cosa direbbe a un ragazzo di 20 anni per spiegargli il valore della memoria?
Gli direi che gli uomini e le donne che hanno fatto la Resistenza volevano conquistarsi il diritto all’amore, alla felicità e alla libertà. Per fare questo hanno dovuto combattere contro i nazifascisti, alcuni di loro poi si sono impegnati nella politica e nella costruzione di una società diversa con tutte le implicazioni sociali, economiche e quant’altro. Ma la prima cosa che volevano era essere felici e avere la libertà di amarsi. Se un ragazzo di oggi vuole avere questo stesso gusto, di essere felice, di realizzarsi, di trovare una persona a cui voler bene, con la quale costruirsi un pezzo di vita deve provare a conquistarsela questa libertà. Nessuno gliela regala, né la trova on-line. Deve trovare il modo di raggiungerla con il rispetto, con le armi della solidarietà e dell’affetto.
Antonella De Biasi, giornalista e autrice di vari libri tra cui: “Astana e i 7 mari – Russia, Turchia, Iran: orologio, bussola e sestante dell’Eurasia”, Orizzonti Geopolitici, 2021; e “Zehra – la ragazza che dipingeva la guerra”, Mondadori, 2021
Pubblicato venerdì 16 Febbraio 2024
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