Guido Tavagnacco “Partigiani”,1970, olio su tela, cm 71×117, collezione privata

Più volte ho pensato di allestire una mostra d’arte, principalmente con opere di scultura e di pittura, che avesse per tema la Resistenza. Non sarebbe certamente né la prima né l’ultima mostra che su tale tema viene organizzata: ad esempio, nel marzo-aprile del 2015 a Reggio Emilia, presso il Chiostro di san Domenico, si è tenuta Resistenza e Arte – pittura partigiana, a cura di Salvatore Trapani ed Elisabetta Del Monte. Esposizione peraltro accompagnata da una pubblicazione ricca di approfondite quanto significative riflessioni con l’intento di mantenere dialetticamente viva l’arte e la storia, le sensazioni e i fatti.

Tavagnacco, “Operaia”, Sala consiliare del Comune di Moimacco (UD), olio su tela, cm. 170×340, 1983

Inoltre, sono moltissime le esposizioni che vengono allestite durante tutto l’anno dalle sezioni locali dell’Anpi. Sono commemorazioni storiche, attraverso le quali si ricostruiscono le vicende drammatiche e i terribili episodi accaduti nel territorio tra il 1943 e il 1945. È un modo per mantenere alta l’identità e la dignità dei partigiani che attivamente si impegnarono nella guerra di Liberazione e a cui si affiancano altre immagini di popolo, in particolare delle donne, che hanno avuto un ruolo essenziale nella lotta e dato un contributo spesso determinante ai combattenti.

Tavagnacco,”Partigiani”, disegno e china su carta

Tuttavia, le mostre documentali, come possono essere quelle organizzate dalle sezioni Anpi che operano sui territori, sono mostre che potremmo definire “oggettive”, nel senso che i documenti, come le fotografie (in quanto rappresentazioni della realtà), gli atti pubblici, le missive private, rendono concreti gli avvenimenti accaduti. E non può essere diversamente, poiché la storia ha bisogno di essere documentata, di avere prove inconfutabili per descrivere i fatti, e non di una, pur tragica ed emotiva, testimonianza di un artisticamente elaborato stato d’animo.

Tavagnacco è stato anche autore di quattro copertine di Patria

È pur vero che la conoscenza, come più volte ha suggerito Aristotele, è stimolata dalla meraviglia. Lo stupore, l’impressione, l’incertezza, la paura, il dolore ci fanno scoprire altri aspetti della storia. È l’emozione che ci induce ad approfondire la nostra conoscenza. Già in queste pagine ho avuto modo di descrivere i crudi e drammatici disegni di Mušič realizzati durante la sua prigionia a Dachau, ho anche provato a fornire una lettura critica di Guernica di Picasso, evidenziando come in essa i temi della tragicità della vita e della morte, della sofferenza come della speranza, siano stati d’animo attinti oltre che dall’esperienza diretta, anche da opere di artisti del passato. Emozioni ormai patrimonio della storia dell’arte.

Tavagnacco, “Interpretazione della vita del partigiano Aldo Bernardino, dalla Resistenza alla ricostruzione industriale in Friuli”; olio su tela, cm. 130×230, 1986

Letteratura, musica e arte sono linguaggi che stimolano i sensi e, proprio per questa loro capacità di trasporto e di coinvolgimento, si inseriscono nella grande realtà delle testimonianze. Si rendono quindi indispensabili per definire l’identità morale ed esistenziale di un periodo. Saremmo stati noi in grado di comprendere l’aspetto umano e sentimentale della Resistenza se non ci fossero stati i romanzi di Calvino, Cassola, Fenoglio, Meneghello e di moltissimi altri? O ignorando quell’introspettivo neorealismo pasoliniano? Come ci piace ancora cantare assieme La storia siamo noi o L’attentato a Togliatti di De Gregori (il cui zio è stato ucciso a Porzus, assieme al fratello di Pasolini) o come potremmo trattenerci dal battere le mani a tempo cantando Bella Ciao? Le emozioni non scrivono la storia, quella con la S maiuscola, ma sono un essenziale invito, seppur appassionato e sentimentale, a raccontarla e a leggerla.

Tavagnacco, Ritratto del comandante partigiano Mario Lizzero, nome di battaglia “Andrea”

A questo, dunque, servono le mostre d’arte sulla Resistenza: a studiare le vicende, i luoghi e i personaggi attraverso l’emozione. È l’emozione, procurata da immagini, parole, musica, pianto o dalle voci roche e interrotte dalla commozione, che ci narra la pluralità degli ideali che hanno nutrito la guerra di Liberazione.

Questo è il linguaggio dell’arte. Per questo le mostre sulla Resistenza sono necessarie a creare ulteriori occasioni di dialogo tra memoria e storia, tra fatti ed esperienze personali; a conoscere i valori morali e umani che stanno a monte dell’esistenza dell’Anpi, a individuare e conoscere, fino in fondo, le fondamenta della nostra democrazia, a capire le pagine della Costituzione.

Scrive Salvatore Trapani in Resistenza e Arte: l’immaginario subsidente: “Di ben altra potenza (ergo valenza) è dotata invece la narrazione di chi è stato dentro quelle visioni, ne è uscito e poi le ha raccontate. L’una resta sensibilità empatica, di chi la società la vive dallo stomaco; l’altra si attesta come documento seppur autobiografico, storico di concittadino; di colui che la società fascista l’ha dovuta scardinare a colpi di mortaio”.

Queste parole possono ben introdurci alla lettura di alcune opere significative dell’artista e partigiano Guido Tavagnacco. Attraverso la pittura e il disegno, Tavagnacco ci ha narrato e descritto dei momenti di vita dei partigiani; momenti di unità e di fratellanza, alternandoli ad altri di drammatica narrazione della guerra. Sono esternazioni artistiche di stati d’animo, capaci di stimolare la partecipazione popolare e giustificare l’avversione e repulsione per le terribili stragi nazifasciste. Con questa visione collettiva della Resistenza, Tavagnacco ha disegnato ben quattro copertine di Patria Indipendente.

Tavagnacco, “Autoritratto”, 1946, olio su tela, cm 70×50

Friulano, studente fino al 1942 al liceo artistico di Venezia, è stato allievo di Cesetti e di Saetti, importanti docenti dell’accademia di Belle Arti di Venezia, si rivela attento alle esperienze neocubiste (di cui Guernica era il punto focale) nell’immediato dopoguerra, e con una forte ispirazione neorealista, espressione artistica percorsa dai corregionali Zigaina, Pasolini e De Rocco.

Tavagnacco è conosciuto anche come il pittore del paesaggio friulano e delle sue nature morte. Viaggiando in Europa acquisisce una visione internazionalista dell’arte, ma è solo negli anni Sessanta che il suo lavoro si concentra sulla Resistenza. Evidentemente, come tanti altri partigiani, ha sentito la necessità di metabolizzare le esperienze vissute.

Guido Tavagnacco, monumenti alla Resistenza

In contemporanea a una fiorente produzione ritrattistica e paesaggista, ha progettato diversi monumenti alla Resistenza e dato origine a un’abbondante produzione di opere, nelle tecniche di acquerello, china, graffite e olio, che guardano all’epoca resistenziale partigiana, non dimenticando mai la sua storia personale e il suo stretto legame con la civiltà culturale friulana.

“Cosacchi in fuga”, china su carta, cm 32×23

Il senso della sua visione di quell’eroica stagione è il riscatto di una vita legata a una esistenza di sfruttamento e al desiderio di libertà e di partecipazione alla democrazia, stimolata anche da una romantica interpretazione della Repubblica Partigiana della Carnia (significativi i suoi disegni della ritirata dei cosacchi dalla terra a loro promessa dai gerarchi nazifascisti), della vita collettiva dei combattenti per la libertà rappresentati nei loro momenti di lotta e di riposo.

Un pittore tragico, similmente all’ultimo Goya, ma pure rispettoso della resa dei nazifascisti raffigurati con le mani alzate ma, a fare da scenografia, come monito delle loro colpe, la tragica rappresentazione dei partigiani impiccati. Un modo per distinguere nettamente chi ha dato la vita per la libertà e chi per il regime di Salò, come a parafrasare le parole di Calvino: “Tutti uguali davanti alla morte, non davanti alla storia”.

Tavagnacco, “Alpini”, collezione Associazione nazionale Alpini

Con una pittura, come scrive il poeta Tito Maniacco, che di Tavagnacco era amico, “in cui la sequenza dell’occhio fotografico che guida una mano veloce su una serie di foglietti di carta, coglie nell’essenza del movimento carri, cosacchi, cavalli, partigiani”. Molte delle sue opere sono conservate nello spazio a lui dedicato dal Comune di Moimacco (UD), altre a sfondo sociale sono custodite presso la sede dall’Ana (Associazione nazionale alpini) dello stesso comune; in qualsiasi caso tutte rappresentano la testimonianza di un impegno sociale e storico e che segna un’epopea popolare.

La stessa che Tavagnacco ha interpretato facendosi poeta degli ideali che hanno accompagnato i giovani a ribellarsi all’invasore nazifascista, e portatore di una coscienza civile (come evidenziano le copertine di Patria dell’aprile 1984 e del gennaio ’89) in cui la colomba picassiana accompagna le nuove generazioni verso un futuro di pace.

Diego A. Collovini, docente di Storia dell’arte all’Accademia di Belle Arti di Udine