È un romanzo di guerra, ma anche di pace “Il prigioniero americano” del pluripremiato scrittore e giornalista perugino Giovanni Dozzini (Fandango). Un libro che narra di storie sulla Resistenza ispirate a donne e uomini realmente vissuti, di cui portano gli stessi nomi, e di come ritrovarsi combattenti per la libertà spesso sia un caso, mentre decidere di combattere è invece quasi sempre una scelta. “Della Brigata partigiana – ha detto l’autore – sentii parlare la prima volta nel luglio 2020 in una iniziativa dell’Anpi sull’isola Maggiore del Lago Trasimeno. Da qui è partita la lunga ricerca”.

È il 1944 e in Umbria “su quei monti bassi piantati nel mezzo della spina dorsale d’Italia”, nella lotta partigiana si intrecciano le vite di Walter Orebaugh, console statunitense, e di Maria Keller, ballerina ungherese. Lui, arrestato a Montecarlo sul finire del 1942, viene confinato a Perugia da dove fuggirà, nel gennaio 1944, e, come lei, si unirà alla Brigata San Faustino.

Maria, dopo aver ammaliato il pubblico del Mediterraneo a passi di tip tap, viene imprigionata nella città umbra “muta e gelida, dove l’aria puzza di sangue e cuoio e olio industriale”, dovendo scontare venticinque anni di condanna con l’accusa di spionaggio al soldo della Repubblica Francese, per poi fuggire dopo quattro anni. Del come Maria Keller riuscirà a fuggire e di cosa vorrà realmente dai partigiani, saranno i quesiti che terranno sospesi i combattenti, Walter Orebaugh e i lettori nelle 350 pagine di narrazione di tensione, anche erotica, tra i due personaggi principali. “Lei ha il veleno dentro di sé, parla ai serpenti e loro la guidano” scrive l’autore, citando il brano Sparro del gruppo musicale statunitense Big Tief.

Partigiani della Brigata San Faustino

Fa da agglutinante, si diceva, la Brigata che nei periodi di maggiore attività, impegnò circa 350 partigiani – tra ufficiali e proletari – e che riuscì a costituire una Zona libera autonoma, incentrata a Pietralunga, che “si trovava al centro dell’area in cui si erano installate, a pochi chilometri l’una dall’altra, le diverse bande partigiane”: quelle di Città di Castello, di Gubbio, di Pietralunga e infine “i contadini e gli ufficiali che si erano radunati nei presidi di San Faustino”, scrive l’autore.

Pietralunga, Medaglia di Bronzo VM

Nel maggio 1944, l’area controllata dalla Brigata viene sottoposta a un pesante rastrellamento, nel corso del quale vengono fucilati sette ragazzi nella piazza centrale di Pietralunga. “Senza mai deflettere dal patriottico atteggiamento” dirà la Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita al Comune di Pietralunga, alla fine del mese di luglio, quando il territorio tornerà sotto il controllo della Brigata fino al passaggio del fronte, aiutando le forze Alleate nell’avanzata.

Pietralunga, Piazza 7 maggio è intitolata alla vittime del grande rastrellamento del 1944

Dozzini offre uno sguardo intimo e penetrante non solo dei rapporti umani, delle difficoltà logistiche nella ricerca di cibo e armi, ma anche di quella profonda e atavica accettazione della vita dei contadini che prima supportarono e agevolarono la Resistenza, individuando nei partigiani un punto di riferimento contro un regime screditato e minaccioso, e unendosi poi alle file dei gruppi partigiani come una delle conseguenze dei brutali rastrellamenti dei nazisti nelle campagne alla ricerca di renitenti alla leva.

Giovanni Dozzini, autore del romanzo

“Fernando non sorrideva. Aveva un’aria seria e dimessa di cui Orebaugh avrebbe scoperto presto, era incapace di liberarsi anche nei momenti di esaltazione o di comune ilarità. Il suo animo contadino non gli consentiva di lasciarsi andare, in nessuna occasione, perché l’implacabile scure del tempo sarebbe stata in grado di cadergli tra capo e collo, lo dimostrava la storia del mondo e del mondo che lui aveva sempre abitato, da un momento all’altro. Fernando preferiva non coltivare aspettative, o perlomeno non darlo mai a vedere: prendeva ciò che veniva, senza giudicarlo buono o cattivo, per il semplice fatto di non pretendere che la vita potesse andare meglio di come il destino decideva che andasse. Il presente, la semina, i frutti”.

Entrambi fuggitivi, il console Orebaugh e la ballerina, sono le due parti della stessa medaglia: lui pragmatico, in perenne ricerca delle condizioni per poter onorare l’incarico a cui si presta – mettere la Brigata San Faustino in collegamento con il comando Alleato, oltre la linea del fronte –, vincente, come racconterà nel 1994 nella autobiografia The Consul, che, passando dai cocktails degli eleganti ritrovi dell’alta società europea al vino rosso bevuto di fretta dal fiasco nei boschi umbri, incarna l’emblema di un Paese che vincerà la Seconda guerra mondiale, mentre lei, malinconica, cartomante e alla perenne ricerca di segni diventa il simbolo dell’Europa ormai decadente che ne esce sconfitta. In un viaggio appassionato e appassionante nella Resistenza intimista attraverso delle pagine bellissime, scritte e vissute della nostra Storia.

Mariangela Di Marco, giornalista