La guerra non è una cosa che passa, resta nei corpi. La ribelle di Gaza di Asmaa Alghoul e Sélim Nassib, appena pubblicato dalle edizioni E/O, non lascia fraintendimenti. Si tratta di un racconto potente in presa diretta, sincero come un diario, divertente e ironico come la vita, terribile e onesto su Gaza e su chi si trova a nascere, vivere e morire in quei territori da dannati della terra. Il pubblico italiano ricorderà il meraviglioso romanzo di Sélim Nassib Ti ho amata per la tua voce, di recente ripubblicato sempre da E/O, dedicato alla cantante egiziana Umm Kalthum. Lo scrittore e giornalista franco-libanese Sélim Nassib per questo lavoro si mette a disposizione della giovane e grintosa giornalista Asmaa Alghoul che letteralmente lo travolge al primo incontro in un caffè del Cairo.

La scrittrice palestinese Asmaa Alghoul durante una conferenza a Belgrado nel 2011

«Era la fine del 2011, il cuore della primavera araba batteva ancora. Asmaa Alghoul, scrittrice palestinese di Gaza, era in via provvisoria al Cairo per farsi dimenticare un po’ — scrive Nassib nella prefazione — anni prima si era opposta pubblicamente allo zio, dirigente militare di Hamas, dandogli praticamente dell’assassino in una lettera aperta postata in rete». Da questo incontro nasce l’idea del libro, i due si vedranno in Francia, quando Asmaa Alghoul tra un assedio e l’altro può uscire da Gaza e raggiungerlo. Lei racconta in arabo, infervorata, gioiosa, arrabbiata, orgogliosa, lui scrive in francese e poi traduce per lei volta per volta.

Il valico frontiera di Rafah

Alghoul è nata nel campo profughi di Rafah, nel sud della striscia di Gaza, e attraverso la sua cocciutaggine, il suo rigore giornalistico, la sua passione è riuscita a testimoniare con limpidezza cosa vuol dire essere una giovane donna che vive quotidianamente la guerra di Israele, “il nostro vicino pazzo”, e il cambiamento nella società palestinese in senso oscurantista con l’ascesa di Hamas e le lotte interne con al-Fatah, l’islamizzazione forzata, i delitti d’onore, le segregazioni sessiste. Alghoul ha il sostegno di un padre musulmano, liberale amante della letteratura e le continue pressioni di uno zio, importante dirigente dei servizi di sicurezza di Hamas. Asmaa Alghoul si oppone con coraggio alle minacce, ai soprusi, alle imposizioni in quanto donna e scrive, questa è la sua arma. Più le arrivano minacce, più la perseguitano, più la malmenano, la arrestano, più scrive. E la sua voce si leva potente e fiera.

Cosa vuol dire essere ribelle? Essere una donna che alza la testa? Essere patriota e di mentalità aperta? Forse avere compassione per altri esseri umani vincolati spietatamente al suo stesso assurdo kafkiano destino e dar loro voce? Asmaa la ragazza, Asmaa la testarda, Asma la gazawi, Asmaa la ribelle, Asmaa la scrittrice. Emergono tante sfaccettature del percorso personale di Asmaa dalla lettura di questo libro. Asmaa Alghoul ci mostra i suoi sentimenti senza vergognarsene, si piange, si ride per come è strana la sua vita nella atroce normalità della Palestina. Non è un libro comodo, non offre soluzioni all’innominabile catastrofe, è però un dovere leggerlo.

(Imagoeconomica, Alessia Mastropietro)

Alghoul non può essere considerata solo per la sua opposizione ad Hamas, ha parole durissime per la corruzione senza limiti di al-Fatah e per la disumanità criminale di Israele, critica fortemente anche le istituzioni internazionali, le organizzazioni per i diritti umani, i movimenti femministi, l’Europa, gli Stati Uniti, tutti più o meno complici di un sistema corrotto che tende a lasciare le cose così come sono.

Sélim Nassib

Un giorno Alghoul incontra dopo molti anni uno di quei cugini che la detestavano particolarmente e che faceva parte delle brigate al-Qassam: «Asmaa ho scoperto cose importanti — le dice — ho scoperto te, il tuo blog, perché agivi così, tutto un mondo nuovo». Così Alghoul riflette su quella piccola storia, una specie di redenzione culturale. «Ho capito quante cose importantissime come i libri, il cinema e la musica siano estranee ai figli di Gaza – scrive Alghoul – Eppure sono le cose che trasformano la gente, le cose che hanno trasformato me! Come possiamo giudicare quelli che non hanno mai potuto usufruirne?». E continua: «Non c’è un solo cinema pubblico in tutta la Striscia! In generale i giovani hanno la scelta tra drogarsi di Tramadol o unirsi alle brigate al-Qassam, diventare soldati. Possono avere un’altra scelta solo per caso. Ho capito che ci corre un niente tra il destino di essere professore, scrittore o poeta e quello di fare il combattente o ammazzare la sorella credendo di difendere l’onore della famiglia».

Quello che è terribile e agghiacciante è che La ribelle di Gaza, diario scritto a quattro mani, si conclude con la guerra tra Israele e Hamas del 2014, esattamente dieci anni fa, con nel mezzo altre operazioni militari, altre guerre, altre morti, altre catastrofi, altro “tutto quello che sappiamo” e in maniera macabra e puntuale la stessa sfacciata sorda propaganda da parte di tutte le parti coinvolte.

 

(Imagoeconomica, Alessia Mastropietro)

Ogni volta che finisce una guerra già si parla della prossima. Ricorda Nassib nel libro: «Perché un’altra guerra? Per “tagliare il prato” risponde Breaking the Silence, un’associazione di militari israeliani ostili all’occupazione che riprende il nome dato dagli ufficiali superiori alla strategia consistente nel tornare regolarmente a falciare l’erbaccia che cresce nel cortile dietro casa. In questi ultimi mesi siamo testimoni della catastrofe che coinvolge la Striscia di Gaza e tutto il Medio Oriente. L’opera di Alghoul e Nassib sembra scritta un attimo prima dell’ultima breaking news.

Antonella De Biasi, giornalista e autrice di vari libri tra cui: “Astana e i 7 mari – Russia, Turchia, Iran: orologio, bussola e sestante dell’Eurasia”, Orizzonti Geopolitici, 2021; e “Zehra – la ragazza che dipingeva la guerra”, Mondadori, 2021