“Jung ast” (“È la guerra”) – ci dice Gino Strada – è l’espressione con cui gli afghani definiscono rassegnati lutti, distruzioni e immani sofferenze inflitti loro dalla guerra. Proprio ora che i venti bellici ci circondano con ondate di morte e sembrano appesantire le nostre speranze future, ci è capitato fra le mani il libro di riflessioni sulla guerra, sulla sua assoluta inutilità a risolvere i conflitti e le controversie fra Paesi e popoli, scritto dal fondatore di Emergency scomparso poco più di un anno fa.
Leggiamo questo messaggio di vita toccante, narrato con semplicità, curato da Simonetta Gola ed edito da Feltrinelli.
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È la voce di un medico ippocratico di famiglia operaia di Sesto San Giovanni, attratto fin da giovanissimo dall’azione salutare della chirurgia e poi dalla cura degli altri, dei dimenticati del mondo. Il suo impegno negli studi universitari lo segnala al prof Staudacher, chirurgo di spicco, che gli apre un percorso di studio e lavoro in America facendolo cimentare con i primi trapianti di cuore.
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Viene poi l’esperienza con gli ospedali dei Paesi poveri dell’Africa, del Pakistan, dell’Afghanistan e con gli emarginati di casa nostra.
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Un viaggio a contatto con la sofferenza che lo porta nel cuore delle guerre. L’impatto coi feriti a Quetta, nel Pakistan, gli svela l’orrore dei mutilati bambini, che sono in maggioranza, dilaniati dalle mine antiuomo. Quegli ordigni a farfalla che sembrano giocattoli e che nessun adulto raccoglierà, attrarranno invece i piccoli, ignari, e devasteranno i loro corpi. Proiettili prodotti dall’Urss, dagli Usa e anche dall’Italia.
Gino è sgomento, di fronte a esplosivi costruiti proprio per colpire i bambini. E, intervistato da Maurizio Costanzo, si dà da fare per eliminarli, divulgando la notizia in tv e suscitando un’ondata generale di proteste che approderanno alla loro messa al bando con la legge 374 del 29 ottobre 1997.
È sempre una idealità ippocratica a guidare Gino nelle cure dei feriti nei Paesi in guerra, nella fondazione di Emergency nel 1994 o nelle iniziative per la salute pubblica in un’Italia messa in crisi dagli interessi privati. Che si tratti dei malati dimenticati dell’Africa o dei feriti in conflitti armati, di amici o nemici, il paziente è un uomo.
Solo questo interessa al medico che è lì per curarlo, per salvarlo.
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Il concetto di eguaglianza umanitaria che permea la sua attività lo porta in Uganda, nella costruzione di un nuovo ospedale affidato alla creatività dell’architetto Renzo Piano. La cura dell’estetica e degli arredi in un bel luogo in mezzo alla natura sottolineerà l’importanza di una iniziativa aperta a tutti e gratuita. Non sarà quindi il solito privilegio per ricchi, ma il simbolo di un nuova visione curativa.
I ricordi raccolti e sistemati da Simonetta Gola, dopo la scomparsa di Gino, come spiega nella postfazione, è in realtà storia che scorre, capitolo per capitolo, che ci apre finestre sui travagli contemporanei, dal ricordo di Hiroshima alla mobilitazione contro Ebola, dall’Afghanistan invaso e devastato dagli Usa e poi regalato ai talebani nel 2021 con il rapido ritiro delle truppe.
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Vi è poi la crisi del nostro sistema italiano di salute pubblica, un tempo esemplare, ma via via intaccato dal virus di una disuguaglianza crescente, dovuta ai pirati della salute privata e alla loro avidità di profitto.
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In Strada convivono il chirurgo e l’uomo che aveva toccato fino in fondo il dolore e la ferocia dei conflitti e delle armi, che non poteva non interessarsi attivamente alla pace e aderire a tutte le iniziative possibili sulla traccia delle parole di Einstein del 1932 a Ginevra “la guerra non si può umanizzare, si può solo abolire”. Ritiene che un modo diverso di vivere su questo pianeta è possibile.
E come? A oltre 70 anni dalla Dichiarazione universale dei diritti umani, ispirata dagli eventi catastrofici delle guerre del 900 e sancita in modo solenne nel 1948 ma mai realizzata di fatto nei suoi dettati e contenuti, si impongono ormai delle scelte per sopravvivere. Come si sono debellate gravi malattie si può debellare questo cancro con le sue metastasi. L’accostamento della guerra a un morbo è come quello che fa Papa Bergoglio definendo la guerra una follia.
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Ma come invertire la rotta? Dobbiamo decidere, da quest’ultima spiaggia, che priorità ci diamo come società. La guerra, cioè la sofferenza di centinaia di milioni di esseri umani? O la pace? La salute e il lavoro per tutti? O i profitti di pochi, fonte di guerre e di dissidi?
Sono scelte che forse i governi, impelagati nei loro interessi incrociati, non faranno mai, ma i cittadini sì, possono imporre la loro volontà. Il libro suona quindi anche come appello, come invito alla responsabilità. Ai giovani, alle donne, al popoli. Alle persone, una per una, a cui spetta la riflessione e l’iniziativa. La difesa della vita contro la morte. Interessa tutti noi.
Serena d’Arbela, giornalista, scrittrice e poetessa
Pubblicato sabato 24 Settembre 2022
Stampato il 27/07/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/terza-pagina/librarsi/solo-una-piccola-grande-scelta-di-umanita/