Enzo del Re è stato un testimone millenario, simultaneamente modernissimo e antichissimo come solo può essere un uomo-artista che incarna la più antica e struggente dotazione espressiva del genere umano: l’arte di narrare e di narrarsi […]. Lui, la sua sedia e il suo narrare attraversavano secoli, millenni. Moni Ovadia
Enzo del Re, con la sua orchestra di suoni ricavati da una sedia, da una valigia da emigrante, o da uno scatolone. Percossi con il palmo della mano, con le nocche, con il pugno, con le dita. Con il suo canto blues straniato in dialetto molese e il suo schiocco di lingua contro il palato. Con le mani a battere il viso, la pancia, a dare ritmo, perfetto corpofonista. Con le sue invettive, le canzoni di versi nuovi, sillabati, e di proteste antiche. Con la voce epica a raccontare le traversie dei migranti, dei lavoratori sfruttati nelle fabbriche, Enzo del Re ci rammenta le tante battaglie contro gli abusi e le ingiustizie, combattute per i diritti degli ultimi. Lui, ultimo degli ultimi, povero santo laico dei giorni nostri.
“Enzo vive per questo – dice Giovanna Marini nella prefazione a “Lavorare con lentezza”, l’accurata biografia scritta da Timisoara Pinto: rovesciare i poteri perché usati da persone prive di scrupoli quindi ingiuste, che provocano solo danni all’umanità, e instaurare un governo del popolo che sappia dare il pane a chi non ne ha e amministrare la giustizia con giustizia” [Pinto, T. p. 9].
Fare la Rivoluzione. Con canzoni e musiche che sono azioni politiche, per il fatto di influire sulle menti di chi le ascolta: educano, allargano gli orizzonti, mostrano verità. Con uno stile di vita che rifiuta ogni omologazione e concessione al compromesso per affermare il diritto alla dignità. Alla lentezza come forma di protesta verso le regole imposte dal lavoro alienante della catena di montaggio, per affermare il diritto a stare “fuori dal motore”.
Enzo del Re, cantante di lotta, nasce a Mola di Bari il 24 gennaio 1944 nel quartiere Sant’Antonio, da Vitantonio del Re e Antonietta Zecondi.
Il cognome rivela la sua attinenza e vocazione alla musica. Il capostipite della famiglia del Re, infatti, cantava nel coro del paese: “cantava in re e quindi era quello del re”, spiega Enzo per giustificare l’origine della sua stirpe: di cantori, e non certo di monarchici [Pinto, T. p. 31].
E poi c’è papà Vitantonio che è un poeta popolare e compone versi in dialetto per gli spettacoli del carnevale, per le cerimonie del paese, i riti sacri e profani da sempre accompagnati dal canto. Versi satirici, allegorici, intrisi dei sentimenti della vita quotidiana.
La musica è di casa, dunque, ed Enzo cresce famigliarizzando con la lingua, i racconti, i suoni della sua terra. A Mola dedicherà un intero concept-album, “Maul”.
Tra i brani più significativi Le pietre, racconto di un episodio di rivolta contadina. Le pietre usate per alzare i muretti a secco serviranno per essere lanciati e per fare la rivoluzione.
Al primo album seguirà la grande opera folk “La leggenda della nascita di Mola. Ovvero, storia del toponimo di Mola” in cui si ricostruisce l’origine del nome della città, con la sua storia antica.
Nel 1952 Enzo compone la sua prima canzone ’O primmo ammore, in dialetto napoletano. È ancora un bambino ma già la musica è la sua strada. Papà Vitantonio lo solleva dritto in piedi su una sedia, così il suo canto si fa incanto per tutti quelli che stanno ad ascoltarlo. Più tardi, saranno i paesani ad accorrere nelle piazze di Mola per assistere ai suoi concerti di canti napoletani, pugliesi, molesi intonati con un gruppo di amici musicisti. Si danno appuntamento in Piazza XX Settembre: i musicisti con gli strumenti, i compaesani con la sedia.
“Il nostro ritrovo era la sede del Pci – racconta il chitarrista, operaio all’Italsider Vito Boccuzzi -. Avevamo una predilezione per i canti popolari, si partiva dalla ricerca, si ascoltavano molti brani, poi Enzo li rielaborava a modo suo. Il più delle volte non c’era la musica, Enzo pensava alla melodia e la arrangiava, con la faccia, con la bocca […]: un’armonia fisica” [Pinto, T. p. 34].
L’azienda ortofrutticola di famiglia diventa un impegno fisso per il giovane Enzo che attraverso il lavoro fa esperienza delle ritualità stagionali nelle campagne: della raccolta, della rivendita, del confezionamento dell’uva. A quest’ultima fase dell’imballaggio sono dedite le donne che svolgono le varie mansioni al ritmo dei canti. Le canzoni sembrano nascere direttamente dal lavoro. Enzo ascolta e forma il suo orecchio, abituandolo a quelle melodie, ai tempi e ai racconti delle donne. Poi, un giorno, la svolta: una di queste intona un canto mai sentito, non una canzone di Sanremo, non una canzonetta d’amore, ma un canto di lotta che ha imparato dal figlio, da poco tornato da una città del Nord.
Una canzone politica contro la “legge truffa” confezionata da una coalizione di centro guidata dalla Dc, che vedrà trasformarsi il premio di maggioranza tanto atteso in una sconfitta.
Le canzoni potevano farsi strumento di emancipazione e rivalsa. Enzo non dimenticherà questa lezione.
Gli studi superiori non offrono grandi soddisfazioni a un giovane iscritto a un istituto di ragioneria, su volere di papà Vitantonio, che invece intende dedicarsi alla musica. Finalmente il padre si convince ad acquistare un pianoforte per permettere al figlio di concretizzare il suo progetto. Fuori da Mola le sue esibizioni riscontrano interesse alle Feste dell’Unità. Con il suo repertorio dialettale, anticipatore dell’imminente folk revival, Enzo veste i panni dell’etnomusicologo: raccoglie detti, proverbi, canti interrogando i contadini, i vecchi, testimoni di riti e usanze a rischio sparizione.
Il materiale raccolto lo convince a percorrere la strada del canto, diventerà un cantastorie. Il debutto ufficiale avviene nel 1965 al Teatro della Gironda di Bari. Lo invita a esibirsi il cantautore bolognese Rudi Assuntino. Di qui la decisione di abbandonare il paese e cercare fortuna a Firenze, città di artisti che arrivano dal Sud.
Nel capoluogo toscano Enzo comincia una vita in periferia, con la vendita di frutta ai mercati, di giorno, e di esibizioni nelle Case del Popolo, la sera. Firenze brulica di iniziative, di giovani artisti alla ribalta, di club, di eventi che contaminano l’arte pittorica, con l’istallazione, la poesia, la musica.
Tra gli artisti più innovativi c’è Antonio Infantino, arrivato a Firenze da Tricarico per laurearsi in Architettura. Resta colpito dal giovane Enzo che gli si presenta come “cantaprotestautore”. In quel periodo sta registrando il suo primo disco “Ho la criniera da leone, perciò attenzione” e così lo coinvolge alle percussioni.
Di lì a poco si forma un trio di cui fanno parte Antonio, Enzo e il provos olandese Christoph Hahn, più noto come Chris l’olandese. Si esibiscono nei circoli anarchici di Massa e Carrara, nel 1967. Tra botte e manganellate, una sera a soccorrerlo è una giovane appassionata di canti popolari, Dodi Moscati, che per qualche tempo lo ospita nella sua abitazione. Non solo scontri con la polizia ma anche arresti e la reclusione in carcere. Esperienze che trovano una narrazione negli spettacoli che Enzo e Antonio portano in giro nei locali fiorentini, ma anche romani, il Folkstudio, e milanesi, come il famoso Derby.
Durante le proteste del ’68 che coinvolgono lavoratori e studenti nella battaglia per i diritti sul lavoro e nelle università, “Enzo – racconta l’artista Claudio Popovich – portava avanti ragioni confuse, ma non per questo meno urgenti e autentiche. Non produceva linguaggio discorsivo e ragionativo, ma rumori e suoni direttamente provenienti da qualche parte del corpo di cui si era persa l’abitudine all’uso. Enzo metteva in allarme, segnalava qualcosa di atrofizzato che stava in tutti noi” [Pinto, T. p. 69].
Del resto Enzo, è sempre fuori dal centro delle cose.
Fino a quando viene attivamente coinvolto nello spettacolo di Dario Fo “Ci ragione e canto n. 2”, insieme ad Antonio Infantino. È un’esperienza fondamentale, fertile di stimoli, di incontri con artisti dalle simili intenzioni: dare voce alle istanze della povera gente. Ci sono i tanti interpreti che hanno militato nel Nuovo Canzoniere Italiano e che hanno partecipato alla prima edizione del 1966: Giovanna Marini, Caterina Bueno, Franco Coggiola, Paolo Ciarchi, Giovanna Daffini, Rosa Balistreri, il Gruppo Padano di Piadena, Ivan Della Mea.
Lo spettacolo va in scena nel 1969 alla Camera del lavoro di Milano con la direzione musicale di Giovanna Marini. Imperniato sul racconto delle manifestazioni popolari, presenta i canti di lavoro, delle quotidiane vicende che animano le comunità contadine, dei pescatori, dei cavatori di marmo: gli amori, gli affetti, le speranze, la guerra, le tragedie, i pianti, la gioia di una nascita, la vita della gente del Sud. Ma anche le vicende della classe operaia, i nuovi scenari della metropoli industrializzata, la cronaca del presente. La presenza di Del Re e Infantino, infatti, rappresenta la novità della seconda edizione. Le loro canzoni originali sono il richiamo all’attualità, al racconto dei gravi fatti accaduti poco prima. Come l’eccidio di Avola, evocato dall’omonima canzone scritta con Infantino.
Ma prima ancora i due sono in scena con la canzone Vieni fuori compagno, scritta a quattro mani su un testo tratto dall’opera di Bertold Brecht, “La linea di condotta”. Altri interventi del duo sono: la musica di Eppure da un poco di tempo i padroni hanno paura e il pezzo già scritto ma riadattato per lo spettacolo, Signor padrone non si arrabbi, con la melodia del canto popolare Quando saremo a Reggio Emilia e il testo di Dario Fo.
Il Canto del navigante, cavallo di battaglia di Enzo, eseguito insieme a Infantino, acquista ancora più forza espressiva: “Franca Rame ci pregò di smettere – racconta Infantino –, dicendo: non vedete che ho la pelle d’oca, per favore basta” [Pinto, T. p. 98].
L’esperienza di “Ci ragiono e canto n. 2” lascia in Enzo un segno profondo: la consapevolezza di poter intervenire con la propria musica nell’azione politica. Ma è con il teatro epico di Nuova Scena che Enzo entra davvero da protagonista nella creazione di spettacoli, attraverso cui affermare la sua rivoluzione sociale. Le esperienze teatrali che si sviluppano tra il 1969 e il 1972 trovano appoggio nel Movimento operaio italiano, in alcuni partiti, tra cui il Pci, in associazioni come Cgil e Arci impegnati a sostenere gli interessi dei lavoratori.
Nel gruppo di Nuova Scena, Enzo partecipa a diverse rappresentazioni. Tra queste “Un sogno di sinistra” (1969), di Vittorio Franceschi, che ha per tema il ruolo dell’intellettuale di sinistra. Costui, come sosteneva Gramsci, deve sapersi connettere con le istanze del popolo, coglierne le espressioni culturali, e smettere di credersi detentore di un unico sapere da calare dall’alto. La visone dell’intellettuale e quella del popolo devono confluire in un medesimo orizzonte, per dare vita a una nuova forza sociale.
“MTM: come rendere musicale e quasi dilettevole ciò che a prima vista sembra sofferenza e fatica” (1969), elaborato su materiale raccolto da Luigi Ferraro e Lidio D’Angelo, appare una parodia del sistema tayloristico “Methods Time Measurement”. Finalizzato a misurate i movimenti, ripetitivi e perfettamente scansionati degli operai, e i tempi del lavoro in fabbrica, perché seguissero un ritmo sempre costante, il sistema garantiva una calcolata produzione di merci.
È qui che Enzo scrive il suo brano più rivoluzionario: una contestazione a suon di musica nei confronti del sistema di lavoro imposto dalla nuova società dei consumi.
Lavorare con lentezza è una “cronocanzone” che va provocatoriamente a un ritmo tutto suo, che suona un tempo blues, lento, pacato, umano. Il musicista-operaio Enzo chiarisce il suo pensiero in un liberatorio finale “vaffanculo alla fatica e a chi la vuole”. Ai padroni che impongono ritmi di lavoro meccanizzati, disumanizzanti, alienanti. All’unico scopo di incentivare il profitto. La canzone, inserita nell’Lp “Il banditore” (1974) diventerà nel 1976 il leitmotiv della radio indipendente bolognese Radio Alice contribuendo a rilanciare nel tempo la figura di Enzo.
Nello stesso album è presente anche Tengo na voglia e fa niente, che ripropone la medesima protesta verso un sistema classista, basato sull’imposizione di lavori usuranti e faticosi per la povera gente: “I lavori massacranti esistono perché i pesi e i compiti non sono equamente suddivisi – recita Enzo -. Adoro il lavoro ma detesto la fatica. La fatica, che cos’è? La fatica è quel dolore fisico che si oppone alla continuazione del lavoro”, dirà al Concertone del Primo Maggio, nel 2010 .
“MTM” è un lavoro davvero interessante e originale che nasce dalla ricerca sul campo nelle fabbriche. Prende in esame e rielabora in forma di rappresentazione scenica i documenti dei padroni delle aziende, dalle testimonianze degli operai e delle operaie. Margherita Galante Garrone “Margot”, voce femminile di Cantacronache si fa portatrice delle proteste delle donne nei posti di lavoro in cui maggiore era lo sfruttamento.
“Diario di classe (La scuola dell’obbligo)”, direzione musicale di Margot, in scena nel 1970 al Palazzo dello Sport di Milano, è il terzo impegno di Enzo, ormai nella veste di cantastorie. Apre e chiude lo spettacolo con una lunga invettiva sulle condizioni di una scuola che, invece di elevare le classi sociali più degradate, le sottomette alle oppressioni dei potenti. Lo spettacolo è anch’esso il risultato di una lunga opera di ricerca sul campo, di documentazione della realtà della scuola italiana, con interviste agli insegnanti, analisi dei libri di testo, incontri con studiosi. Così, dall’ esame della situazione dell’istituzione scolastica emergevano diverse criticità: “struttura classista e repressiva […], funzione dell’insegnamento religioso, indottrinamento collettivo mediante l’insegnamento di valori tipicamente borghesi contrabbandati per valori naturali, eterni, assoluti – primo fra tutti la divisione in gerarchie sociali e il concetto di autorità, sacro e inviolabile –, libri di testo reazionari, fatti su misura per preparare il bambino ad adattarsi fin dal banco di scuola in una società basata sullo sfruttamento dell’uomo” [Pinto, T. p. 129]. A completare il quadro si aggiungevano un diffuso analfabetismo e un rigido autoritarismo, figlio di una cultura reazionaria.
“Qui tutto bene…E così spero di te” (1971), dagli incipit delle tante lettere spedite dagli emigrati italiani alle loro famiglie, mette in scena le vicende dei tanti disperati fuggiti dall’Italia alla ricerca di un lavoro. Povera gente abbandonata alla miseria e all’ignoranza costretta a emigrare al nord del Paese o all’estero. Emigrazione problema atavico di un Meridione sempre più desolato: Ventisei milioni di lotta di classe buttata al vento/ marcita nei ghetti d’America/ Alienata nelle industrie d’Europa/Ventisei milioni nel limbo/dell’impotenza e dell’ignoranza.
Il testo, sempre di Vittorio Franceschi, sembra scritto per Enzo, unico meridionale della compagnia. Protagonista, emigrante del sud, banditore-cantastorie, voce solista, immagine di copertina.
Povera gente è canzone di denuncia, scritta, cantata e gridata con tutta la rabbia possibile: Povera gente…/Vengono dal paese mio/due giorni e una notte/in treno. /Sempre in treno/le valigie di cartone/i figli, la moglie/ e ’sta creatura appena nata/ che vomita tutto quello che ha mangiato/ e qualche volta/ arriva già morta…
Enzo è completamente dentro questo racconto, nei suoni ricavati battendo la valigia e poi la sedia, nella voce che è un viaggio catartico, di sofferenza e di verità.
In Si ’na goccia, in italiano e in dialetto, Enzo canta le parole degli ultimi. Gocce sono gli uomini che viaggiano in un mare di speranza verso l’America e l’Europa alla ricerca di un futuro migliore.
Nuove canzoni verranno inserite tra una replica e l’altra, come Zinna Nà in cui Enzo sembra abbandonare la commiserazione e incitare invece alla lotta per i propri diritti: La lotta rigenera il mondo/la lotta rigenera l’uomo.
“La dimensione del nero” (1972) è l’ultimo spettacolo che vede la collaborazione di Enzo con Nuova Scena. Direzione musicale di Margot, si porta in scena il tema del risveglio del fascismo mascherato da ipocrisia e di valori piccolo-borghesi retrogradi. E di violenza. Come quella all’origine della strategia della tensione che ha per obiettivo di ostacolare la marcia in avanti della classe operaia.
Dopo Nuova Scena, Enzo partecipa ad alcuni eventi organizzati dai circoli culturali “Ottobre”, coordinati da Lotta Continua, con interventi militanti a fianco dei lavoratori, dei preti operai nei quartieri fatiscenti delle città, attraverso una nuova forma di teatro di informazione e di denuncia. Nasce il Teatro Operaio che organizza spettacoli come “Processo alla Dc”, ovvero processo “ai padroni, ai petrolieri, agli agrari, ai poliziotti, ai colonnelli, ai fascisti, ai cardinali, ai ministri perduti e corrotti, ai celestini, alle pagliuche, e a tutti i nemici della classe operaia”. Seguirà “Contro il fascismo, contro la Dc, contro l’imperialismo” (1974).
Enzo è in scena a far suonare le sedie, le valigie, gli scatolini, a cantare canzoni di lotta e di emigrazione. Ma è un personaggio difficilmente governabile, viaggia da solo, lavora nei circoli “Ottobre”, ma anche nelle piazze, nei club nati per la musica folk un po’ in tutta Italia.
Partecipa alle manifestazioni sindacali contro i licenziamenti dei lavoratori nelle fabbriche occupate: un incontro tra operai, intellettuali e artisti per una battaglia comune, i diritti e il rinnovamento della società. Partecipa alle serate di sostegno alla resistenza cilena contro il golpe di Pinochet nel 1973. La sua voce è anche tra quelle che sono a supportare la campagna per la legge sul divorzio nel 1974. Tre anni dopo, nel corso di una manifestazione per il terzo anniversario del referendum una giovane, Giorgiana Masi, muore uccisa dal proiettile sparato dalla polizia in borghese. La denuncia cantata di Enzo tiene viva la memoria di una vittima innocente e di uno Stato criminale: Giorgiana Masi quanta malinconia/triste ricordo della vita mia/giovane ventenne studentessa romana/militante laica impegnata Giorgiana /figura tragicamente incidentale/sorridente ragazza radicale.
Si esibisce alla tre giorni di Licola, la Woodstock italiana, nel settembre del 1975. Poi, stanco e dimenticato dai più Enzo ritorna a Mola e scompare. Ricompare in un concerto nella provincia di Parma il 25 aprile del 2009. Ad ascoltarlo Vinicio Capossela, che lo invita quello stesso anno al concerto di Ariano Irpino dove canta Comico
e Io e la mia sedia, canzone sulla musica come arma di protesta verso le ingiustizie del mondo.
L’anno dopo è al Concertone del Primo Maggio 2010 in Piazza San Giovanni, dove canta Lavorare con lentezza, inframezzandola con un lungo commento: “Io per gli sfruttatori non voglio fare niente. Per la classe lavoratrice alla quale mi onoro di appartenere sono disposto a sacrificare la mia vita” [Pinto, T. p. 200].
Nel 2010 Enzo è invitato al Premio Tenco, dove presenta, con le canzoni, il suo manifesto anticapitalista: “Bisogna lavorare il meno possibile per farsi sfruttare il meno possibile, dobbiamo lavorare affinché siano i lavoratori stessi a gestire il sistema” [Pinto, T. p. 201]. Conferenza stampa:
Enzo del Re viene a mancare il 6 giugno 2011.
“Enzo del Re – dice Vinicio Capossela – è stato un altro cantore che (come Woody Guthrie) ha alzato la voce contro l’ignoranza, contro la cattiveria, lo sfruttamento” [Pinto, T. p. 205]. Portatore di una lingua arcaica, cantastorie epico e leggendario, a servizio di battaglie ancora attuali.
Il regista Angelo Amoroso Aragona lo racconta nel documentario “Io e la mia sedia” (2010). Il trailer:
Anche il documentario “Enzo del Re, il cantastorie di Mola di Bari si racconta” ripercorre la sua vicenda artistica e biografica: parte prima
e parte seconda.
“Le storie cantate. Viaggio tra i cantastorie di Puglia” (2005) presenta Enzo del Re nel contesto della musica della sua terra. Il trailer:
Chiara Ferrari, coautrice del documentario Cantacronache, 1958-1962. Politica e protesta in musica, autrice di Politica e protesta in musica. Da Cantacronache a Ivano Fossati, edizioni Unicopli
Pubblicato venerdì 13 Novembre 2020
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