“Dobbiamo solo ringraziare Sandra per questa testimonianza continua, seria e giocosa ad un tempo, per questa voce rigorosa, precisa, fedele al melisma contadino, all’estetica del cantastorie senza forzatura, e piena di vita.
Giovanna Marini, 2005
“Se Sandra Boninelli è capace di cantare i canti della sua città e non solo quelli, ma tanti altri della tradizione orale delle valli del nord come se fossero canzoni di oggi, ma non solamente nella forma rigorosissima all’originale, bensì con uno spirito del tutto attuale, un amore che traspare da ogni nota, questo è dovuto al fatto che fin da giovanissima ha frequentato grandi ricercatori, personalità che hanno animato mezzo secolo di ricerca in Italia come Franco Coggiola, Roberto Leydi, Cesare Bermani e tutto il mondo della ricerca e della riproposta, con ampi squarci di invenzione, attivamente collabora ed è parte integrante del Nuovo Canzoniere Italiano”.
Nelle note all’album Legàmi di Sandra Boninelli, Giovanna Marini, la madre del canto popolare da poco scomparsa (8 maggio 2024, successivamente all’incontro con Sandra Boninelli), ha sapientemente riassunto alcuni dei tratti caratteristici di Sandra Boninelli, ricercatrice, cantautrice e interprete popolare tra le protagoniste della cultura “alternativa” (Giovanna Marini) del nostro Paese, cresciuta immersa nella musica. L’abbiamo incontrata a Ponteranica dove ci ha rilasciato questa intervista.
“In famiglia mia madre canticchiava, mentre mio nonno era musicista. Aveva partecipato alla Prima guerra mondiale e in una delle fotografie pubblicate nel libretto del mio album Legàmi c’è lui in un gruppo di soldati, non avevano in mano i fucili, ma degli strumenti musicali, perché erano un complesso bandistico. Recentemente ho scritto una canzone dedicata a lui, Mario il musicista, che si può ascoltare dal mio sito”. Qui Sandra Boninelli conserva materiali audio e una ricca documentazione del suo lavoro.
Nata a Bergamo nel 1952, da famiglia di operai e contadini, perde i genitori molto giovane. È lei a prendersi cura del fratello e della sorella entrando presto nel mondo del lavoro. Anche la musica si affaccia precocemente nella sua vita. Ma sarà solo a partire dagli anni Settanta che diverrà ricerca, studio, espressione di libertà, di solidarietà, di lotta.
“Nel 1974-’75 ho cominciato a occuparmi di canto popolare. Senza saperlo, perché in realtà in quegli anni avevo iniziato ad ascoltare le canzoni di Bob Dylan, Joan Baez, Pete Seeger e mi piacevano molto. Si diceva fossero canti di protesta e io mi chiedevo come mai in Italia non esistesse nulla di simile.
A Bergamo c’erano due negozi di dischi e nessuno sapeva darmi indicazioni. Mi consigliarono di andare alle Messaggerie Musicali a Milano. In quel grande magazzino il commesso mi indicò un angolo della libreria dove avrei trovato qualcosa inerente a ciò che cercavo. Cominciai a leggere qualche titolo in italiano ma non c’erano spiegazioni. Il commesso mi disse che quella era l’unica casa discografica che producesse musiche alternative.
Ricorda Boninelli: “Erano I Dischi del Sole. Il primo disco che comprai si intitolava Osteria-osteria. Costava parecchie lire, non avevamo tanti soldi, era un investimento. Al primo ascolto non mi piacque e lo misi via. Un paio di mesi dopo provai a risentirlo e mi sembrò meraviglioso: erano tutti canti d’osteria, un po’ ‘tirati’, un po’ da ubriaconi, incisi alla buona con i rumori in sottofondo. Così tornai a Milano a prenderne un altro che aveva la copertina di colore azzurro. Mi ricordava quando andavo a comprare il pane e i salumi che venivano avvolti in sacchetti di carta dello stesso colore. Così mi convinsi e lo acquistai. Si chiamava Donna lombarda. Al primo ascolto anche quello non mi colpì. Lo ripresi in un secondo momento e mi conquistò. C’era, tra le tante, una bellissima versione di Donna lombarda (antico canto della tradizione popolare, noto in molteplici versioni, qui si intende quella registrata a Martinengo nel 1975). Cominciai a strimpellarla con la chitarra, mio fratello Mimmo aveva preso a insegnarmi un po’ di accordi. Poi lui venne assunto come ragioniere alle Edizioni del Gallo in via Melzo a Milano. Nello stesso edificio c’era la sede dell’Istituto de Martino. Un giorno lo accompagnai, conobbi Franco Coggiola che neanche a farlo apposta stava preparando un elaborato su Donna lombarda. Così gli cantai la versione che avevo imparato dal disco. In disparte c’era Ivan della Mea che si alzò in piedi e disse: Tu da oggi vieni a cantare con noi”.
Quel “noi” era riferito al Nuovo Canzoniere Italiano e agli studiosi, musicisti, saggisti che facevano parte di questo movimento culturale, destinato a rappresentare la prima esperienza di ricerca e messa in salvo del patrimonio orale dei canti popolari. Nonché, con I Dischi del Sole, il primo progetto discografico indipendente, orientato alla divulgazione di materiali reperiti da ricerche sul campo, nelle campagne, in città, sui luoghi di lavoro. Un patrimonio costituito da indagini bibliografiche, interviste, convegni, incontri tra intellettuali e portatori, registrazioni di autentici cantori.
L’Istituto Ernesto de Martino, fondato a Milano da Gianni Bosio nel 1966, si poneva come luogo di conservazione, grande archivio sonoro, nel quale Franco Coggiola lavorava come ricercatore, eletto nel 1981 presidente e rappresentante legale dell’associazione, Ivan della Mea, cantautore e studioso, ne prese successivamente le redini. Oggi l’istituto, diretto da Stefano Arrighetti, ha la sua sede a Sesto Fiorentino (Firenze).
Giovanni Mimmo Boninelli fece parte del collettivo dell’Istituto Ernesto de Martino e delle Edizioni Bella Ciao e, in modo particolare, nel periodo 1980-1996, fu tra i principali collaboratori di Franco Coggiola. Laureato in Sociologia (1991) e in Filosofia (1995) all’Università di Urbino, è stato un infaticabile ricercatore e studioso delle tradizioni orali del bergamasco, occupandosi di musica popolare, di lotte operaie – tra cui la ricerca sulla Filati Lastex –, impegnato poi in ricerche sulle musiche migranti di ieri e di oggi (contributo inserito nella rivista Il de Martino e cd antologico Italia Bella mostrati gentile, Istituto Ernesto de Martino, 2002). Con il Canzoniere Popolare di Bergamo (1974-1981), assieme a Sandra Boninelli, ha svolto ricerche sul campo e concerti di folk revival e nuova canzone politica. Nel periodo 1982-1992 è stato coordinatore scientifico dei Quaderni dell’Archivio della cultura di base, una collana di studi sul mondo popolare bergamasco edita dal Sistema bibliotecario urbano di Bergamo. Dal 2009 al 2011 è stato collaboratore della Fondazione Bergamo nella Storia, concludendo la sua carriera lavorativa nel 2016 presso la Biblioteca musicale Gaetano Donizetti. Come saggista, tra le tante pubblicazioni, si ricorda la monografia Frammenti indigesti. Temi folclorici negli scritti di Gramsci (Carocci, 2007). Mimmo Boninelli è mancato nel 2016. Alla sua memoria è stata dedicata, nel marzo 2024, una sala di lettura della biblioteca Tiraboschi di Bergamo.
Mimmo Boninelli è stato di fondamentale importanza anche nell’avvio della carriera di Sandra. Tornando a lei, ancora prima della collaborazione con il Nuovo Canzoniere Italiano, era già avvezza al canto popolare, grazie a un incontro fortuito con alcuni cantori autentici, dai quali aveva appreso stile di canto, repertorio, la consapevolezza della propria voce.
“La canzone Donna lombarda io la utilizzavo in ospedale, a quei tempi facevo l’inserviente, poi sono diventata infermiera. La usavo per darmi il ritmo quando dovevo pulire i pavimenti nelle camere dei pazienti. Un giorno, mentre intonavo le strofe, un signore ricoverato nel mio reparto mi fece il controcanto. Io rimasi di stucco, e pure lui! Mi chiese dove avevo imparato quel canto. Gli risposi che stava su un disco, e volli sapere dove l’aveva imparato lui. ‘Noi andiamo in osteria a cantarlo’ disse. ‘Come noi, quanti siete?’ domandai. ‘Siamo in quattro’. ‘Posso venire anch’io a sentirvi?’ In quegli anni era difficilissimo entrare nelle osterie, per le donne era un luogo interdetto. Mi disse che presentandomi lui, come la sua infermiera, non ci sarebbe stato problema. Così andai e ascoltai la loro versione di Donna lombarda. Voci bellissime, facevano delle armonizzazioni per terze che erano una cosa fenomenale. Raccontai il fatto a mio fratello, e venne anche lui. Le prime volte ascoltavamo e basta poi pensammo che per imparare le canzoni dovevamo fissarle in qualche modo, perché tutto era orale. Quindi cominciai a portarmi dietro il registratore Geloso. Andavo in osteria tutti i sabati e le domeniche, registravo e a casa con la chitarra cercavo di ‘tirare’ la tonalità, finché un giorno capitò l’imprevisto”.
Rievoca: “Io le canzoni ormai le canticchiavo stando dietro a loro, e avvenne che un giorno uno dei quattro non si presentò perché malato. Così chiesero a me di sostituirlo e di fare la prima voce. Fàla olta, mi dissero, falla alta. Così alzai di tonalità, tanto che coprii tutti, fu una cosa incredibile. Da quel momento mi coinvolsero sempre più spesso. Con questo gruppo di signori di Martinengo, un paese della bassa bergamasca, ci esibimmo addirittura in teatro a Milano. Ci portò Roberto Leydi. Quella volta, giunti sul posto, uno di loro fece presente che, se si doveva cantare, doveva esserci del vino. ‘Avete ragione’, disse Roberto Leydi che si incaricò di andare al bar a comprare delle bottiglie. Senza non avrebbero cantato. A Roberto Leydi era piaciuto molto quel gruppo”.
Che ricordi hai di Roberto Leydi?
“Roberto Leydi l’ho conosciuto non tanto come studioso e ricercatore, ma come vicino di casa di Cesare Bermani che allora frequentavo. Io non ero ancora dentro il canto popolare, e non mi occupavo di ricerca. Ero proprio all’inizio. Quando sono entrata nel Nuovo Canzoniere Italiano lui era già uscito, insegnava al Dams a Bologna. Era molto apprezzato come docente, per una tesi di laurea di una conoscente, le consigliò di presentarsi alla discussione con l’organetto. Così lei ebbe l’opportunità di suonare davanti alla commissione e di essere apprezzata anche per questo aspetto. Gli altri studenti, che attendevano di discutere, fecero girare la voce di portare uno strumento perché Leydi valutava anche la musicalità. E questo aiutava la loro presentazione. Non ebbi modo di frequentarlo neppure quando era impegnato alla Regione nella realizzazione di dischi, ma ero legata a Sandra Mantovani, eravamo due voci femminili e lei mi apprezzava. Leydi lo si vedeva poco, del resto, spesso stava rinchiuso nel suo studio e non lo si poteva disturbare più di tanto. Quando usciva, allora si faceva ricreazione, come la chiamavo io, si mangiava, si beveva. Su molti argomenti di cui lui parlava con Bermani ero all’oscuro, tante cose non le conoscevo e non le capivo perché ero proprio all’inizio”.
Solo qualche tempo dopo, con il fratello Mimmo, Sandra intraprende l’attività di ricerca e riproposizione di materiai originali, fondando il Canzoniere Popolare di Bergamo che fu operativo dal 1974 al 1981.
“Franco Coggiola – racconta Boninelli nello scritto Per Mimmo consegnato a chi scrive –, ci insegnò come utilizzare il registratore, come procedere nel montaggio di un disco e soprattutto ci teneva sempre informati delle ricerche in corso e di tutte le attività collegate: stampa di libri, produzione di spettacoli, convegni”. Da questa collaborazione e dalla frequentazione di studiosi e intellettuali che operavano in quegli anni all’Istituto de Martino, nacque la voglia di mettersi alla prova nella ricerca in prima persona, partendo dalle valli bergamasche.
“Il primo registratore utilizzato era il famoso Geloso – prosegue Boninelli nello scritto citato – poi comprammo l’Huher a bobine. Si tornava a casa per ascoltare ciò che avevamo trovato, si trascrivevano quando si poteva le interviste raccolte, perché tutto andava fissato, la memoria, i canti, le fiabe, i racconti di stalla; era un mondo meraviglioso fatto di incontri con persone in carne e ossa. Con il materiale raccolto si ragionava e si cantava”.
“Si faceva ricerca in un certo modo, molto serio – spiega Boninelli nel nostro colloquio –. Eravamo in cinque: mio fratello andava in biblioteca a fare le ricerche storiche, ci portava il materiale, uno andava a fare ricerche sul testo, un altro sulla musica. Si studiava il materiale prima di presentarlo. Sapendo bene che cosa si proponeva. In un ciclostilato veniva raccolto tutto: spiegazioni dei canti, interviste, ricerche bibliografiche. Si facevano indagini meticolose, si doveva essere precisi nel raccontare situazioni reali, fatti accaduti nel passato e anche recenti. Per parlare di un qualsiasi argomento ci voleva una conoscenza approfondita. Con questa modalità, con il materiale che si riusciva a raccogliere, si proponevano le canzoni”. “Con l’aiuto di Sergio Cisani, Stefano Borani e Luigi Battaglia si andava a cantare nei festival, nelle biblioteche, nelle osterie e dove ci chiamavano per interventi specifici; si cantava, si parlava del sociale e del politico” (dal testo Per Mimmo).
Tra i primi lavori pubblicati a seguito di queste ricerche vi è l’album Il bastimento parte. I canti dell’emigrazione bergamasca, esito di registrazioni sul campo svolte da alcuni pionieri locali, negli anni del folk revival, e riprese successivamente, in conseguenza anche del lavoro di quegli anni di Mimmo Boninelli. Dal 1992 era in servizio presso il Centro Servizi per Stranieri dove si interessava ai temi dello scambio interculturale, alle problematiche scolastiche legate all’inserimento nelle classi di studenti stranieri e all’aggiornamento del quadro statistico degli stranieri residenti in città.
“Il lavoro discografico costituisce un’eccezionale documentazione – scrive l’editore – che ci parla di un’avventura che, per oltre un secolo, ha segnato profondamente la nostra storia sociale”.
“L’album venne pubblicato nel 1996, eravamo avanti su queste tematiche – spiega Boninelli –. Siccome mio fratello in quegli anni lavorava per una struttura comunale che si occupava degli emigrati e dei migranti, comprese immediatamente quanto il tema fosse emergente. Bisognava capire la storia antica della nostra migrazione rispetto ai migranti di allora (anni Novanta). Bisognava conoscere la storia del nostro Paese, dei nostri nonni che erano andati in Francia – prima erano andati in Maremma – e poi sempre più lontano, in Germania, in Belgio, fino in America.”
Come venne realizzato l’album?
“Venne chiesto a vari ricercatori se fossero d’accordo a incidere un disco con le canzoni che avevano trovato facendo ricerche sul campo, registrando degli informatori dell’area di Bergamo. Furono poi convolti cantanti e musicisti locali: gli Zanni, Luciano Ravasio e il suo gruppo, Enrico Moretti, che interpretavano a loro modo quei canti. Il disco uscì per le edizioni Junior, una casa editrice ora scomparsa. Sono tutti canti che appartengono alla tradizione bergamasca, rinvenuti e riproposti da musicisti locali. Dove non fu possibile reperire le musiche ne vennero create di nuove sui testi, però era praticamente tutto materiale originale. Si partiva dalla registrazione del canto e la si trascriveva poi in musica. Questo è stato un lavoro pensato a curato da mio fratello. Io andai in studio a registrare qualche canto. Ci fu molta collaborazione tra ricercatori e musicisti. Doveva uscire in allegato anche un libro, curato sempre da mio fratello, ma l’edizione Junior non aveva la possibilità di produrlo, quindi si ripiegò per un elaborato, comunque ricco di informazioni che accompagnò il disco”.
Nell’ampio libretto lo studioso chiarisce che nell’opera di ricerca e descrizione dei canti si è avvalso degli spunti di Roberto Leydi al cui tema dedicò diversi scritti, selezionando quei testi che facevano esplicito riferimento all’emigrazione. A partire da quelli inseriti nelle raccolte ottocentesche di canzoni popolari bergamasche, fino a quelli derivati da fonti orali, nei quali quasi sempre si ravvisava la pena di chi era costretto ad andarsene dal paese natio. Tra i più duri si trova una versione del canto raccolto da Caterina Bueno nella zona di Arezzo, databile alla fine dell’800, noto come Italia bella, mostrati gentile, che presentava un testo differente, come anche l’incipit, O vile di un’Italia, mostrati gentile, dove il diverso aggettivo aggravava il senso di smarrimento di chi, sentendosi scacciato dalla propria terra, doveva emigrare per sopravvivere alla miseria. Il brano venne raccolto a Valcanale nel 1974, dalla voce dell’informatore B. Foppolo, ma senza musica, ripresa dalla versione toscana. La parte finale del ritornello era stata ricostruita e la voce è di Sandra Boninelli.
Questa invece la versione di Caterina Bueno:
Si viaggia verso l’America, il Brasile, ma anche verso altri lidi.
Il bastimento parte che dà il titolo all’album documenta la presenza di emigrati bergamaschi in Inghilterra. Prima di salpare non mancavano di salutare gli affetti più cari. Il canto venne registrato nel 1979 a Gandino. La voce è di Sandra Boninelli.
Diversi canti testimoniano di viaggi verso il Ticino (Noi siam partiti di una sera) e verso la Francia. Tra questi La compagnia del fil de fèr, L vé a ca i nostri francesi. La Francia, in particolare, accoglieva i minatori dell’area lombarda, costretti a lavorare in clandestinità per mancanza di documenti regolari, in condizioni ambientali e sociali discriminanti, di esclusione e rifiuto da parte della popolazione autoctona. Su questo tema è stato successivamente allestito lo spettacolo I dis che i minatori son ligèri (Dicono che i minatori sono leggeri). “Venne realizzato dentro una miniera in Val di Scalve – racconta Boninelli – di cui ho la registrazione originale”.
Sensibile al tema della migrazione la stessa ha, poi, recentemente composto la canzone Lassémela andà dedicata a tutti i migranti del mondo.
Legàmi, album autoprodotto uscito nel 2005, vede Sandra Boninelli autrice e interprete solista. Contiene canzoni scritte dal fratello, altre originali composte da lei. Ma anche canti della tradizione, anonimi e raccolti dal Canzoniere popolare di Bergamo, come La prima l’è Carlotta, Voglio fare il passaporto, Gh’era un pader. Altri, come Strofette satiriche rinvenuti in varie versioni da Leydi (dalla voce dell’informatrice Palma Facchetti), Cesare Bermani, Riccardo Schwamenthal sempre in area bergamasca, oppure raccolti da Roberto Leydi e Sandra Mantovani, come l’antimilitarista Ho sentito sparà ’l cannone registrato nel novarese. Di questo canto si può ascoltare una versione registrata a Motteggiana nel 2010, in occasione della manifestazione Il giorno di Giovanna, suonata e cantata da Mimmo a Sandra Boninelli.
Lagàmi è un album di affetti e sentimenti di riconoscenza verso i familiari, i cui ritratti compaiono nel booklet, verso etnomusicologi e interpreti di canto popolare, presenze preziose che hanno profondamente segnato il percorso dell’autrice nella musica.
“Chi sono Sandra e Mimmo Boninelli? – scrive Giovanna Marini nella presentazione all’album –. Così coerenti al loro amore per il canto di tradizione orale e, allo stesso tempo, aperti e pronti a recepire ogni spinta che ci viene dall’esterno? Tanto da voler distribuire a tutti le loro emozioni così speciali, intense e allo stesso tempo emozioni che sono e dovrebbero essere di tutti noi? Sono due magnifici cantastorie, certamente due voci importanti della nostra epoca. Non mancano in questo godibilissimo disco gli stornelli satirici del ventennio, i lamenti sul lavoro, i canti di oggi”.
I canti di oggi raccontano “storie di quotidiana lotta per la sopravvivenza contro lo sfruttamento del padronato e contro le guerre volute dai potenti (…), con un folk sincero e di barricata”, scrivono Pas Scarpato e Davide Viganò per Movimenti Prog (dal sito di Sandra Boninelli).
Scrive invece Ivan Della Mea: “Sandra tiene altissimo il livello della meraviglia, dell’incanto, della malìa: ed è magia (…). Con questo lavoro Boninelli rende vivo, nuovo, contemporaneo ciò che si vorrebbe relegato negli anfratti umorali della memoria”. L’album si impreziosisce della collaborazione di Paolo Ciarchi, “musico d’eccellenza e sciamano e facitore con altri musici dei suoni pregiati di questo cd”. Lo troviamo, infatti, alle prese con “tuttofonino; maracas e semi vari; botte in testa; sedia presa in prestito nello studio di registrazione e bastoncini di metallo in caduta” (dal sito di Sandra Boninelli).
Anche grazie a questi straordinari apporti sonori, dalle canzoni originali di Sandra Boninelli prende vita la memoria di antichi cantastorie e della più grande tra loro, Giovanna Daffini. “Quando venne organizzato il concorso dedicato a Giovanna Daffini a Motteggiana decisi subito di partecipare. La canzone con cui vinsi il primo premio è Con te. Era il 2004. Questa canzone ha una storia. Una sera eravamo a Torino e Ivan della Mea mi chiese di cantare una canzone della Daffini. Non so quale canzone fosse, (probabilmente Festa d’Aprile la cui melodia si ascolta nel brano), ma cominciai e di colpo vidi davanti a me l’immagine della Daffini che mi osservava. E allora mi venne l’idea di scrivere una canzone per lei. Non riuscivo però a pensare a una conclusione, un finale adatto. Realizzai che il marito suonava il violino, così immaginai lei che mi lasciava la chitarra e portava via con sé il violino. Questa scena poteva rappresentare un passaggio di testimone, la chitarra come simbolo di un impegno che proseguiva, che fu dei cantastorie e di Giovanna Daffini e che giungeva a me”.
Giovanna Daffini è una figura che ha lasciato un segno indelebile nella storia del canto popolare. Che cosa ha rappresentato per te?
“La Daffini, pur non avendola conosciuta, mi ricordava tantissimo mia madre. Non aveva la stessa voce, però mia madre cantava molti canti popolari, soprattutto quando andava al lavatoio a lavare i panni. E quindi mi sembrava quasi di dedicare un po’ anche a lei le canzoni che scrivevo per la Daffini. Sempre per lei ho realizzato una fiaba. Per l’accompagnamento musicale contattai un cantastorie di Bologna perché suonasse la fisarmonica. Decidemmo di mandarla fuori concorso a Motteggiana perché io avevo già vinto e volevo lasciare spazio ad altri. Scrivemmo una lettera al comitato che accolse la nostra richiesta. Scoprimmo poi che se avessimo partecipato avremmo vinto. E così sono parecchie le canzoni che ho dedicato alla Daffini, mi è sempre piaciuta, aveva un’impostazione vocale incredibile. Roberto Leydi disse che io ero la continuazione della Daffini, per la mia vocalità, per il fatto di essere, come lei, un’autentica cantora popolare”.
Con te non è l’unica canzone che ha partecipato al “Concorso nazionale dei cantastorie Giovanna Daffini”. Organizzato dal Comune di Motteggiana, si tiene ogni anno a Villa Saviola, e prevede, oltre alla premiazione del testo più ispirato alle tematiche care alla leggendaria cantora ex-mondina, la realizzazione di un cd con i brani vincenti e una pubblicazione, i Quaderni di Giovanna Daffini, a cura di Gian Paolo Borghi, con approfondimenti sulla figura della cantora mantovana poi trasferitasi a Gualtieri. All’edizione del 2003 Boninelli aveva partecipato con Fogli volanti, ottenendo il terzo premio. Una canzone sulla storica figura dei cantastorie, e sul loro ruolo sociale di narratori e divulgatori di fatti di cronaca, leggende, memorie.
“La canzone è nata nel periodo in cui frequentavo Cesare Bermani e spesso eravamo a casa del suo vicino Roberto Leydi a Orta San Giulio, dove vivevano praticamente attaccati. Roberto (Leydi) non solo aveva l’archivio in quella casa, ma c’era anche una stanzetta in cui erano sistemate delle grandi cassettiere. Una volta gli chiesi cosa fossero i fogli volanti, come erano fatti, perché io non li avevo mai visti. Non che Bermani non me ne avesse mai parlato, ma quella era l’occasione per cominciare a dialogare con lui, che conoscevo da poco. Mi portò in questa stanza e da una cassettiera tirò fuori un foglio, un foglio volante piccolo e uno grande, mi raccontò la storia dei cantastorie che facevano il treppo nelle piazze, cioè quando i cantastorie si trovavano per farsi ascoltare o vendere le loro canzoni, questo si chiama treppo. Meravigliata da questi fogli che erano bellissimi, decorati con dei disegni, ma che poi raccontavano cose tristissime, come l’uccisione di un bambino o cose del genere, tornando a casa mi venne in mente di scrivere una canzone. Ero rimasta davvero affascinata. Ci misi pochissimo e anche la musica scaturì molto velocemente. Ed io non sono una musicista. Non conosco le note, sono stata sempre autodidatta, quindi quattro quarti, due quarti, tre quarti, non sono la stessa cosa, però per me era abbastanza normale riuscire a suonare ognuno di questi tempi. Soprattutto perché allora si componevano musiche semplici e non facevo troppa fatica a suonare la chitarra, anche all’inizio, anche da mancina”.
Oltre a Daffini c’è un’altra figura di spicco del folk revival a cui Boninelli ha dedicato una canzone: Caterina Bueno. Per lei, poco dopo la sua scomparsa, compone Quattro passi più in là.
“Caterina Bueno l’ho conosciuta di persona, andai anche a casa sua. Era una donna molto particolare, molto rispettosa degli altri. Ogni tanto mi telefonava per avere qualche informazione su alcuni canti. Voleva scrivere un libro sui canti di emigrazione, ma non riuscì a completarlo, stava già male in quel periodo. La vidi a Torino la prima volta, quando si partecipava ai festival folk con il Nuovo Canzoniere Italiano. Era molto schiva, stava sulle sue perché era una persona riservata. Come lo era Michele Straniero, carinissimo. Abbiamo compiuto un viaggio, con Franco Coggiola e Riccardo Schwamenthal, che era molto amico di Michele Straniero avendo svolto insieme numerose ricerche. Eravamo andati dalle parti di Seveso a fare delle registrazioni. Persona molto intelligente, sensibile. A Torino, invece, andammo a cantare e in quell’occasione Straniero si esibì, aveva una sua impostazione, una sua presenza tutta particolare. Un altro artista di valore che ho conosciuto è Alfredo Bandelli. Poi Rudi Assuntino, Luisa Ronchini che era di Bergamo e poi si trasferì a Venezia. Una sera eravamo a Venezia per uno spettacolo con il Nuovo Canzoniere e lei era lì a cantare. Il giorno dopo andai dalle parti dell’Arsenale e in un negozietto di ceramiche trovai lei, che era disegnatrice e ceramista. Una incredibile casualità. Sapevo che oltre a cantare era ricercatrice, ma poi non ebbi più modo di frequentarla.
Con Giovanna Marini, invece, per diversi anni andai in Sicilia, nei viaggi di ricerca sul campo che lei organizzava per registrare nuovi canti ed eseguirli con il coro della Scuola popolare di musica di Testaccio. Io ho conservato tutti i materiali, per me è stata un’esperienza di studio e formazione, di ricerca sulla memoria orale. Un investimento importante.”
Tornando all’album, tra i canti della tradizione popolare si ascolta Donna Lombarda nella versione di Premana, provincia di Lecco, raccolta nel 1976,
e il celebre canto di protesta della Prima guerra mondiale, O Gorizia, voce e chitarra.
Unica concessione a una cultura altra e al tema amoroso è Enamorat i allota sull’aria del canto popolare lombardo Pover Luisin. “È una canzone che mi aveva girato Alberto Cesa, leader del Cantovivo di Torino. Una canzone d’amore in catalano, interpretata anche dalla celebre cantante catalana Maria del Mar Bonet”.
Propaganda delle canzoni ha, invece, per tema il potere rivoluzionario delle canzoni, ed è ispirata a Propagande des chansons di Eugène Pottier, tratta dai Chants révolutionnaires, 1908, seconda edizione. La traduzione italiana è di Cesare Bermani, la musica di Sandra Boninelli, ed è interpretata da Paolo Ciarchi che suona “una violotta trattata con scatolino della pece sulle corde” e da Sandra Boninelli, voce e chitarra. Il canto si trova anche in Festa d’Aprile – Canzoni d’autore su Resistenza ed ingiustizie sociali / Vieni O Maggio – Canzoni d’autore sul lavoro (Ala Bianca, 2006) a cura di Rudi Assuntino, Ivan della Mea, Istituto Ernesto de Martino.
L’album raccoglie inoltre alcune canzoni scritte da Mimmo Boninelli (edite anche nel citato album di Ala Bianca).
Tra queste Cgil composta nel centenario della Cgil di Bergamo, costituita il 21 aprile del 1901, che mostra la vicinanza dell’autore per il sindacato e per le istanze di cui esso si fa portavoce: la valorizzazione delle radici, l’inclusione sociale, l’uguaglianza, la solidarietà.
Il pendolare è una canzone in dialetto che affronta un altro tema caro a Mimmo Boninelli, ovvero le battaglie per i diritti sul lavoro, da farsi mediante i consigli di fabbrica, ma anche con gli scioperi e le azioni di protesta.
“L’ha scritta mio fratello nel 1974 quando andava a Milano all’Istituto de Martino, impiegato come ragioniere. Da Bergamo a Milano tutte le mattine, tornava la sera. Vedeva gli operai che andavano in fabbrica, la loro vita di sacrifici”.
L’album tiene unite le diverse esperienze musicali di Sandra Boninelli che passa in rassegna i momenti più significativi della sua carriera: la ricerca di canti del passato, quelli della tradizione popolare bergamasca e quelli universalmente noti, sui quali molte grandi interpreti si sono misurate, riproposti nei modi propri di una cantastorie dei giorni nostri, chitarra e voce. Le canzoni di Mimmo Boninelli, patrimonio collettivo. Le composizioni originali in cui affermare la forza comunicativa del canto popolare, capace di cesellare ritratti e restituire integri fatti memorabili della storia del nostro Paese.
In questo senso l’impegno di Boninelli si avverte anche nell’interpretazione di canti fortemente protestatari, come E anche al mi’ marito, inciso nell’album collettivo Ama chi ti ama. I tempi della vita cantati dalle donne, edito da Ala Bianca nel 2018, che riunisce la più ampia selezione di storiche voci femminili del folk revival. Canto raccolto a Pisa dal Canzoniere Pisano (1966) e da Pino Masi (1970), pur riferito i fatti della Prima guerra mondiale, immaginandolo cantato in tempi successivi, quando venne rinvenuto, apriva alla prospettiva della rivolta armata.
Eseguito dal vivo.
Gli anni Settanta per l’Italia furono anni bui, il Paese era scosso da azioni terroristiche, disagio giovanile, scioperi, forte crisi economica di cui furono vittime le categorie più svantaggiate. I cantautori furono testimoni di questi eventi e li raccontarono in concerti, manifestazioni, azioni di intervento. Che ricordi hai?
“Noi eravamo completamente rapiti dal fare ricerca perché sentivamo che tante cose sarebbero andate perse. Infatti, quando lavoravo in ospedale molto spesso chiedevo ai pazienti i loro indirizzi per andare a a registrarli, mi era capitato per esempio di trovare ancora due o tre persone che avevano partecipato alla Prima guerra mondiale. Questo era molto importante. Ma certamente con il Nuovo Canzone Italiano si girava tanto in quegli anni. Le cose grosse (i concerti) si erano fatte a Firenze, a Roma e a Torino. Ognuno si presentava con il suo repertorio, Giovanna Marini, Gualtiero Bertelli, Paolo Pietrangeli, perché nel frattempo avevano trovato una propria strada. Negli ultimi anni capitava raramente di trovarci tutti insieme. Allora si faceva una scaletta. Ho un ricordo molto bello di un concerto a Torino dove proprio c’eravamo tutti, era alla Maison Musique a Rivoli.
Con mio fratello, invece, andavamo spesso nelle scuole. Ma erano soprattutto gli anni delle occupazioni delle fabbriche, delle lotte operaie. Eravamo andati a Milano, per la Fervet [un tempo eccellenza industriale, di Castelfranco Veneto, era specializzata nella costruzione e nella riparazione di carrozze ferroviarie, andata in fallimento], a Roma da Alessandro Portelli, al circolo Gianni Bosio, portammo una parte dei delegati della Filati Lastex, a raccontare la vicenda della fabbrica occupata. Poi alla Philco, produttrice di elettrodomestici con sede e stabilimento a Brembate di Sopra, in provincia di Bergamo, che era occupata e ci si andava a suonare per solidarietà. Adesso non si fa più. Solo a Firenze recentemente diversi artisti si sono attivati per protestare, perché quella è una fabbrica grossa (ex-Gkn). Qui al Nord non c’è più stata questa tradizione. La gente non utilizza più questa modalità di comunicazione, preferisce discutere su piattaforme social, fare delle dichiarazioni in pubblico o magari delle assemblee. Ma anche se fanno delle assemblee difficilmente chiamano per suonare, invece ai tempi succedeva”.
Cosa succedeva?
“Succedeva che in quelle occasioni si raccontasse la storia della fabbrica e poi si cantavano canzoni politiche. Soprattutto la gente cantava. Questa era la cosa importante. Adesso non canta più nessuno. Insieme a mio fratello ogni anno il 25 Aprile e il Primo maggio registravamo le manifestazioni a Bergamo. Si sentivano un gran numero di slogan anni fa. Quando ci siamo accorti che non si gridavano più, abbiamo capito che la situazione stava cambiando. In peggio. Anche questo 25 Aprile, se non ci fossero stati i ragazzi dei centri sociali ci sarebbe stato il totale silenzio. Nessuno ha niente da dire, niente da recriminare, niente per cui alzare la voce? Questo è un brutto segnale secondo me”.
Se non ora quando (2017), l’album più recente, curato e prodotto da Sandra Boninelli, è interamente dedicato alla figura di Mimmo Boninelli, cantore, compositore, didatta e custode del patrimonio musicale popolare, mancato nel 2016. La scoperta di alcune cassette in cui erano registrate canzoni da lui scritte e interpretate, tra il 1972 e il 2004, ha portato alla realizzazione del cd. L’incisione discografica ha il carattere dell’eccezionalità, nata dalla volontà di restituire la qualità artistica e la forza dei testi (in italiano e in dialetto) composti dall’autore, benché tramite registrazioni di fortuna, recuperate da nastri d’epoca.
In essi si avverte chiaramente l’impegno di Mimmo Boninelli nelle battaglie di civiltà, come il diritto a un lavoro dignitoso (A l’ostrea del “tir a s-ciop”, 1972), l’antifascismo e l’antimilitarismo, la lotta alle discriminazioni e agli abusi (Canzone contro lo sfruttamento minorile, del 1976), le carcerazioni ingiuste, sul ricordo dei canti anarchici (Via Gleno, 1983). Tematiche più introspettive emergono in Un lungo sentiero (1979), in cui l’autore riflette sulla fatica di vivere e in Se non ora, quando? che dà il titolo all’album. Scritta nel 1984, prendendo a prestito il titolo di un romanzo di Primo Levi (a sua volta derivato da un aforisma del rabbino Hillel), si rivolgeva ai giovani di quel nuovo decennio, per sensibilizzarli al tema del cambiamento sociale, per un ritorno all’impegno politico, a fare attività culturale, a interessarsi di ricerca sul patrimonio orale perché non andasse perduto.
Alcune affrontano il tema della Resistenza, tema che Mimmo Boninelli aveva particolarmente approfondito attraverso un importante lavoro di ricerca dedicato ai canti della Resistenza nel bergamasco, che verranno poi utilizzati durante concerti e spettacoli. Si tratta di Ai partigiani sarà sempre nel cuore. Le canzoni dell’antifascismo e della Resistenza in provincia di Bergamo, edito nei Quaderni dell’Archivio della cultura di base.
Nell’album, invece, le canzoni sono composizioni originali. Andiamo compagni è l’ideale continuazione del celebre canto di Fausto Amodei, Per i morti di Reggio Emilia, dal forte legame con la Resistenza.
Compagno cittadino, fratello partigiano/dobbiamo ancora unire, la mano nella mano/contro quella violenza che da Piazza Fontana/continua senza tregua per Brescia e per Bologna./Da un treno e dalle piazze dei corpi martoriati/domandano alle masse di esser vendicati/le mani delle belve, rimangano per sempre/macchiate da quel sangue come maledizione./Andiamo compagni, la nostra risposta/son poche parole che abbiam da lungo in testa/son nostri i consigli uniamoci in massa/la sola risposta è lotta di classe.
“Mio fratello l’aveva scritta nel 1975 e ovviamente era un canto contro la DC”. Andiamo compagni è, infatti, un canto di lotta nato negli anni del predominio politico della Democrazia Cristiana, anni di terrore e di stragi, di richiamo all’impegno antifascista.
Lo scudo di Fanfani porta una croce/che più rossa è diventata col sangue dei compagni/gli si rivolgan contro i fischi delle piazze/di troppa gente stanca di questo strapotere.
Altra canzone sul tema è anche Il monumento. “È stata composta nel 1980. In attesa che venisse inaugurata un’opera dedicata alla Resistenza, mio fratello aveva intervistato una partigiana. Che aveva un carattere molto forte, una persona decisa. Le chiese cosa ne pensasse del monumento che era stato da poco esposto e già aveva creato numerose polemiche. Rispose che quella non era la sua Resistenza. Perché la statua rappresentava un partigiano a testa in giù, verso il quale una donna si protendeva per accarezzargli la testa. Era una scultura di Manzù, artista di Bergamo che, però, aveva precedentemente realizzato un altro bozzetto in cui la donna era, invece, in ginocchio e sorreggeva la testa del partigiano caduto. Ma venne scartata. Il partigiano a testa in giù, cioè appeso, per molti non era rappresentativa, non molto rispettosa. Per cui ci furono una serie di polemiche. Certo l’impatto è forte, si può supporre che quel partigiano fosse stato torturato, oppure fucilato e poi appeso. Un’immagine straziante, probabilmente scelta per questo motivo, ma non tutti apprezzarono, generò delle contestazioni e da questo nacque l’idea di scrivere una canzone”.
Che è anche e soprattutto il resoconto drammatico degli esiti della guerra partigiana al nazifascismo, causa della morte di tanti giovani, restituiti alle loro comunità nella forma simbolica di un monumento.
Ce l’hanno poi dato, trentadue anni dopo/ma freddo e bronzato, il ricordo di aprile,/la moglie lì a fianco, ha guardato e scagliato/la propria sentenza: “Non è stata quella la mia Resistenza,/non è stata quella la mia Resistenza !”.
Ma la canzone più significativa dell’album, rivelativa dell’ambito di interesse proprio di Mimmo Boninelli, è Ghe chi ’l fa i storie.
“È un canto legato alle ricerche che mio fratello fece intorno alla Filati Lastex di Bergamo, la fabbrica occupata dal novembre 1974 al luglio 1975, contro una politica scriteriata di licenziamenti. Nel libretto del cd è contenuta infatti una fotografia di mio fratello alla Filati Lastex con il registratore in mano per documentare la protesta dei lavoratori. Il disco poi venne prodotto dall’Istituto de Martino (Filati Lastex alla riscossa, con registrazioni sul campo di Giuliana Bertacchi, Cesare Bermani, Luisa Berti, Franco Coggiola e Carlo Leidi). Vi sono raccolte interviste, canti composti dagli operai e anche da Mimmo, ricerche, registrazioni sul campo. Qui le rimostranze portarono a una vittoria, perché alla fine gli operai rientrarono nella fabbrica e ripresero le loro mansioni”.
Mimmo Boninelli è anche autore di una canzone fortemente attuale, Tall el Zaatar scritta nel 1976 sul massacro del 12 agosto di quell’anno, in un campo di rifugiati palestinesi, nel contesto della guerra civile libanese. Mentre Local di sacoi, dal nome del primo ospizio di Bergamo, è connessa alla ricerca sociologica in cui Boninelli coinvolse gli abitanti del quartiere Malpensata di Bergamo, raccontando i mutamenti urbani, sociali e politici di quell’area, le vicissitudini delle persone residenti.
L’album ha numerosi pregi, quello di aver tenuto viva l’esperienza di Cantacronache, raccontando fatti locali o internazionali per divulgarne la portata, per conservarne memoria. Quello della valorizzazione della cultura popolare, con l’idea di traghettarla verso le nuove generazioni, i giovani degli anni Ottanta, nell’ideale di Boninelli, destinatari di una presa in carico. Il materiale raccolto da Sandra e Mimmo Boninelli, le ricerche svolte dal Canzoniere Popolare di Bergamo sul patrimonio orale locale sono conservate nell’Archivio della Cultura di Base della Regione Lombardia. “Il nostro materiale è a disposizione per lo studio e l’ascolto. Ci sono almeno trecento nastri depositati. Io conservo solo una copia in mp3. Mi è sempre interessato conservare l’audio invece che il materiale cartaceo. Per quello c’è una vastissima raccolta di mio fratello, rimasta nel suo studio, organizzata e catalogata a modo suo”.
Chi pensi possa raccogliere questa importante eredità?
“Io sono in contatto con un gruppo di giovani interessati al canto popolare e sto passando loro del materiale, perché penso che adesso debbano andare avanti i giovani. Tanto è vero che ho scritto una canzone che si chiama Passaparola. Da una parte per ringraziare tutti i ricercatori, i portatori per quello che ci hanno lasciato, dall’altra per affermare quest’idea del passare parola affinché questo lavoro non vada dimenticato. Tra dieci anni cosa ci sarà? Io credo che sparirà tutto, cioè rimarrà in archivio, chiuso lì. Ogni dieci anni si rifaranno le copie, perché i cd si smagnetizzano, tutto qui. Sto pensando a questo gruppo di ragazze, alle quali si aggiunge un fisarmonicista, che suonano e hanno una bellissima voce. Sono il gruppo di ricerca Laboratorio Popolare i Sifulere. Lascerò a loro il mio archivio. Bisognerà prendere i testi del passato, ma anche scriverne di nuovi. Utilizzare canti della tradizione, le loro melodie, sulle quali inserire parole diverse. Per esempio Donna lombarda si presterebbe. Io ho un po’ quest’idea. Voglio che loro possano disporre di questo patrimonio. Poi butteranno ciò che non interessa, non mi preoccupo più di tanto. Mi preoccupo che loro, se hanno voglia di fare, abbiano degli spunti. Sono io a decidere quello che passerò, ma ascoltando le loro esigenze, ciò che vogliono raccontare. Anche loro stanno facendo ricerca”.
Come lavorate insieme?
“Questi musicisti hanno creato un drive (archivio online) dove inseriamo il mio materiale e il loro così possiamo collaborare. Io partecipo più come consulente. Devono fare la loro strada e io li rispetto, come loro rispettano me. Posso dare indicazioni su come eseguire certe tracce, ma sono loro a rielaborarle. Perché non è giusto che io mi imponga. Questi giovani hanno una vitalità incredibile, senti che sono vivi nel canto, sanno darti quelli che io chiamo i battimenti, cioè fanno provare delle emozioni. Questo è un obiettivo vincente, trovare dei giovani a cui lasciare una eredità”.
In chiusura, un brevissimo stralcio da un discorso dal titolo Intervento da Giulia in cui Sandra Boninelli esprime il proprio punto di vista sul canto popolare. Ovvero, la convinzione che il patrimonio orale, frutto di anni di ricerche e indagini sul campo, non debba rimanere chiuso negli archivi, ma debba farsi fonte di vita, di nutrimento, spunto per la creazione di musiche nuove, spettacoli teatrali, canzoni, in un fertile dialogo con la contemporaneità: “Dobbiamo avere la memoria di ciò che di antico ancora ci parla, l’attenzione e l’ascolto all’oggi, avere la capacità di legare il passato al presente”.
Chiara Ferrari, autrice del libro Le donne del folk. Cantare gli ultimi. Dalle battaglie di ieri a quelle di oggi, Edizioni Interno 4, 2021; coautrice del documentario Cantacronache, 1958-1962. Politica e protesta in musica. Da Cantacronache a Ivano Fossati, edizioni Unicopli
Pubblicato domenica 7 Luglio 2024
Stampato il 16/10/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/terza-pagina/pentagramma/parole-e-note-dal-vento-antico-della-protesta-intervista-a-sandra-boninelli/