Una coppia che, con semplicità ‘contadina’, si è misurata con musica, cinema, teatro e televisione, diventando un patrimonio della nostra terra e della nostra cultura.
Fabio Guerreschi
Il Duo di Piadena, ovvero Delio Chittò e Amedeo Merli, rappresenta una delle manifestazioni più originali di quel fenomeno che unì musicisti e intellettuali di tutta Italia nell’espressione di “folk revival”. Nato dall’impegno di salvaguardare il patrimonio dei canti popolari a rischio sparizione e, insieme, le voci di coloro che erano detentori di quella memoria (anziani, portatori, informatori), è stato un fenomeno culturale e artistico collocabile tra la fine degli anni Cinquanta fino alle soglie degli anni Ottanta. Tra gli anni 60 e 70, in particolare, ha prodotto la gran parte delle esperienze di ricerca, degli spettacoli e delle incisioni discografiche. Tutto questo, in reazione alle trasformazioni economiche, sociali e culturali avvenute nel dopoguerra, contro lo smantellamento di riti e tradizioni popolari in favore della modernità e dei valori della nuova società di massa e in contrapposizione al mercato della canzonetta di evasione.
A partire dalla fine degli anni Cinquanta il clima cultural-musicale in Italia è, infatti, animato da una serie di eventi che conducono, da una parte, alla nascita della canzone d’autore, sulla scia di cantautori come Domenico Modugno e della scuola genovese e, dall’altra, alla riscoperta della tradizione popolare, patrimonio da proteggere e tutelare di fronte ai rischi di scomparsa, derivati dai cambiamenti di un Paese preso nella riconversione di un’economia, da rurale a industriale, con le relative conseguenze: l’abbandono delle terre del Sud, l’immigrazione interna e l’urbanizzazione. Con l’oblio di una cultura nata tra la povera gente, accomunata da un sostrato di storie, leggende, dialetti, melodie e proverbi tramandati oralmente. A raccontare le speranze e le battaglie di un popolo da sempre in lotta contro padroni, miseria e fame.
Pier Paolo Pasolini compone il Canzoniere italiano, antologia dei canti popolari e della poesia dialettale in cui il dialetto, non più lingua di realtà, diventa espressione di poesia; lo scrittore friulano richiama inoltre alla tutela delle tradizioni contro i nuovi fascismi. Stessa operazione che compie Italo Calvino nel ’56, attraverso un recupero delle fiabe tradizionali italiane. Studiosi, operatori e musicisti sono influenzati dalla lettura delle Osservazioni sul folclore di Antonio Gramsci, pubblicate per la prima volta nel volume Letteratura e vita nazionale (1950), dove alla cultura delle classi subalterne sono attribuite concezioni del mondo autonome e antagoniste rispetto alla cultura dominante. L’idea di un folklore come manifestazione di cultura progressista permea fortemente il folk revival italiano, che inizialmente condivide con la canzone sociale e politica i luoghi di elaborazione e proposta.
Una prima esperienza è quella di Cantacronache (Torino 1957-1962), un gruppo di intellettuali composto da Michele Luciano Straniero, Sergio Liberovici, Fausto Amodei, Margot Galante Garrone, Emilio Jona, che unisce alla ricerca e al recupero di canti sociali e di protesta della tradizione contadina e operaia la creazione di nuove canzoni politicamente impegnate. In questa impresa culturale gioca un ruolo importante il Pci con la casa discografica Italia canta.
Il lavoro di Ernesto de Martino, poi, apporta una serie di riflessioni sul ruolo dell’intellettuale. Egli deve operare sulla storicizzazione della cultura popolare, tracciare una strategia politica basata su un uso del folklore che determini un rinnovamento delle politiche culturali della sinistra. A partire dal ’52, sono sue le prime spedizioni etnografiche che rivelano le varie forme espressive del mondo contadino e operaio: i racconti di cronaca popolare, le esperienze di lotta. In queste ricerche lo accompagna l’antropologo Diego Carpitella, negli stessi anni (1953-1954) impegnato in alcune campagne di registrazione sul campo, dall’Alto Adige alla Sardegna, con l’etnomusicologo statunitense Alan Lomax.
Anche le riflessioni di Gianni Bosio sono per la protezione del patrimonio della cultura popolare. Nella sua teorizzazione dell’“intellettuale rovesciato” elabora l’idea che questa figura non debba più essere l’unica a detenere il sapere, diffondendolo dall’alto, ma il suo ruolo diventa quello di apprendere dalla vita reale, quotidiana e popolare, quegli elementi culturali alternativi che la contraddistinguono per restituirla in forme nuove. L’“intellettuale rovesciato” è colui che “si deve armare di magnetofono, andare nelle osterie, nei campi e in qualsiasi posto dove sia intonato un canto sociale o una rappresentazione della cultura popolare e registrarla per consentire alle culture orali di non disperdersi, di non scomparire ma, anzi, di valorizzare in totale autonomia il proprio patrimonio storico” (da Il Duo di Piadena).
In questi stessi anni, che vedono l’affermazione delle voci femminili di Caterina Bueno in Toscana, di Luisa Ronchini in Veneto, di Giovanna Daffini in Emilia, di Maria Carta in Sardegna, di Rosa Balistreri in Sicilia e di quelle maschili di Otello Profazio in Calabria, di Matteo Salvatore in Puglia, di Franco Trincala, dalla Sicilia a Milano, ha inizio anche la parabola artistica del Duo di Piadena, nato nell’estremo sud-est lombardo, lungo il corso del fiume Oglio, sul confine tra le province di Cremona e Mantova.
Si avvia con le esibizioni da cantori dilettanti nelle osterie del Cremonese, per poi raggiungere il culmine di un successo che li vede impegnati nelle collaborazioni importanti con il Nuovo canzoniere italiano, con Dario Fo, alle prese con incisioni memorabili. Versioni fedeli alla tradizione e poi via via sempre più reinterpretate, dei canti della povera gente della Bassa padana: mondine, cavallanti, braccianti, stallieri, scariolanti, operai nelle fabbriche, filandere. Una parabola che li vede a teatro, al cinema, negli studi di registrazione delle case discografiche e nelle trasmissioni televisive come “Canzonissima” del 1974, vetrina di un folk che irrompe nella cultura di massa e sembra perdere la sua autenticità.
Ricercatori, interpreti di canti rinvenuti nella zona sud-orientale della Lombardia, ma che si è poi allargata all’area della Bassa padana, una ideale “valle del Po”: di questi due protagonisti della storia della canzone popolare parlano con grande accuratezza Alessandro Bratus, Maurizio Corda, Fabio Guerreschi e Fabio Maruti nella pubblicazione “Il Duo di Piadena. Dalle osterie alla televisione” (Edizioni Fantigrafica), raccontando i risvolti di una carriera partita dal basso, costruita attraverso lo studio della musica popolare, la pratica e l’esperienza sul campo, e giunta al successo discografico con una rivisitazione della tradizione, indirizzata a un’ampia diffusione commerciale.
Delio Chittò, nato a Torre de’ Picenardi nel 1944, conosce la musica da molto piccolo: l’ha studiata il padre Pietro che, nel periodo della leva, suona la tromba nell’esercito; poi nella banda musicale della ditta Pinelli di Milano – dove ha lavorato per diverso tempo –, e nella banda musicale di Torre de’ Picenardi. Fino alle esibizioni professionali in diverse orchestre tra cui la celebre “Gallo” di Rivarolo Mantovano. Il nonno di Delio, Giuseppe Chittò, invece, suonava il trombone, mentre lo zio del padre di Delio si esibiva con il violino nelle feste di paese e nelle osterie. Delio si innamora subito della tromba, incoraggiato dal padre che intende iscriverlo al conservatorio. Ma quando il destino sembra già tracciato, ecco che Delio, scopre il mandolino, strumento anch’esso presente in casa. È il padre a insegnargli le basi tecniche che Delio continuerà ad approfondire da autodidatta negli anni a seguire. Così, la musica non manca nelle giornate del giovane, anche ora che deve trovare la sua strada. Finita la scuola dell’obbligo, il mondo del lavoro gli offre occupazioni precarie, come raccoglitore di foglie per i bachi da seta, muratore, garzone, operaio nella fabbrica Busatti a Milano. L’impiego stabile arriva poco dopo: operaio nella ditta metalmeccanica dei Fratelli Bianchi di Piadena, dove conoscerà l’altra metà del duo, Amedeo Merli, operaio pure lui.
Anche per Amedeo Merli (1939), di Pozzo Baronzio, frazione di Torre de’ Picenardi, la musica non è un mondo sconosciuto e nell’infanzia ne viene presto a contatto grazie al padre, suonatore di mandolino e chitarra durante le feste parrocchiali, e voce tenorile presso la Schola Cantorum di San Lorenzo. Ma il mondo musicale di Amedeo, più che dalla polifonia sacra in cui eccelle il padre, prende forma dall’ascolto della musica leggera suonata nelle balere, dove le prime band musicali, con il rock e le canzonette, fanno ballare i giovani al ritmo di batteria e basso. Ma è la chitarra che lo attrae. E così ne impara la tecnica anche osservando i musicisti sul palco e le loro dita che corrono sul manico dello strumento a creare gli accordi. La passione è tanta e anche il talento. Sembra che la musica sia davvero la sua strada e Amedeo per qualche tempo prende lezioni. I pochi guadagni delle occupazioni saltuarie nei campi, però, non bastano a pagare l’intero corso, che è costretto a sospendere. Solo al termine della scuola di saldatura, l’assunzione alla ditta dei Fratelli Bianchi è garanzia di un’entrata più certa. Ma è soprattutto l’occasione dell’incontro fondamentale con Delio.
Nel 1962 Dario e Amedeo sono fianco a fianco nello stesso turno in fabbrica ed è durante il lavoro che cominciano a cantare insieme. Li ascoltano gli operai, li ascoltano i padroni, li ascolta la gente per strada: sono il loro primo pubblico. La svolta artistica è segnata da un altro incontro, quello con Sergio Lodi di Piadena, fratello di Mario, che fa esibire Delio al locale “La Capannina” di Isola Dovarese. Ben presto, questo piccolo nucleo di appassionati si allarga a comprendere Bruno Fontanella e Amedeo. L’idea è quella di costituire il Gruppo padano di Piadena, con l’intendo di salvare quel ricco repertorio di canti, patrimonio orale della cultura popolare di un territorio che più di altri subiva, negli anni del dopoguerra, gli effetti delle trasformazioni economiche, e dello sviluppo industriale.
Luogo di incontro è la biblioteca di Piadena, in cui si passa dall’ascolto delle registrazioni di coloro che per primi avevano avviato la medesima ricerca in Italia: Sandra Mantovani, Sergio Liberovici, Fausto Amodei, alle prove musicali di quei canti rinvenuti. In questi incontri c’è anche Mario Lodi, maestro elementare e pedagogista, fondatore della “Casa delle arti e del gioco”; a lui si deve la grande rivoluzione in campo pedagogico, basata sull’idea che i bambini siano per loro natura portatori di cultura. Una cultura che è il risultato di una esposizione ai valori del mondo rurale, da affinare attraverso una attività continua di ricerca e valorizzazione delle espressioni orali, come anche del canto popolare.
Amedeo e Delio si convincono della validità dell’impresa ed entrano ufficialmente nel Gruppo padano. Di qui la partecipazione alle capillari operazioni di ricerca di fonti orali, sul campo: tra le campagne, nelle vigne, e soprattutto nelle osterie. Qui vengono rinvenuti i canti della gente comune: lavoratori, militari, sbandati, inventati per raccontare episodi di vita quotidiana di una comunità, come un litigio o un amore contrastato, un licenziamento, una lite, la nascita di un figlio.
“Per gli uomini di quel tempo – scrive Mario Lodi in “Il paese sbagliato: diario di un’esperienza didattica” – l’osteria era un’altra famiglia, dove essi andavano ogni sera (…) per cantare canti che essi stessi creavano e diffondevano di paese in paese (…). I canti d’osteria del tempo dei nonni hanno una bellezza e una dignità incomparabili: (…) nascevano dal gruppo, nel vivo di un problema. (…) cantavano ogni aspetto della vita umana: la nascita e la morte, l’amore e la guerra, la rassegnazione e la protesta, il gioco e la fede”.
I cantori del Gruppo padano, quindi, in veste di ricercatori ed etnomusicologi, passano di osteria in osteria con il registratore sempre acceso per raccogliere una melodia, un ritornello improvvisato nato in quell’atmosfera di divertimento collettivo, dalla partecipazione di persone che, mosse dal canto, rievocano i momenti belli e brutti della loro vita e da queste ricerche esce presto un repertorio.
Cremona, Sala delle cooperative, aprile 1964: prima esibizione ufficiale del Gruppo padano con lo spettacolo “L’Italia l’è malada”. In sala, tra il folto pubblico, c’è Gianni Bosio, direttore delle edizioni “Avanti”, studioso di tradizioni popolari. È così colpito dalla performance del gruppo da coinvolgere i musicisti nel primo spettacolo di canzoni popolari a tema politico, con la regia di Filippo Crivelli, ricerche a cura di Roberto Leydi e dello stesso Bosio. Si tratta di “Pietà l’è morta. La Resistenza nelle canzoni 1919-1964” che debutta al Teatro Regio di Parma quell’anno.
Il Gruppo di Piadena entra così a pieno titolo nel contesto del folk revival, attirando l’attenzione degli studiosi, etnomusicologi che in quegli anni riflettevano sul valore del patrimonio popolare. All’interno di movimenti culturali come il Nuovo canzoniere italiano, nell’ambito di pubblicazioni ed edizioni discografiche con l’ambizione di valorizzare i repertori locali fino a poco tempo prima relegati a feste di paese, piazze, cortili, aie e stalle. Agli eventi tradizionali legati al lavoro con i riti stagionali del mondo rurale: la raccolta, la semina, la vendemmia; alle cerimonie private e pubbliche, riti di passaggio nella vita delle persone: i battesimi, i matrimoni, le morti, le partenze, gli addii, i ritorni. Il Gruppo di Piadena trova grande riconoscimento in questo contesto, perché composto da operai, quindi autentici rappresentanti di cultura popolare: portatori, oltre che ricercatori di canti tradizionali.
Le prime proposte di incisione arrivano dalla casa discografica I dischi del sole per la realizzazione di 33 giri a cura di Roberto Leydi dedicati alla canzone folk. Tra questi “I Canti del lavoro” nelle varie edizioni; i “Canti della Resistenza italiana” in cui interpretano canti come Con la guerriglia,
Marciam marciam,
Il canto dei deportati.
Si infittiscono le partecipazioni ai concerti che vedono il gruppo impegnato in una tournée in varie parti d’Italia fino all’inaspettata chiamata a Milano per le prove dello spettacolo “Bella ciao”, da un’idea di Leydi e Crivelli. Racconto di un’Italia in miseria, evocata dalla voce della povera gente, va in scena nel 1964 al Festival dei due mondi di Spoleto. Lo spettacolo, per le proteste sollevate, avrà così tanta eco da restare nella memoria come uno spartiacque. Da qui il folk revival si imporrà nelle cronache giornalistiche e televisive. Da qui diventerà un fenomeno culturale e artistico da richiamare l’attenzione di un pubblico sempre più vasto, interessato agli spettacoli, ad acquistare dischi, appassionato a quel mondo autentico e ormai dimenticato, riportato in vita dalle canzoni.
Un mondo che tornerà in scena nelle edizioni ’65 e ’66 del Festival folk di Torino, manifestazione a cui prende parte anche il Gruppo padano. L’Istituto Ernesto de Martino, nato poco dopo a Milano, diventerà punto di riferimento di studiosi, appassionati musicisti e etnomusicologi, mossi dall’intento di salvaguardare, ricercare e diffondere la cultura orale.
In questo contesto si concretizza presto l’idea di un nuovo spettacolo, costruito sui canti della tradizione popolare: “Ci ragiono e canto”, affidato alla regia di Dario Fo. Spettacolo che si propone di far conoscere le condizioni del mondo degli umili attraverso i repertori provenienti da tutta Italia, con il Gruppo padano a rappresentare il territorio lombardo. Lo spettacolo si chiude con un canto originale, nato sulla metrica di una canzone tradizionale toscana cantata da Caterina Bueno, a cui si aggiungono le invenzioni di tutti gli interpreti, in primis Dario Fo ed Enzo Jannacci, fino alla messa in musica, con l’accompagnamento chitarristico di Paolo Ciarchi. Si tratta di quel capolavoro di ironia e protesta sociale che è Ho visto un re. Canzone popolare “finta” in cui la voce narrante dei contadini sottolinea come tutti i potenti toccati nei loro interessi, si disperino e piangano. I popolani, invece, anche quando deprivati dei beni essenziali, ridono perché il loro “pianger fa male al re fa male al ricco e al cardinale diventan tristi se noi piangiam”.
Enzo Jannacci con il coro di Cochi e Renato
La prima dello spettacolo va in scena al Teatro Carignano di Torino nel 1966, per poi girare l’Italia in una lunga tournée che vede Delio e Amedeo sempre presenti. Questo impegno, però, sarà causa di licenziamento dalla ditta Bianchi per le troppe assenze. Senza lavoro i due, alla ricerca di una nuova possibilità nel mondo dello spettacolo, tramite Dario Fo ed Enzo Jannacci, approdano come duo artistico al Derby Club di Milano, laboratorio in cui si sperimenta una nuova forma di espressione artistica: il cabaret. Qui spiccano artisti come Lino Toffolo, Cochi e Renato, Diego Abatantuono, per citarne alcuni, che prenderanno poi la strada del successo anche televisivo. E proprio su questo palcoscenico, presentati da Lino Toffolo, Amedeo e Delio diventano ufficialmente il Duo di Piadena, con un repertorio ormai consolidato di canzoni popolari. Tra queste: La bella la va al fosso,
e Il cacciatore nel bosco.
Sempre qui nascono anche opportunità discografiche. Grazie all’incontro con Luisa De Santis – in scena al Derby con Anna Casalino – i due ricevono la proposta di registrare un disco a Roma, a cura di Franco Fontana, produttore e organizzatore di eventi musicali. “Folk Italia” nasce dall’idea di esportare il folklore italiano all’estero, ai tanti italiani emigrati negli Stati Uniti. A Roma, poi, l’ambiente musicale è animato da personalità come il giornalista e cantautore Leoncarlo Settimelli, fondatore del Canzoniere internazionale, che li coinvolge nelle serate al Folkstudio, centro propulsore della musica a 360 gradi, club nel quale si esibiscono tutti i più grandi folksinger, i nuovi cantautori, le voci più innovative della canzone italiana e straniera.
Così, un’esibizione dopo l’altra, il duo ha l’occasione di essere ascoltato e apprezzato. Anche da un impiegato della casa discografica Tank Records, fondata dalla famiglia Campi (la stessa della rivista “TV Sorrisi e Canzoni”), che propone ai due di partecipare alla realizzazione di un disco. Si intitolerà “Canzoni della Pianura Padana”, un 33 giri edito nel 1967, composto di brani tradizionali. Tra questi La mia mama l’è vecchierella, registrato in un’osteria di Torre de’ Picenardi, tra i canti più diffusi in provincia di Cremona, intonato anche dalle mondine di Villa Garibaldi e di Castelnuovo Gherardi. Racconta la vicenda della “bevanda sonnifera” in cui un cavaliere incontra una giovane alla fontana e le offre denaro in cambio di una notte d’amore. La ragazza acconsente ma addormenta il cavaliere con una bevanda. Al risveglio egli vuole indietro il suo denaro.
http://www.youtube.com/watch?v=MBiasbMfkNo
Altro brano di tradizione popolare è la Filastrocca della fune, utilizzata per insegnare ai bambini i nomi della settimana.
Pellegrin che vien da Roma, ascoltata dai due a Torre de’ Picenardi, racconta di un pellegrino che chiede ospitalità a un oste. Questi gli offre la camera in cui dorme la moglie, certo dell’onestà del giovane che, invece, approfitta della donna.
Oltre ai tradizionali troviamo il brano originale I parrucchê di Leoncarlo Settimelli.
Diverse sono le trasmissioni radiofoniche e televisive che, dopo questa prima produzione discografica, ospitano Delio e Amedeo. Come “Speciale per voi” condotto da Renzo Arbore e “15 minuti con” condotto da Maria Giovanna Elmi.
Il cinema, non da meno, offre loro importanti opportunità: partecipano a Lo sbarco di Anzio, al fianco di un attore come Peter Falk e in altri film, per la regia di grandi autori, tra cui Pietro Germi e Luciano Salce.
Al 7X8 57, locale romano molto frequentato, il Duo è in scena nello spettacolo “90 Buoni motivi”. Insieme ad altri artisti, come gruppo “I Cantastorie”, Delio e Amedeo partecipano poi nel 1968 allo spettacolo “Liolà” di Pirandello, riletto in chiave musicale con la partecipazione di Domenico Modugno. Un grande successo replicato in tutta Italia, perfino negli studi della Bbc di Londra. Poco dopo, sempre per la Tank Records, nel 1969, esce “Il Po e l’Emilia del Duo di Piadena”, mentre ristampe della prima registrazione sono riproposte dalla casa discografica Amico con titolo di “I canti del Po”, volume 1 e 2. Un brano qui inciso Teresina imbriaguna, ascoltata da Giovanna Daffini, ristampato poi con il titolo di Quant’è bella l’uva focarina, diventa la sigla della trasmissione “Alto gradimento”, portando il gruppo a un primo vero successo.
Per il Duo gli anni Settanta sono segnati dai maggiori riscontri, sia in campo discografico che televisivo e teatrale. Tra le collaborazioni più importanti in teatro non si può non citare la partecipazione a “L’ingiustizia assoluta”, con il Canzoniere internazionale, spettacolo di Emilio Jona e Sergio Liberovici con la regia di Massimo Castri. E le esibizioni all’estero, a Mosca, San Pietroburgo, in Armenia.
In seguito al successo della canzone I crauti, ascoltata da Fausto Amodei, uno dei primi brani surreali della storia della canzone, il Duo viene coinvolto nella realizzazione di nuove registrazioni a 33 o 45 giri, a partire dai brani più popolari.
Nel 1971 esce il 33 giri “Le canzoni del grande fiume” per la Amico, che include canzoni tipiche di un’area molto estesa, dal Piemonte al Veneto, di cui si tenta di ricostruire una uniformità sonora e si raccontano le vicissitudine dei lavoratori precari. Compaiono, infatti, canti come Gli scariolanti, braccianti che viaggiavano la notte tirandosi dietro la loro carriola fino alle rive di un fiume dove venivano assunti per la costruzione degli argini.
http://www.youtube.com/watch?v=Fh4NB6GpQC8
O i Canti della boara, intonati dai bovari e dai lavoratori della campagna. Il successo li porta di nuovo a esibirsi in televisione, ospiti del famoso programma di varietà ideato da Renato Pozzetto, Cochi Ponzoni, Enzo Jannacci e Ludovico Peregrini.
Le successive esperienze discografiche sono targate Fonit Cetra che seguirà tutte le pubblicazioni del Duo inserendo il loro repertorio nella collana “Folk” diretta da Giancarlo Governi. Vengono prodotti in questi anni “Il vento fischia ancora” (1974), in cui prevalgono canti politici e sociali di carattere nazionale e canti resistenziali. Da Fischia il vento,
a La Badoglieide
e Pietà l’è morta,
Festa d’aprile,
Il partigiano di Pozzaglio,
Dalle belle città,
fino a una personale versione di Bella ciao.
Con l’eccezione di Per i morti di Reggio Emilia, canzone originaria di Fausto Amodei, scritta successivamente, di cui il Duo propone una solenne rilettura.
L’album “Meglio sarebbe” (1975), dal tiolo di un canto imparato dalla nonna di Delio, Ersilia Vanini, raccoglie la gran parte delle canzoni tradizionali del Duo.
http://www.youtube.com/watch?v=BvTwMKPuwjU
Meglio sarebbe nella versione live a “Canzonissima” del 1974.
Come Le carrozze son già preparate, canto in cui la protagonista, costretta a sposarsi da bambina, vive una prima notte di nozze tormentata. Diverse le versioni che vedono la sposa farsi monaca oppure suicida mediante il veleno. Tra gli altri canti anche il tradizionale La treccia bionda.
“Maledetta la guerra e i ministri” (1976), è una raccolta di canti della Prima guerra mondiale. Tra questi Addio padre e madre, Oh Gorizia, Fuoco e mitragliatrici, appreso dallo spettacolo “Ci ragiono e canto”.
L’arrangiamento e la proposta musicale, sempre più affidata a produttori, editori, discografici, con l’inserimento importante della fisarmonica, si caratterizzerà per un sound segnato dall’influenza del ballo liscio emiliano e della balera, rendendo più accessibile e probabilmente anche “vendibile” il prodotto folk più artigianale. Più popolare, indirizzato quindi a un più vasto circuito commerciale che, nelle ultime fasi della carriera del Duo, ha il suo culmine nella realizzazione del compact disc “Meglio sarebbe” del 1989. Negli anni Novanta Delio e Amedeo appaiono nel film di Neri Parenti Fantozzi alla riscossa e calcano il palcoscenico del Festival di Sanremo dove si esibiscono al fianco di Renato Pozzetto in parodie e canzoni come Piove, Vola colomba, Ho visto un re.
Nel 2010 sono di nuovo in scena sul palcoscenico del Teatro Monteverdi di Cremona. Intervistati da Maurizio Corda e Fabio Maruti nel 2015 e nel 2016 ricordano con toni divertiti più che malinconici la loro avventura musicale. Straordinaria, al pari di quella di Giovanna Daffini, mondina salita sui maggiori palcoscenici a rappresentare le lotte delle donne e delle lavoratrici sfruttate. Delio e Amedeo, dalla fabbrica e dalle osterie, diventati professionisti della canzone, hanno portato in televisione e in teatro le storie e le voci della gente umile, contadina e operaia, della Bassa Padana. Un ritratto indelebile di una comunità che, nei campi, in risaia, nelle osterie di paese, nelle officine, non ha mai smesso di cantare.
Dal Quotidiano “La Provincia di Cremona” la reunion del Duo di Piadena, a Villa Somma Picenardi, nel giugno 2018, poco prima della scomparsa di Delio Chittò.
Chiara Ferrari, coautrice del documentario Cantacronache, 1958-1962. Politica e protesta in musica, autrice di Politica e protesta in musica. Da Cantacronache a Ivano Fossati, edizioni Unicopli
Pubblicato sabato 15 Maggio 2021
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