“Tutto è stato fatto secondo le regole del diritto canonico”, afferma con voce sicura padre Pier Gaetano Feletti, l’inquisitore processato per rapimento a Bologna nel 1860 (ma poi assolto per aver eseguito un ordine superiore). Il reato contestato ci proietta indietro nel tempo nella città liberata dal giogo dello Stato Pontificio e immessa nel Regno d’Italia. Si tratta del rapimento del piccolo Edgardo Mortara di famiglia e religione ebraica battezzato cattolico a sei mesi, di straforo, da una domestica. La ragazza campagnola è stata convinta da qualcuno che il bimbo privo di battesimo in caso di morte sarebbe finito nel limbo. E vuole salvarlo a modo suo all’insaputa della famiglia con un breve rito casereccio. La notizia giunta in seguito alle orecchie dell’inquisitore scatenerà la decisione di prelevare il piccolo per convertirlo secondo la regola che ogni battezzato diviene per sempre cristiano. L’azione era approvata dal Pontefice Pio IX.

Ancora un ratto dunque nella ideazione di Bellocchio. Non più di origine familiare o terroristica ma questa volta a opera del potere temporale della Chiesa.

Il regista Marco Bellocchio (Imaeconomica)

Il regista ci sprofonda subito nell’ombra che avvolge i fatti, alternata a brevi lampi di luce. Un’atmosfera drammatica dagli echi pittorici e letterari risorgimentali. È la sera del 23 luglio 1823. L’arrivo improvviso in casa Mortara dei gendarmi su ordine della santa Inquisizione sconvolge la quiete familiare e le preghiere serali. Nessuno di loro crede possibile questo abuso. Il bimbo di sei anni ha paura, piange. I genitori Marianna e Salomone cercano di opporsi e rinviare almeno la partenza, ma per poco. Una carrozza scura lo porterà via, lontano, a Roma e sarà affidato a un collegio per una formazione cattolica.

Papa Pio IX

Lo stesso papa Pio IX si appropria del salvataggio di quella piccola anima giudaica. Il padre cercherà aiuto, si appellerà all’opinione pubblica europea ormai vincente contro le pastoie clericali. Del rapimento se ne parla nel mondo, fa scandalo, ma i tentativi falliscono. Il Papa è irriducibile, è in gioco il potere della Chiesa e i suoi principi racchiusi nella sigla “non possumus”.

La copertina del libro di Scalise che ha ispirato Bellocchio

Salomone avvilito si contenta di strappare qualche raro colloquio col figlio. La madre non cessa di combattere e irrompe con irruenza in un incontro con disperata energia ma peggiora la situazione. Edgardo sbattuto tra gli antichi affetti e la presa dei nuovi tutori.

Inserito negli studi teologici, vedrà gradualmente  manipolata la sua identità fino alla scelta del sacerdozio. Appare alla fine strenuo  difensore della salma del Papa durante il funerale tumultuoso in cui c’è chi vuole gettarla nel Tevere. Eccolo sul letto di morte della madre, anteporre il nuovo credo all’ultima implorazione materna, radicata nel suo ebraismo. Il giovane è ormai convinto dagli insegnamenti ricevuti, la Chiesa è la sua casa.

L’episodio vero e tutta la vicenda sono di un altro secolo. Lo è il duro antisemitismo della Chiesa di Roma che impiegò molto tempo a rarefarsi stroncato in alto, ma inoculato dalle parrocchie nelle vene della società, nella semplicità contadina e nei pregiudizi, combattuto dal liberalesimo, dal Risorgimento e dal pensiero socialista. Ormai però superstite nei  luoghi comuni. Per esempio nello spauracchio del limbo. Nel senso di colpa, nelle dicerie granguignolesche dei sacrifici di bambini. Neppure oggi purtroppo il virus può dirsi del tutto estirpato.

Una scena del film

Il film ha una incredibile forza d’urto stilistica. Grazie ai  primi piani, all’avvolgente oscurità dai contrasti caravaggeschi, apporto dello scenografo di qualità Andrea Castorina e del vigore della fotografia narrativa di Francesco Di Giacomo, che esprime le  tenebre dell’oscurantismo.  Il sonoro monotono è significante, come la musica suggestiva di Fabio Massimo Capogrosso. Il montaggio di Francesca Calvelli e Stefano Mariotti ha il giusto dinamismo dialettico. Indovinata la sfilata delle preghiere contrapposte di diversa fede e tono, intrecciate con lucida ironia. Divergono mentre  Dio è sempre  lo stesso.

Il giovane attore Enea Sala

Meritano un applauso particolare gli  attori. Spicca anzitutto nel narrato il piccolo Enea Sala, un Edgardo verosimile spaurito e turbato dal cambiamento di vita. Forte interpretazione quella di Paolo Pierobon nei panni di un Papa controverso, che suscitò a suo tempo illusioni e contestazioni. Infatti, ora mellifluo e diplomatico, ora difensore dispotico di regole immutabili del potere, offre una ricostruzione  nuova  e sottilmente perfida ai nostri occhi, abituati ai suoi ritratti sornioni. Assistiamo alle sue minacce verso il capo della comunità ebraica romana. Se non la smettono di rivendicare il piccolo Edgardo, farà risigillare la porta del ghetto e costringerà gli ebrei a tornare nel loro “buco”. Punirà il gesto inconsulto contro di lui di Edgardo obbligandolo a tracciare tre croci con la lingua sul pavimento secondo metodi clericali diffusi.

L’attore Fabrizio Gifuni, nel film di Bellocchio recita la parte dell’inquisitore. (Imaeconomica, Carlo Lannutti)

Perfetto anche Fabrizio Gifuni nella figura di Feletti, tetragono inquisitore, e Filippo Timi nel bellicoso cardinale Antonelli. Esplosiva e commovente Barbara Ronchi presenza ribelle nei panni materni. Adeguato, Fausto Russo Alesi, un Salomone fragile e impotente contro lo strapotere dominante. Convincente anche Edoardo Maltese che interpreta i molteplici travagli di Edgardo adulto.

Grazie a Bellocchio per aver scoperchiato con coraggio una pagina nera della Storia ed esposto all’indignazione un ritratto ecclesiale grottesco contrario alla fraternità evangelica. In genere questi argomenti restano sottaciuti e volutamente obliati. Si è molto parlato dell’antisemitismo nazista ma è utile anche vedere dove questo ha pescato e quali sono le origini storiche della persecuzione secolare degli ebrei senza assoluzioni per la Chiesa. Il film che nasce anche da intimi tormenti della giovinezza del regista fa scorrere nelle sequenze uno stimolo positivo all’abbattimento delle barriere religiose e di pensiero. Si scaglia contro le faziosità di parte contro i dogmatismi indiscutibili e coercitivi  che soffocano la libertà della persona umana e la ricchezza del pluralismo. Mi meraviglia che non se ne siano accorti a Cannes.

Serena d’Arbela, giornalista e scrittrice