La targa posta dalle associazioni della Resistenza italiana e slovena sulla spalletta della passerella che attraversa il fiume Bača

Una passerella in legno, sostenuta da vecchi cavi d’acciaio, attraversa le cristalline e fredde acque del fiume Bača in Slovenia nel Comune di Tolmino. I verdi boschi scoscesi e i prati brucati da pecore e vacche danno una sensazione di pace bucolica.

Eppure questo luogo è testimone di un fatto tragico per la Resistenza friulana. Fu un agguato, accadde nel durissimo inverno ’44-45, il 2 gennaio del nuovo anno.

L’iniziativa era in calendario lo scorso marzo (le temperature del luogo non permettono celebrazioni durante l’inverno) ma a causa del lockdown in entrambi i Paesi è stata rimandata all’estate.

Il 29 agosto sulla passerella del fiume Bača è stata scoperta una targa in ricordo dei 17 Caduti della Brigata “Guido Picelli” della Divisione d’Assalto “Garibaldi-Natisone”.

Da sinistra: il compianto dirigente dell’Anpi Friuli-Venezia Giulia, Elio Nadalutti, scomparso il 21 ottobre scorso, con Vojko Hobič, presidente ZZB-NOB Caporetto

Le nostre associazioni, ANPI e ZZB-NOB, come dimostrano i fatti e le iniziative comuni che sempre più frequentemente organizziamo, guardano avanti.

Guardiamo avanti nonostante le continue polemiche che ci colpiscono nei rispettivi Paesi.

Guardiamo avanti per proporre un’Europa unita che abbia come priorità la pace, il rispetto della dignità umana, la giustizia sociale e la tutela del nostro pianeta.

Guardiamo avanti perché abbiamo coscienza delle ingiustizie e dei problemi derivanti dalla globalizzazione capitalista e dalle sue sempre più frequenti e devastanti crisi cicliche e delle enormi ingiustizie sociali che ne conseguono.

Allo stesso tempo abbiamo coscienza del passato e rivendichiamo le scelte fatte dai nostri partigiani: i loro sacrifici si sono concretizzati in repubbliche e costituzioni democratiche purtroppo, queste ultime, per tanti versi disattese.

Da sinistra: il presidente ZBB-NOB, Rok Ursič, e il presidente del Comitato provinciale Anpi di Udine, Dino Spanghero

Oltre cento persone, sloveni e italiani, si sono ritrovate in occasione dell’inaugurazione, nonostante il tempo inclemente. La targa è opera della collaborazione tra ANPI e ZZB-NOB e della disponibilità dell’amministrazione comunale di Tolmin/Tolmino.

A prendere la parola sono stati il vice sindaco del Comune di Tolmin/Tolmino, Tomaž Štenkler, il presidente della ZZB-NOB di Bovec/Plezzo, Kobarid/Caporetto, il presidente di Tolmin/Tolmino, Rok Uršič, e il vice presidente della sezione Anpi di Cividale del Friuli. Nel corso della manifestazione si sono esibiti i cori sloveno, “Coro di Tolmin”, e italiano, “Coro sociale di Trieste”.

La passerella è un ponte, è simbolo di incontro, di scambio e maggiormente la prendiamo a simbolo di questa giornata di fratellanza e di unione di popoli.

Un momento della commemorazione

La storia dell’agguato nazifascista alla passerella sul fiume Bača, gli antefatti 

Le vicende legate alla lotta di Liberazione nell’area del Friuli orientale, a far data dall’estate del 1944, evidenziano il rafforzamento delle formazioni partigiane, il concretizzarsi dei tentativi di collaborazione tra le diverse anime della Resistenza italiana, il consolidamento dei rapporti tra le formazioni garibaldine e le formazioni appartenenti all’Osvobodilna Fronta (l’organizzazione politica della Resistenza slovena, fondata già nel 1941 a fronte dell’aggressione dei Paesi dell’Asse al Regno di Jugoslavia). In quell’estate ’44, si realizzano nella regione due importanti Zone libere sotto il controllo partigiano (Carnia e Friuli orientale).

La Zona d’operazioni del Litorale adriatico: era posta sotto diretta amministrazione tedesca

Dopo vent’anni di dittatura fascista, queste aree, oltre a realizzare un’amministrazione democratica, costituiscono, sul piano militare, una vera e propria spina nel fianco per le forze di occupazione germaniche (ricordiamo che, successivamente all’armistizio, Trentino Alto Adige, Veneto settentrionale, Friuli e Venezia Giulia vennero annessi al Terzo Reich).

Per stroncare la Resistenza costituita dalle Zone libere, i nazifascisti, approfittando della decisione alleata di fermarsi lungo la Linea Gotica e del successivo “Proclama” del comandante in capo delle forze alleate nel Mediterraneo, il generale Harold Alexander, che il 13 novembre ’44 sostanzialmente invitava i partigiani a smobilitare in attesa della primavera, poterono impiegare ingenti risorse di uomini e materiali. Ma già a fine settembre 1944 misero in atto una violenta offensiva.

La Zona libera del Friuli orientale (da http://www.nonsolocarnia.info/la-zona-libera-del-friuli-orientale-ed-il-comando-unico-bolla-sasso/)

Le formazioni partigiane che presidiavano la Zona libera del Friuli orientale, slovene e italiane (garibaldini e osovani), dovettero soccombere alle preponderanti forze nemiche le quali scatenarono una violenta repressione contro la popolazione, incendiando anche numerosi paesi della zona.

Le formazioni partigiane, molto provate dai combattimenti avvenuti nei mesi finali del 1944 e ulteriormente segnate dalla divisione ideologica nuovamente emersa tra comunisti e cattolici dopo la caduta della Zona libera del Friuli orientale, si trovarono di fronte all’alternativa: abbandonare la lotta o continuarla con le poche risorse a disposizione.

C’è da dire che per i partigiani anche un eventuale rientro nelle proprie case era praticamente impossibile: data la divisione dell’Italia determinata dai combattimenti, per la maggior parte dei combattenti di origine meridionale era impresa impensabile; così per i comandanti delle formazioni (alcuni dei quali già avevano scontato anni di carcere e di confino comminati dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato e rischiavano l’immediata fucilazione). Per tutti gli altri, l’alternativa era schierarsi con i fascisti o la deportazione nei campi di concentramento in Germania.

Una situazione che lo storico Spriano così sintetizza: “L’atteggiamento verso l’Italia, in Churchill è strettamente connesso a quello verso la Grecia e in generale l’area mediterranea, in chiave anticomunista. (…). L’Italia, come nazione, come Stato è sempre considerata un Paese vinto. I vincitori hanno diritto di dettare ad essa le loro condizioni (Paolo Spriano, Storia del Partito Comunista Italiano, volume V, Einaudi, Torino 1975, p. 422 e p. 425)”.

Gino Lizzero “Ettore”. Dopo il trasferimento della Divisione “Garibaldi Natisone” in Slovenia, fu nominato Capo di Stato Maggiore della Divisone d’Assalto “Garibaldi-Natisone” , considerata la più grande formazione partigiana della Resistenza italiana

L’agguato del due gennaio 1945

Furono 17 i partigiani Caduti, gli altri 23 vennero deportati in Germania.

I comandanti delle formazioni Garibaldi, d’ispirazione socialista e comunista, avevano da tempo instaurato rapporti con i capi della Resistenza slovena e croata (nata fin dall’attacco nazista alla ex Jugoslavia nel 1941). Le popolazioni rappresentavano minoranze all’interno dell’allora Regno d’Italia e nel periodo della dittatura fascista, erano state oggetto di un durissimo e spietato processo di snazionalizzazione forzata (proibizione della lingua, cambio dei cognomi, esproprio delle proprietà, cambio della toponomastica, tra i vari esempi). La cooperazione tra comandanti sloveni, croati e italiani fu costruita all’insegna della lotta comune ai nazifascisti, nonostante non ci fosse una totale convergenza su alcune questioni, tra cui il futuro assetto dei territori dopo la Liberazione.

Inoltre ragioni di carattere militare imponevano alle formazioni garibaldine la necessità di attraversare il fiume Isonzo per mettersi alle dipendenze operative del IX Korpus sloveno dell’Esercito di Liberazione jugoslavo. Tale operazione fu approvata dal CVL. Le formazioni in generale, ma quelle italiane in particolare, si dibattevano in difficoltà logistiche legate all’approvvigionamento di cibo e vestiario (si preannunciava un rigido inverno e le formazioni erano ancora in tenuta estiva).

A conti fatti, la situazione non migliorò in modo sostanziale con il passaggio dell’Isonzo, ma permise alle formazioni della Divisione d’Assalto Garibaldi-Natisone di sopravvivere all’inverno 1944-45 e di mantenere la propria capacità offensiva fino alla Liberazione.

Al centro della foto, Mario Fantini “Sasso” comandante della Divisione Garibaldi Natisone con alcuni dei suoi uomini qualche giorno dopo la liberazione. Dall’archivio fotografico dell’Anpi Udine

Il 9 maggio 1945 la formazione partigiana parteciperà alla liberazione della capitale slovena, Lubiana, e farà rientro in territorio italiano solo il 20 maggio 1945.

In ottemperanza quindi con quanto concordato con il CVL e con il comando sloveno, il 24 dicembre 1944 tutti i reparti della Divisione iniziarono la marcia oltre l’Isonzo per entrare nella zona operativa del IX Corpo d’Armata jugoslavo.

La prima formazione ad attraversare il fiume fu la 156ª Brigata “Buozzi”. Il diario storico della Divisione così descrive l’operazione: “La marcia viene condotta in condizione di equipaggiamento pietoso e con una temperatura eccezionalmente bassa. Il reparto è costretto a lasciare lungo il percorso diversi compagni privi di calzature. Il grosso della brigata raggiunge la meta senza alcun incidente dopo aver guadato l’Isonzo e il Baccia (Bača, ndt)”.

La seconda formazione fu la 158ª Brigata “Gramsci”. Riferisce il diario storico: “A Selo la colonna è attaccata di sorpresa e si perdono 3 muli con materiali e viveri. Prima che i nostri prendano posizione per reagire, il nemico si ritira. La brigata raggiunge la meta senza perdite”.

L’ultima formazione fu la 157ª Brigata “Picelli”. Ancora dal diario storico operativo della Divisione d’Assalto Garibaldi-Natisone: “La dura marcia viene effettuata dalla Brigata nelle medesime condizioni delle altre e procede senza incidenti fino a Selo. Al passaggio del Baccia (Bača, ndt), la notte di Capodanno, il nemico, che le due notti precedenti aveva avuto sentore del movimento della Divisione, aveva sistemato in tempo numerose postazioni e ricevuto rinforzi da Tolmino. Permesso il passaggio all’avanguardia, attaccava il grosso della colonna con numerosi mortai e armi pesanti. Attaccata nel momento in cui la testa della colonna era già a fondo valle, la Brigata riesce a malapena a portarsi fuori tiro risalendo lungo il costone e abbandonando molti materiali, armi pesanti e feriti. La sorpresa costrinse la Brigata a mutare percorso con marce forzate e terreno sconosciuto e coperto di neve”.

Riorganizzati i reparti e sistemati i feriti negli ospedaletti partigiani sloveni, i nostri, la notte successiva, riescono ad attraversare il Baccia (Bača, ndr) nella (sic!) ferrovia passando tra i due presidi nemici di Piedicolle e Collepietro (Podbrdo e Petrovo Brdo, ndr), arrivando a Daucia (Davča, ndr) con un metro di neve dopo 33 ore di marcia. All’arrivo in zona mancano circa 40 uomini, quasi tutti del Battaglione “Manin”.

I reparti interessati

Il Comando di Divisione: comandante Mario Fantini “Sasso”; commissario Giovanni Padoan “Vanni”; Capo di Stato Maggiore, Ferdinando Mautino “Carlino”. La 156ª brigata Buozzi: comandante Mario Zulian “Sandro”;  commissario Lino Argenton “Stuz-Silvio”; i battaglioni Manara, Minussi e Fronte della gioventù. La 157ª brigata Picelli: comandante Gino Lizzero “Ettore”; commissario Vincenzo Marini “Banfi”; i battaglioni Manin, Verrucchi e Pisacane. La 158ª brigata Gramsci: comandante Salvatore Bulla “Moro”; commissario Giuseppe Gargano “Boris”. I battaglioni Mameli, Gregoratti, Pustetto.

Il diario del reggimento “Tagliamento” della Rsi riporta in data 1 gennaio 1945: “La notte scorsa si presentava al distaccamento di Baccia di Modrea un partigiano fuggito dal proprio reparto. Egli dichiarava che nella notte, attraverso la passerella sul Baccia sita nei pressi del casello 91, era transitata la 158ª brigata della Divisione “Garibaldi-Natisone”, diretta a Chiapovano-Aidussina. Lo stesso informava che nella notte successiva altri battaglioni partigiani sarebbero transitati lungo lo stesso itinerario. (…) Alle ore 21 circa, l’appostamento effettuato da due plotoni di alpini di Vhiesa San Giorgio e di Baccia di Modrea, al comando dei sottotenenti Miani Oliviero e Tamburini Gervaso, nonché di un nucleo di militari tedeschi, era ultimato”. Il giorno dopo ecco il resoconto del “Tagliamento  riferito nel diario”: “Questa mattina, alle ore 3.25 circa, la pattuglia di punta della colonna partigiana composta da quattro uomini, attraversava la passerella e veniva immediatamente catturata. Alcuni minuti dopo, avvistato il grosso che si avvicinava, veniva immediatamente aperto il fuoco con armi automatiche e mortai. L’azione, trasformatasi in scontro accanito per la reazione avversaria, durava circa mezz’ora. Immediatamente veniva compiuto il rastrellamento della zona. Il nemico subiva le seguenti perdite: 76 morti contati sul terreno, 17 prigionieri, fra cui un ferito”.

In realtà, i conti non tornano, neppure alla luce delle ricerche storiche; probabilmente i nazifascisti del Tagliamento volevano fregiarsi di un ulteriore, triste, merito con i tedeschi.