Ceduta dalla Spagna alla Francia nel 1697 col trattato di Ryswick, nel 1789 la parte occidentale dell’isola di Santo Domingo era la colonia europea più produttiva e redditizia di tutte le Americhe. Soprannominata anche la “perla delle Antille”, Haiti era il centro nevralgico del sistema di piantagione atlantico fondato sul lavoro degli africani schiavizzati.
In generale, all’incirca dal 1730, il gruppo delle Antille dominava il mercato internazionale dello zucchero, tanto che nel 1788-89 i carichi di zucchero di Cuba, Puerto Rico e Santo Domingo rappresentavano il 40 per cento del traffico fra l’America e la Spagna. Nel 1789, l’anno della rivoluzione in terra francese, la parte francese di Santo Domingo contava 520.000 abitanti, di cui 40.000 bianchi (suddivisi tra grands blanc, ossia i grandi proprietari terrieri e gli alti esponenti del governo coloniale, e petits blanc, ovvero marinai, commercianti, amministratori), 28.000 neri liberati e mulatti, 452.000 schiavi neri. Niente uguagliava questa parte dell’isola, dove insistevano 793 manifatture di zucchero o zuccherifici, 3.150 fabbriche d’indaco, 789 fabbriche di cotone, 3.117 caffetterie, 182 distillerie di rhum, 50 stabilimenti per la lavorazione del cacao.
Nonostante il Code noir, emanato nel 1685 da Luigi XIV, la normativa coloniale non aveva solo un carattere escludente, ma mirava anche a stabilizzare la gerarchia del colore rafforzando il prestigio sociale della bianchezza e prescrivendo un codice di comportamento che imponeva, anzitutto, di rispettare pubblicamente i bianchi. Di contro, le condizioni di vita degli schiavi delle piantagioni erano durissime. Gli europei sostenevano che i neri fossero specialmente adatti a lavorare nel cocente clima caraibico, che dal loro punto di vista era simile a quello africano. In realtà, anche a causa delle malattie contratte appena arrivati sull’isola o per le angherie subite, circa un terzo di loro periva durante il primo anno di permanenza nelle colonie. Oltre ai bianchi e agli schiavi neri, il terzo gruppo razziale presenti nella colonia, i liberi di colore, erano neri affrancati che avevano gli «stessi diritti, privilegi e libertà di cui godono i nati liberi», ma nei fatti subivano una politica discriminatoria.
Dalla Rivoluzione francese alla Rivoluzione haitiana
Il 2 marzo 1790, in Francia si assistette al «primo grande dibattito coloniale della storia parlamentare francese», come ha ricostruito nel 1960 Aimé Césaire in “Toussaint Louverture. La Rivoluzione francese e il problema coloniale” (Edizioni Alegre, 2022), e l’Assemblea nazionale – figlia della presa della Bastiglia – non chiarì se i liberi di colore dovessero essere considerati “cittadini” alla stregua dei bianchi.
Dopo una prima debole insurrezione, soffocata con la violenza nel febbraio 1791, nella notte tra il 22 e 23 agosto 1793 bande di schiavi neri presero d’assalto le piantagioni di canna da zucchero di Saint-Domingue incendiando i raccolti e uccidendo o cacciando via padroni e sorveglianti bianchi.
I neri sferrarono una seconda ondata di attacchi alle piantagioni e riuscirono a prendere il controllo della parte orientale della provincia, al confine con Santo Domingo. Contemporaneamente anche i liberi di colore insorsero rivendicando l’uguaglianza politica al pari dei bianchi, per loro implicitamente contenuta nei principi della Rivoluzione francese. Quando scoppiò la ribellione, quello di Saint-Domingue non solo era il più grande mercato di schiavi esistente (ogni anno venivano importati dall’Africa all’incirca 30.000 schiavi), ma anche un mercato di vitale importanza per l’economia della Francia.
Dopo violenti scontri tra schiavi, neri liberi e bianchi, il 29 agosto 1793 il Commissario civile della Repubblica emanò il Proclama di emancipazione che sanciva che gli «uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti». La Francia rivoluzionaria riconosceva che la Repubblica voleva «la libertà e l’uguaglianza fra tutti gli uomini senza distinzione di colore. […] In Francia, tutti sono liberi, e tutti lavorano; a Santo Domingo, soggetti alle stesse leggi, seguirete il medesimo esempio. […] non sarete più assoggettati alle punizioni umilianti che vi infliggevano un tempo; non sarete più proprietà altrui; sarete i padroni della vostra, e vivrete felici». In sostanza l’applicazione della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino veniva estesa anche ai «negri e sanguemisti attualmente in schiavitù» che avrebbero goduto di «tutti i diritti legati alla qualità di cittadino francese». Dopo tre secoli che i bianchi europei avevano dettato legge in tutta l’area atlantica, adesso dovevano fare i conti con i “nuovi diritti” delle popolazioni caraibiche.
Fu l’inizio di un movimento che avrebbe raggiunto il suo apice tredici anni dopo, il 1° gennaio 1804, quando un ex schiavo, il generale Jean-Jacques Dessalines, proclamerà l’indipendenza della Repubblica di Haiti.
La Rivoluzione haitiana contribuì a spazzare via le istituzioni della schiavitù e le gerarchie razziali: due aspetti fondamentali per il futuro delle Americhe e per l’intero mondo atlantico. La Costituzione degli Stati Uniti del 1787 parlava apertamente di libertà, ma, difatti, faceva perdurare nella schiavitù centinaia di migliaia di neri, e gli stessi liberi di colore non godevano appieno dei diritti di cittadinanza.
La Rivoluzione haitiana fu invece la più radicale delle insurrezioni rivoluzionarie americane contro la dominazione europea. Si trattò quindi non di un evento minoritario, bensì parte della storia globale, sia perché era un centro economico fondamentale del regime mercantilistico nel nascente mercato mondiale, sia perché, per la prima volta nella storia, i neri di origine africana avevano rovesciato i bianchi.
Fra tutte le rivoluzioni atlantiche, quella che trasformò la colonia francese di Saint-Domingue nello Stato indipendente di Haiti implicò i maggiori cambiamenti in campo politico, economico e sociale. Infatti, la Rivoluzione haitiana fu all’origine di una serie di eventi senza precedenti: l’ingresso di rappresentanti coloniali in un’assemblea metropolitana; la fine della discriminazione razziale; l’abolizione della schiavitù in un’importante società schiavista; la creazione di uno Stato indipendente in America Latina. Tutto questo aveva rappresentato un campanello d’allarme per il mondo eurocentrico.
Quella haitiana, seppur considerato un fenomeno interno alle rivoluzioni atlantiche, influenzò anche le dinamiche politiche della Francia rivoluzionaria, e incise sugli assetti geopolitici ed economici degli imperi europei nelle Americhe.
Sui flussi di circolazione delle idee avevano influito le rotte commerciali saldamente tracciate che univano i produttori e i consumatori su entrambi i lati dell’Atlantico, che avevano fatto dell’oceano una strada comune piuttosto che una barriera ostile, rendendolo uno spazio permeabile e più facilmente percorribile da rotte stabili di molte aree terrestri europee.
In un certo senso, lo schiavo nero della piantagione era collegato al raffinatore inglese di zucchero, pedine del nascente sistema capitalistico. Queste dinamiche avevano creato una rete panatlantica commerciale, ma anche relazioni politiche e la diffusione delle idee rivoluzionarie. Con il proclama di emancipazione gli schiavi neri avevano conquistato formalmente la libertà, ma per la conquista dell’indipendenza dell’isola sarebbe stato necessario ancora un decennio di lotte.
Andrea Mulas, storico Fondazione Basso
Pubblicato lunedì 28 Agosto 2023
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