Come è noto, la negazione dei valori antifascisti della nostra Repubblica e della Costituzione avviene in molti modi, tra i più diffusi troviamo, da un lato, la riduzione della Resistenza a fenomeno criminale, di cui ci occuperemo tra poco, dall’altro lato, invece, strategie revisioniste meno plateali come le recenti esternazioni della Presidente del Consiglio Meloni e del Presidente del Senato, Ignazio La Russa, sull’eccidio delle Fosse Ardeatine, autentiche mostruosità storiche senza precedenti.

Come al solito le ricostruzioni storiche da parte di quella Destra che non riesce ad accettare l’essenza antifascista del Paese, tendono a dimenticare contesti e responsabilità. Nel discorso della Meloni, infatti, mancano i fascisti e la dittatura e manca, soprattutto, la lotta antifascista. E così si consuma la lenta revisione storiografica del nostro passato. Nostro compito è, ogni volta, ristabilire la verità dei fatti e dei valori della Resistenza che stanno alla base della Costituzione.

Manifesti di Forza Nuova, ma la persona ritratta non è Giuseppina Ghersi, e la foto riprodotta è stata scattata a Milano, e la vinceda non finì tragicamente ma limitò alla gongna pubblica

Il libro del collettivo Nicoletta Bourbaki che da anni si preoccupa di smontare fake e leggende varie sulla Resistenza ci aiuta a capire come si crea una retorica antipartigiana senza nessun fondamento se non la volontà di delegittimare le basi costituzionali. Una strategia liquidatoria che vorrebbe farsi senso comune e che sorregge una produzione storiografica, attiva soprattutto in rete o in pubblicazioni fai da te, imbastita da «eroi folk e professionisti della polemica mediatico-culturale, professori di liceo e scrittori di lungo corso, pubblicisti locali e grandi nomi del giornalismo, personaggi disparati, uniti dall’utilizzo di linguaggi e grammatiche che attingono a un genere, la cronaca pulp e scandalistica».

In questo caso, la vicenda è quella della morte, avvenuta nell’aprile 1945, della tredicenne savonese Giuseppina Ghersi su cui, documenti e ricerche alla mano, non sappiamo molto, ma che nel martirologio della Destra dovrebbe costituire l’ennesima prova per dissolvere il valore simbolico e ideale del movimento partigiano e ridurlo a mera criminalità. Di Giuseppina Ghersi, scrive il collettivo Bourbaki, dopo una indagine rigorosissima sappiamo questo: a Savona, dopo l’8 settembre del 1943, si sviluppa una Resistenza che combatte contro l’esercito saloino e i tedeschi, in particolare contro la San Marco, una divisione di fanteria marina repubblichina addestrata in Germania. Delle formazioni partigiane, la più importante era la XX brigata d’assalto Garibaldi del partito comunista, il cui capo è Herman Wygoda, un ebreo polacco conosciuto con il nome di “Enrico”. Nell’aprile 1945, dopo la liberazione di Savona, il CLN mette alla guida della città il liberale Guido Caruzzo detto “Penna”, un moderato, non un comunista.

Savona, il rione Fornaci in una foto d’epoca

La famiglia Ghersi vive nel popolare rione operaio di Fornaci, hanno una rivendita di frutta e ortaggi e diversi magazzini: gli affari vanno molto bene. Secondo alcuni documenti della questura savonese la famiglia esercita la borsa nera e la ricettazione, inoltre ha collaborato con tedeschi e repubblichini. La giovane Giuseppina, nata nel 1931, frequenta gli uomini della San Marco e si sospetta che, nonostante la giovane età, sia una delatrice. Una relazione della questura del 2 agosto 1949 attesta che era temuta nel quartiere perché, stando a un elenco di delatori fascisti redatto da Rosetta Secondo, collaborazionista delle SS arrestata nel dicembre del 1944 dal CLN, era una spia di ogni persona sospetta di essere vicina al movimento partigiano. Il parroco della Chiesa Santa Maria della Neve della Ghersi scriverà, a margine sul registro di battesimo, che la stessa «si gloriava averne fatti uccidere sette dai fascisti».

Savona, la chiesa della Madonna della Neve

Anche a ridosso della Liberazione, con i genitori in prigione perché collaborazionisti dei tedeschi, «continua a girare in città armata» incurante della nuova aria che si cominciava a respirare.

Subito dopo la Liberazione, tra il 27 e il 28 aprile, nel clima di violenza e di resa dei conti, Giuseppina Ghersi viene uccisa davanti al cimitero di Zinola. In quella notte sono registrate più di venti uccisioni, tutte da comprendere, non necessariamente giustificare, all’interno di un bisogno, ancorché sommario, di giustizia dopo vent’anni di dittatura e due anni di occupazione tedesca. Una «violenza inerziale», come l’ha definita lo storico Mirco Dondi.

Cimitero di Zinola (beniculturali)

La vicenda giudiziaria che ne seguì non riuscirà ad accertare gli assassini, forse si è trattato di una iniziativa personale, anche perché non era stato emesso nessun ordine vendicativo da parte del CLN cittadino. Molto probabilmente la morte di una giovanissima fascista, organica alle brigate nere, delatrice nel suo quartiere e ricercata come spia, si deve inserire del contesto della Liberazione e della lotta contro il fascismo, come del resto scriverà il procuratore della repubblica Alfonso Tanas, nel maggio 1945, a termine dell’istruttoria sul caso Ghersi. Altro non si può dire.

A partire dal 1948 comincia a circolare la voce, che non avrà mai nessun fondamento, che la Ghersi fosse stata anche violentata, cosa che però non trova riscontro nell’atto di morte del Comune di Savona e nell’istruttoria che ne seguirà.

Ma è così che comunque inizia la seconda vita di Giuseppina Ghersi, diventata una martire italiana stuprata e uccisa crudelmente. Dagli anni 90, pubblicazioni e articoli, del tutto privi di rigore storiografico o intento di accertare la verità, strumentalizzano la morte della tredicenne con lo scopo di criminalizzare la Resistenza e i suoi valori. In particolare si diffondono dettagli del tutto inventati (sarebbe bastato leggere i documenti processuali): la Ghersi sarebbe stata rapata a zero, stuprata, imbrattata di vernice rossa. Un caso esemplare di questa tendenza è Il sangue dei vinti di Giampaolo Pansa, che inserisce questa stessa uccisione nella cornice della barbarie resistenziale ma soprattutto nega un fatto accertato, cioè l’attività di delatrice della ragazza. A partire dalla versione distorta e parziale di Pansa, la vicenda si riverbera in siti e pubblicazioni neofasciste e neonaziste. Tra i maggiori patrocinatori della leggenda ci sono Roberto Nicolick, nazista e negazionista della Shoah, molto attivo nel cercare nuove presunte rivelazioni sui crimini partigiani, e Gianfranco Stella, autore del grottesco Compagno mitra, quasi un classico della letteratura fantasy!, che nell’autoprodotto I grandi killer della liberazione (2015) nega l’attività di spia della giovane fascista e scrive una sorta di agiografia dell’intera famiglia Ghersi per meglio enfatizzare la furia partigiana che vi si abbatté. La ricchezza dei particolari che troviamo in questi libri e in molti siti internet tuttora visibili comprende anche una presunta foto della Ghersi arrestata dai partigiani savonesi, una foto che però non ha nessuna relazione con la vicenda che stiamo raccontando, poiché venne scattata a Milano.

La tomba al cimitero di Zinola

Infine il Comune di Noli (SV) dedica, nel 2017, una targa a Giuseppina Ghersi su iniziativa del consigliere comunale Enrico Pollero, esponente di Forza Nuova. La targa recita che la ragazza è stata vittima di una generica «abiezione umana», occultando così ancora una volta la sua attività di delatrice e soprattutto il contesto di una guerra di liberazione ancora in corso. Siamo di fronte alla totale manipolazione della storia, al proliferare di balle sui “partigiani criminali” che bisogna smontare con il rigore della storiografia, l’analisi delle fonti e la ricostruzione del contesto. Come diceva il mio insegnante di storia: ragazzi, contestualizzare è fondamentale!

Targa a Noli (SV)

Che poi la squallida strumentalizzazione neofascista, che ha come corollario l’oblio dei crimini fascisti, si giochi sul corpo di una ragazzina di 13 è un fenomeno inquietante e penoso, soprattutto perché non ha come presupposto l’onesto vaglio delle fonti e dei documenti. Il libro del collettivo Bourbaki è un’esemplare decostruzione di una leggenda che, riportata nell’alveo di fatti storici rigorosamente accertati, va in fumo. E allo stesso tempo mostra passo per passo come nasce una mistificazione che mira al discredito della vicenda politica ed etica della Resistenza, una vicenda umana che ha, come tutte le cose umane, contraddizioni e complessità, ma di cui non è possibile negare l’importanza decisiva nella rifondazione di una Italia democratica e libera.