Betty Leone, vicepresidente nazionale Anpi e coordinatrice del Gruppo di lavoro sulle riforme istituzionali (Imagoeconomica, Giulia Palmigiani)

Con questa intervista a Betty Leone, vicepresidente nazionale Anpi e coordinatrice del Gruppo di lavoro sulle riforme istituzionali, proseguiamo l’approfondimento dei temi che caratterizzeranno la prossima Conferenza di Organizzazione Anpi Sud. In calce, i titoli e i link delle interviste già pubblicate. 

Il Sud ha pagato un prezzo altissimo nella Resistenza, anche prima dell’inizio della lotta di Liberazione vera e propria con l’8 settembre. Una sorta di opposizione, spontanea, che comparve fin dallo sbarco angloamericano

Ad aprile, a Paestum, si terrà la Conferenza di Organizzazione delle Anpi Sud. L’Associazione valorizza il grande ruolo che il Mezzogiorno ha avuto nella nascita di un Paese libero e unito. Quali sono gli altri grandi obiettivi di questo evento?
La Resistenza nel Meridione non è stata sempre valorizzata come avrebbe meritato. Invece ha visto una grande partecipazione popolare e per questo il Sud ha pagato un prezzo di sangue e sofferenze. Valorizzare la Resistenza del Mezzogiorno significa riconoscere ai meridionali l’importante ruolo avuto nella ricostruzione dell’Italia post fascista. Questo ruolo va rivendicato con orgoglio quando si richiama l’attenzione sui diritti negati ai cittadini meridionali, che non sono cittadini di serie B. A questo scopo l’Anpi vuole radicare meglio le proprie strutture nel Mezzogiorno con insediamenti più forti, più coordinati, per rafforzare non solo la sua organizzazione ma anche la partecipazione del Sud alla vita politica del Paese, anche attraverso la militanza antifascista. In questa fase storica è particolarmente importante.

Il progetto del ministero delle Infrastrutture eTrasporti del ponte sospeso sullo Stretto di Messina, un pallino di Salvini, secondo gli esperti inutile, costoso e dalle troppe incognite tecniche (Imagoeconomica via Mit)

Il governo invece il Meridione lo mette da parte o lo rende una vetrina per la propria propaganda. Si veda la vicenda Ponte sullo Stretto. Cosa succederà invece al Sud con la riforma dell’autonomia differenziata? Cosa succederà al nostro Paese?
L’autonomia differenziata è un disegno che dividerà profondamente il Paese. Tende ad allargare le disuguaglianze territoriali che già oggi sappiamo essere molto forti, basta vedere le differenze di spesa sociale tra Nord e Sud per capire che il secondo ha meno servizi. Il Ddl Calderoli tende a fissare queste differenze e non a superarle. Se si dà alle Regioni la possibilità di una propria legislazione e una propria organizzazione dei servizi al di fuori di una programmazione nazionale, prevedendo per questo una forma di finanziamento con compartecipazione dello Stato alle risorse fiscali del territorio stesso, è ovvio che saranno favoriti i territori più forti, perché più ricchi e popolosi e con più entrate fiscali.

Materie cruciali come la sanità e la scuola sarebbero in mano alla maggioranza politica del momento e soggette forse a rilevanti differenze.
Regioni come Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna hanno già fatto pre-intese con i governi precedenti che la legge Calderoli renderebbe attuabili e in esse hanno richiesto la possibilità di una contrattazione integrativa di quella nazionale. Del resto più volte questo governo ha parlato di gabbie salariali. Non solo questo creerebbe una forte ingiustizia e differenziazione tra lavoratori, ma verrebbe alterato lo spirito stesso della Costituzione secondo cui a uguale prestazione si deve uguale retribuzione. Nascerebbe anche un ulteriore problema: se alcune Regioni hanno retribuzioni più alte ci sarà la tendenza a una nuova ondata di emigrazione interna dal Sud al Nord, che spopolerà ancora di più il Sud e lo priverà delle migliori professionalità.

Il governo sostiene che l’autonomia differenziata potrà essere esercitata solo se si rispettano i Lep, i “livelli essenziali di prestazioni”, e questo sistema supererà le disuguaglianze.
Questo è ciò che dice la propaganda, in realtà i Livelli essenziali delle prestazioni sono un minimo comune denominatore per tutti, ma essenziale non vuol dire uniforme. Soprattutto, l’articolo del Ddl che riguarda il bilancio, specifica che tutta l’operazione ‘autonomia differenziata’ deve avvenire a invarianza del bilancio nazionale, quindi senza investimenti. Come si fa a recuperare un gap senza investimenti? È chiaro che le Regioni più forti agiscono con le loro risorse ma le altre in mancanza di investimenti non avranno nessuna possibilità di arrivare a un livello di servizi, infrastrutture, organizzazione commerciale al pari delle prime. Per questi motivi alcuni chiamano questa legge “la secessione dei ricchi”.

(Imagoeconomica, Carlo Carino)

Le Regioni hanno già chiesto competenze anche in materie come commercio, trasporti, banche locali.
Teoricamente le Regioni possono richiedere maggiore autonomia in materie differenti. Questo vuol dire che passando da una Regione all’altra noi possiamo trovare sistemi diversi di sanità, di insegnamento e organizzazione scolastica, di regolamentazione delle banche locali e del commercio. Anche per le imprese italiane ci sarebbe un Paese arlecchino nel quale a pochi chilometri da una città all’altra ci potranno essere regole diverse. Si diversificherebbe inoltre la possibilità delle persone di accedere ai diritti, creando in realtà dei mini-Stati. Questa frammentazione, oltre a essere contraria all’Art. 5 della Costituzione secondo cui la Repubblica è una e indivisibile, è una scelta incomprensibile nell’attuale momento storico, in cui si parla di rendere più unita l’Europa per affrontare le sfide di un mondo diviso in blocchi.

Roberto Calderoli, ministro degli Affari regionali del governo Meloni, autore della legge sull’autonomia differenziata (Imagoeconomica, Alessandro Amoroso)

Il Ddl Calderoli non prevede neppure un coinvolgimento dei deputati sul piano dei contenuti, è corretto?
Secondo il Ddl Calderoli gli accordi tra le Regioni e lo Stato vengono trasmessi alle competenti commissioni parlamentari per un parere consultivo che il Governo non è tenuto a rispettare ma dovrà soltanto giustificare i motivi per cui non dovesse accoglierle. Completato tutto il percorso, abbastanza farraginoso, tra Governo, Regioni e Conferenza Unificata, la legge di recepimento dell’intesa arriverà in Parlamento soltanto per la ratifica senza poterne discutere i contenuti. Materie come salute, scuola, difesa del territorio, commercio, trasporti, infrastrutture, energia, che riguardano la vita delle persone, non saranno valutate da chi rappresenta i cittadini, cioè i parlamentari. Questo è uno dei tanti vulnus della democrazia parlamentare, che invece è alla base della nostra Costituzione.

Questo disegno di legge colpisce anche la parte valoriale della Costituzione?
La seconda parte della Costituzione, quella ordinamentale, è strettamente legata alla prima, quella valoriale, perché deriva da questa. La prima parte disegna un Paese retto dalla partecipazione popolare. Il primo articolo spiega che la sovranità appartiene al popolo, non emana dal popolo, quindi non basta votare per esercitare la propria sovranità. Il popolo non cede il suo potere, lo mantiene perché gli appartiene e lo esercita nei modi previsti dalla Costituzione, attraverso la rappresentanza parlamentare e i corpi intermedi: il sindacato, le associazioni e i partiti politici. La seconda parte delinea perciò una democrazia di tipo parlamentare che ha come scopo la giustizia, l’uguaglianza, la pace. L’assetto economico e sociale che la prima parte prevede è nel segno dell’economia solidale e non competitiva, ogni modifica deve rimanere coerente a questi valori. Non è il caso del Ddl Calderoli che disegna un regionalismo competitivo in cui i cittadini non sono più uguali.

Questa riforma è più pericolosa di altre tentate anche di recente?
È più pericolosa perché spacca l’Italia. Se l’ordinamento scolastico non è più identico in tutto il Paese, distruggiamo l’idea unitaria di cittadinanza, perché la scuola è il luogo dove si costruisce l’identità di cittadino. È pericolosa perché non è coerente con la parte valoriale della Costituzione.

(Imagoeconomica, via governo.it)

La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, definisce la riforma del premierato la “madre di tutte le riforme”. Come si combina con quella dell’autonomia differenziata? Qualcuno sostiene che lautonomia bilancia il premierato. È vero?
Non è vero che premierato e autonomia si bilanciano, anzi, insieme aumentano una deriva autoritaria del sistema. L’autonomia differenziata si gioca tutta sul rapporto tra il presidente del Consiglio dei Ministri e il presidente della Regione, un rapporto tra due figure che accentrano su di se il potere. L’altro punto di pericolosità, specie per il Mezzogiorno, è che le risorse da mettere in campo per ciascun accordo vengono decise da commissioni paritetiche Stato-Regione, ma non c’è un governo unitario delle intese che tenga conto dell’impatto sul bilancio nazionale. Può avvenire quindi che le risorse si spostino dal Sud, che ne ha già poche, al Nord, dal momento che il disegno di legge Calderoli prevede che ci sia un’invarianza del bilancio nazionale. Del resto, il vero pensiero di questo governo, la Meloni lo ha espresso quando ha detto che le Regioni più capaci di spendere devono avere giustamente più risorse delle altre perché spendono meglio. Secondo i dettami dell’economia liberista chi è più forte deve poter andare avanti senza essere frenato da chi è più debole. È esattamente il contrario dell’economia solidale sancita nella nostra Costituzione.

Carlo Levi, “Lucania 61”, dettaglio

Le due riforme sono il frutto di un mero accordo politico sulla pelle del Paese tra Lega e Fratelli d’Italia.
C’è un accordo sulla pelle del Paese, questo è certo. E sicuramente c’è l’ennesima negazione della questione meridionale. È vero che questa ha radici strutturali e nessuno può pensare di risolverla facilmente. Tuttavia, se non riconosciamo la sua esistenza, il Sud rischia di essere non un’opportunità per ripensare il modello di sviluppo ma una specie di zavorra per l’economia che corre di più, quella del Nord. Ritorniamo ancora al neoliberismo: chi corre deve poter farlo senza ostacoli. C’è un parallelo con la teoria dei “meritevoli”: solo chi merita può andare avanti.

(Imagoeconomica, Carlo Lanutti)

La destra è ossessionata dallo smontare la Costituzione antifascista. Queste riforme puntano ad una “costituzione post-fascista”?
Si, secondo me stanno cercando di darci un’altra costituzione che cancella i valori della Costituzione antifascista nata dalla Resistenza. Non a caso nessuno di quei partiti che sono oggi al governo ha partecipato alla stesura della Costituzione. Per questo ritengo sia particolarmente pericolosa questa fase di riforme istituzionali, compreso questo scambio con Forza Italia sulle questioni della giustizia. C’è un disconoscimento dei valori costituzionali su cui si è costruita l’Italia moderna. Il primo obiettivo è confinare la sovranità popolare. Proprio mentre sostengono che permettendo al popolo di votare direttamente il presidente del consiglio dei ministri gli conferiscono più potere, in realtà diminuiscono il ruolo e l’autorevolezza del Parlamento che dovrebbe rappresentare la volontà popolare. Altra cosa grave: stanno portando avanti l’idea che la Costituzione si possa cambiare a colpi di maggioranza. Ma la Costituzione appartiene a tutti; sarebbe stato necessario aprire una discussione vera e non presentare un disegno di legge e dire: possiamo discutere tutto ma non l’elezione diretta del presidente del Consiglio. La stessa cosa vale per il Ddl sull’autonomia differenziata che non permette neanche una discussione sui criteri per decidere quali materie delegare. Il progetto è lo scardinamento della democrazia partecipata. La così detta democrazia decidente a cui loro si appellano, è la democrazia del vincitore: chi vince, vince tutto, ma questo non pacificherà un paese diviso da molte ingiustizie e contraddizioni.

Capitol Hill 2021. Stati Uniti

Nell’epoca dei nuovi venti sovranisti, delle “democrature”, non le sembra che i cittadini la democrazia la vivano come un “peso”? Mi spiego: la democrazia comporta dubbi, confronto, compromessi, l’essere disposti a perdere. È un impegno quotidiano, talvolta anche faticoso. La tentazione è affidarsi all’ “uomo forte” perché è più facile.
È vero. Questa società frammentata e fortemente individualizzata crea una disabitudine all’esercizio della democrazia, Lo vediamo anche nei dibattiti che non hanno mai chiaroscuri. Lo vediamo ad esempio nella questione guerra e pace: o sei da una parte o dall’altra e se vuoi fare una discussione su quel che sta accadendo nel mondo o sei filo-putiniano o sei antisemita. Questa società è disabituata alla discussione, al confronto e alla dialettica e quando non c’è dialettica non c’è democrazia. Per questo la battaglia per difendere la nostra Costituzione è più difficile. Rispetto alle grandi crisi attuali, come quella climatica ed economica c’è una presa di coscienza maggiore da parte dei giovani; si tratta di un elemento di speranza. Sicuramente oggi si tende ad una semplificazione del modello democratico, anche per responsabilità dei partiti. C’è una sfiducia nella politica, nella possibilità di cambiare le regole della politica e di incidere sulle decisioni che riguardano la nostra vita. Le riforme volute dal Governo di destra aumenteranno questa sfiducia e la voglia di delegare ad altri le responsabilità che dovremmo esercitare in quanto cittadini.

Foto di Ivano Improta

Quali riforme servono?
Innanzitutto bisogna attuare la Costituzione prima di disfarla. Dovremmo pensare a riforme che rafforzino il ruolo del Parlamento che rappresenta i cittadini, rendendolo anche più efficiente. Bisogna ridare ai cittadini la possibilità di scegliere i parlamentari, cosa che l’attuale legge elettorale non permette, non essendo possibile esprimere preferenze. Bisogna trovare strumenti istituzionali che restituiscano ai cittadini la possibilità di contare. Bisogna ricostruire una pratica politica che incentivi la partecipazione e la costruzione di soggetti collettivi. Stando insieme si può ottenere di più. Non ci sono scorciatoie istituzionali che possano superare la debolezza della politica. La battaglia per la difesa della Costituzione antifascista ci compete: è la nuova Resistenza. Difendiamo la Costituzione del ’48 non solo perché è nata dalla lotta partigiana ma perché disegna una società solidale, giusta, pacifica e democratica. La società che desideriamo per noi e per i nostri figli.

Sara Lucaroni, giornalista e autrice di libri tra cui, nel 2022 per le edizioni Librerie Pienogiorno del volume “Sempre lui. Perché Mussolini non muore mai”, è anche vincitrice di premi, quali nel 2023 il premio giornalistico nazionale “La matita rossa e blu”


Le puntate precedenti

Sulla Conferenza di Organizzazione delle Anpi Sud che si terrà a Paestum il 6 e 7 aprile prossimi, Patria Indipendente ha proposto una serie di contributi, qui i titoli in ordine di pubblicazione: dopo l’intervento di Carlo Ghezzi “L’Antifascismo che riparte dal sud”,vi abbiamo proposto le intervite ad Angelo Lauricella (Agrigento) “Il nostro obiettivo è far crescere l’Anpi al Sud”; Ciro Raia (Napoli) “Le tessere meridionali nel mosaico della Resistenza”; Michele Petraroia “Anche al Sud cercarono la libertà tra rupe e rupe”Carmela La Padula (Matera) “Ecco perché è importante per il Paese la Conferenza delle Anpi del Sud”; Fulvio Angelini (L’Aquila) “L’orgoglio e la memoria dell’Abruzzo”; Pasquale Martino (Bari) “Conferenza organizzazione Anpi. Parla Pasquale Martino”; Lidia Roversi (Cagliari) “La Sardegna vola sull’antifascismo, ma noi la guerra l’abbiamo in casa e nessuno lo sa”.