Anne Frank e Primo Levi continueranno a interrogare la nostra coscienza fino alla fine del mondo, entrambi ci hanno detto che cosa è stata veramente la Shoah. Non bisogna mai dimenticare di leggere “Se questo è uomo” assieme al diario della giovane ebrea olandese. Sono entrambi testimonianze, da prospettive diverse, della persecuzione: nel sopravvissuto Primo Levi il tratto finale; in Anne Frank, invece, il serrarsi della morsa vissuto da un’adolescente.

Il saggio della storica e biografa canadese Rosemary Sullivan avrebbe dato  ̶  il condizionale è d’obbligo  ̶  un nome e un cognome a chi tradì i Frank, a chi per 78 anni è rimasto un ignoto: un altro ebreo, un componente del Consiglio ebraico. Edito in Italia da HarperCollins, “Chi ha tradito Anne Frank” in Olanda ha attirato forti critiche tanto che la Ambo Anthos ne ha bloccato ogni ristampa fino a quando nuove prove non arriveranno a sostegno della tesi Sullivan.

Maggio 1940, i nazisti entrano ad Amsterdam

Sullivan racconta di un’inchiesta in cui ha cercato di applicare i metodi dell’investigazione poliziesca alla ricerca di chi tradì la famiglia Frank, nell’agosto  1944, causandone la cattura da parte delle SS. A questo, che è stato un autentico cold case storico, ossia un caso irrisolto, hanno lavorato decine di persone: archivisti, storici, ex investigatori dell’Fbi, esperti di archiviazione digitale; si sono incrociati migliaia di dati e di file per arrivare a un risultato ben preciso, che certo non modifica il “dossier Anna Frank”, ma ne aggiunge un tassello, appunto quello delazione e del suo responsabile.

Arrivo di un trasporto di ebrei olandesi nel ghetto di Theresienstadt, Cecoslovacchia (Museo dell’Olocausto)

Come è noto, i Frank con la famiglia van Pels e il dentista Fritz Pfeffer si erano nascosti in alcune stanze dell’edificio oggi museo che ospitava l’azienda commerciale di Otto Frank, al 263 Prinsengracht, Amsterdam. Dove Anna scrisse dal 12 giugno 1942 all’1 agosto 1944, la prima e l’ultima pagina, del 4 agosto è l’arresto.

Dopo due anni di isolamento, tutti gli occupanti vennero scoperti e condotti nel campo di transito di Westerbork, per poi morire chi ad Auschwitz, chi a Theresienstadt, chi a Bergen Belsen. Proprio qui morirono di fame e tifo Anne, la madre e la sorella Margot. Solo Otto, il capofamiglia, riuscì a tornare da Auschwitz.

La casa, oggi, museo di Anna Frank ad Amsterdam (wikipedia)

Per quanto riguarda il fenomeno del collaborazionismo, la “zona grigia” di cui scrisse Levi, è interessante il caso dell’Olanda anche perché, in proporzione ai suoi abitanti, il numero di ebrei olandesi mandati a morte è il più alto d’Europa. Da questo punto di vista, il lavoro di Sullivan è anche uno studio sul contesto in cui vivevano gli ebrei olandesi e i Frank in particolare. L’antisemitismo, anche se molto debole nei Paesi Bassi, e soprattutto l’avidità sono all’origine del fenomeno della delazione che permise di scoprire migliaia di ebrei e spedirli nei campi di sterminio. Dobbiamo aggiungere anche la cooperazione della polizia olandese, nella cattura degli ebrei, che come ha scritto Werner Warmbrunn, “contribuì significativamente all’esito spaventoso della vicenda” (alla voce Olanda del “Dizionario dell’Olocausto”, a cura di W. Laqueur, Einaudi 2004).

La stanza di Anna (pinterest)

Secondo Sullivan, la metodologia giudiziaria, utilizzando computer, scienze comportamentali, test forensi, analizzando dettagli marginali, incrociando centinaia di migliaia di informazioni ha permesso di arrivare a risultati che hanno permesso di dare un nome al delatore dei Frank.

Il nascondiglio segreto

In uno dei capitoli più interessanti, gli investigatori hanno mappato e ricostruito il quartiere del nascondiglio e il quartiere Jordaan (quello originario dei Frank), hanno ricostruito i nomi delle vie, nel frattempo cambiati, e una grande mole di informazioni, anche penali, sui residenti. Quello che ne è venuto fuori è che, nei dintorni dell’alloggio segreto, abitavano un informatore delle SS di nome Schuster, un cameriere di nome Dekker, collaborazionista ricercato dalla Resistenza olandese, ma anche diversi membri dell’Nsb, il partito nazista olandese. Sullivan si sorprende di “come avessero fatto i clandestini a resistere per più di due anni prima di essere catturati”. In questo caso possiamo imparare a leggere la storia attraverso lo spazio: in fondo la Shoah è stata anche una progressiva restrizione dello spazio di vita degli ebrei.

Amsterdam, il quartiere Jordaan oggi (wikipedia)

Secondo la squadra investigativa l’informatore è il notaio ebreo Arnold van den Bergh, un professionista che poteva accedere, in quanto membro del Consiglio ebraico della città, agli indirizzi segreti di alcuni ebrei in clandestinità, compresi quelli dei nascosti al 263 di Prinsengracht. Il movente della sua denuncia dei Frank è, probabilmente, realizzare uno scambio terribile con i tedeschi: salvare la propria famiglia (moglie e due figlie) in cambio della tragica denuncia. Un dilemma morale sconvolgente che l’autrice non si sente di giudicare: Arnold van den Bergh non consegnò gli indirizzi per intima corruzione morale o per avidità, come tanti altri delatori, poiché il suo obiettivo era salvare la sua famiglia.

Il diario di Anna

Questa situazione ha qualcosa di diabolico e forse è incomprensibile a chi non ha vissuto gli aut aut imposti dai nazisti agli ebrei: “Nell’estate del 1944, si sapeva che lo sterminio attendeva le persone alla fine delle deportazioni. Le scelte di Arnold van den Bergh si rivelarono letali. Ma in definitiva non fu responsabile della morte dei residenti del 263 Prinsengracht. Quella responsabilità ricadrà per sempre sugli occupanti nazisti che hanno terrorizzato e decimato una società, mettendo il vicino contro il vicino. Sono loro i responsabili della morte di Anne Frank, Edith Frank, Margot Frank, Harmann van Pels, Auguste van Pels, Peter van Pels e Fritz Pfeffer. E di milioni di altri, clandestini e non. E per questo non potrà esserci comprensione o perdono”.

La testimonianza di Anne Frank rimane tra le più significative e tragiche della Shoah, ha saputo esplicitare l’esclusione e la morte civile dei cittadini ebrei, ha dato voce alla sopportazione dell’adolescenza di fronte a un potere nazista che voleva disumanizzare non solo uomini e donne, ma defraudare per sempre bambini e ragazzi del loro futuro. Sono molte le pagine del diario di Anna in cui si parla della vita del dopo, quando tutto sarà finito: “un giorno torneremo a essere persone e non solo ebrei!”.