Giovani e antifascismo: abbiamo promosso nei giorni scorsi una tavola rotonda su questo tema, mossi dalla preoccupazione di analizzare più da vicino il fenomeno dell’estendersi del consenso attorno ad organizzazioni neofasciste o neonaziste da parte di frange anche consistenti di studenti e di ragazzi. La tavola rotonda, di cui pubblichiamo il resoconto della prima parte, è stata introdotta dal direttore di Patria Indipendente Gianfranco Pagliarulo; sono intervenuti la giovane scrittrice Margherita Frau, la studentessa Martina Carpani della “Rete della conoscenza”, lo studente Jacopo Buffolo della “Rete studenti medi”, lo storico Daniele Conti, e Valerio Strinati, della redazione di Patria Indipendente. La discussione è stata davvero “senza rete” e di grande interesse, arricchendo il comune patrimonio di conoscenza e di opinioni su questo tema. Sul prossimo numero pubblicheremo la seconda parte del dibattito. 

Gianfranco Pagliarulo

Neofascismo oggi Italia. Questo fenomeno ha degli elementi di continuità ma anche di profonda novità rispetto alla storia del neofascismo.

Qual è l’elemento di continuità, incontrovertibile? La pratica della violenza. Non è assolutamente strano, essendo impensabile un fascismo senza violenza. La “rappresaglia” di Macerata, e cioè il prendere a bersaglio le sole persone di colore, è un caso limite. Ma solo per ora. Ad oggi registriamo centinaia e centinaia di aggressioni, intimidazioni e minacce di cui solo una piccola parte finiscono sui giornali. È ragionevole, a mio parere, parlare di un nuovo squadrismo, meglio, per usare le parole di CasaPound, di squadrismo del Terzo Millennio. Con un cambiamento di target. Prima l’obiettivo prevalente, ma non unico, erano i comunisti; oggi, certo, ci sono anche i tradizionali comunisti, ma nel mirino ci stanno i migranti, i neri, i Rom, i gay, cioè l’altro da me, dove il “me” rappresenta una presunta comunità armoniosa, impermeabile e chiusa, dove l’altro è comunque un nemico.

Elementi di novità: il primo è la tendenza a un grande sviluppo dell’associazionismo neofascista rispetto alle tradizioni del neofascismo degli anni 70. L’associazionismo non è una novità nella storia del fascismo italiano, ma specialmente del nazismo che, nella storia della Germania del 900, nasce anche attraverso una fortissima spinta delle associazioni, che costituirono uno degli elementi portanti per la vittoria di Hitler.

Secondo elemento di novità: il web. Sono presenti in rete circa 4.000 pagine, censite da un’inchiesta che stiamo svolgendo e che è in continua evoluzione, 4.000 pagine di Facebook. 4.000 soggetti che sono organizzazioni, associazioni, partiti, singole persone che hanno decine e decine di migliaia di lettori. Risultato finale, per dirlo in modo emblematico, è che, per fare un paragone, mentre l’Anpi ha 130.000 iscritti e 160.000 “mi piace” sulla pagina Facebook, CasaPound che ha ufficialmente poche migliaia di iscritti, ha 240.000 “mi piace” sulla pagina. E parlo solo delle pagine nazionali. Poi ci sono tutte le altre pagine. La presenza sul web comporta una serie di conseguenze su cui non mi soffermo.

Terza novità. La costruzione di una rappresentanza. A ben vedere, negli anni 70 il neofascismo esplicito si poneva il problema della rappresentanza in modo marginale ed era in primo luogo un fenomeno di squadrismo paralegale oppure immediatamente illegale come nelle varie formazioni più o meno militari, armate, che sono nate in quegli anni e successivamente o precedentemente. La cifra di quel neofascismo furono le stragi.

Oggi c’è una novità: la ricerca del consenso, la costruzione o il tentativo di costruire una rappresentanza anche attraverso, per così dire, un nuovo stile. Lo stile di CasaPound non è lo stile tradizionale del fascismo. Per esempio, le associazioni legate a CasaPound hanno sovente dei nomi accattivanti – La Salamandra, per citarne una – ed anche una serie di riferimenti per così dire “colti”. Basti pensare alla denominazione dell’associazione che si richiama ad un poeta, Ezra Pound, ovviamente antisemita e filofascista.

Tutto ciò comporta o no una seduzione rispetto alle giovani generazioni? E se sì, possiamo individuare dove nasce? E perché avviene?

Margherita Frau

Partirei dall’elemento di continuità: la violenza. Un tempo il fascista aveva il manganello in mano, oggi abbiamo una tastiera davanti e il web. La violenza continua a fare da colonna portante. Avvengono quotidianamente delle aggressioni sul web, neanche tanto celate, come se al giorno d’oggi sia diventato legittimo aggredire. E questa cosa fa tanta paura. Rispetto a quanto si è verificato a Macerata, mi ha spaventato molto il gesto in sé, però mi hanno spaventato forse di più i commenti sul web, a centinaia, forse a migliaia: facevano davvero paura. Non solo legittimavano, ma inneggiavano. Una cosa estremamente pericolosa. C’è un atteggiamento per cui il messaggio che si lancia sul web non viene mai condannato, come se, finché rimane solo sul web, sia in qualche modo arginato. In realtà non è così, perché è comunque un messaggio che si trasmette, un messaggio prettamente violento, che continua a ingigantire un seme che, purtroppo, in Italia non siamo mai riusciti ad estirpare. Ciò mi sembra estremamente pericoloso: i giovani d’oggi, essendo cresciuti come figli del web, hanno subito moltissimo questo condizionamento, che si è unito al tipo di messaggi che ci sono stati trasmessi dai genitori e dalle persone a loro più vicine: messaggi non confusi, ma quasi disincantati, privi di valori. Ricordo mio nonno che per andare a votare metteva la cravatta rossa, ma poi ricordo mio padre che a votare non ci andava proprio. Io vengo da lì. Io sono più vicina a mio padre rispetto a mio nonno. Poi sicuramente ho questa voglia di approfondire, di studiare, questo aspetto molto “romantico” mi ha aiutata. Ma un ragazzo normale si ritrova in una casa durante l’ora di cena a guardare il telegiornale e cresce in un ambiente dove i commenti rispetto a determinate notizie erano quelli che erano; peraltro non è aiutato sicuramente dalla politica di oggi che non ha più valori, se non quello dell’arrivismo: il bugiardo, il condannato che però non è in galera, e soprattutto, proprio quando c’è una disoccupazione spaventosa, il politico che continua a prendere stipendi esorbitanti. Questo vede il giovane oggi. Affrontiamo il discorso in una chiave che è alla base della psicologia: quello che noi siamo è sostanzialmente il risultato di due cose, i nostri valori e l’ambiente in cui viviamo. Questi due elementi portano al modo in cui ci comportiamo, al modo in cui reagiamo; la realtà delle giovani generazioni di oggi è disegnata da questi fattori; è la sintesi della strada che abbiamo iniziato a percorrere più o meno una decina di anni fa, forse quando già il web faceva da protagonista, quando i nostri genitori, a loro volta, senza rendersene conto, hanno dato una spinta di tipo qualunquista. Che sembra non portare a nulla, ma che in realtà è già una posizione. E anche una posizione molto netta: abbiamo bisogno di un eroe, ed ecco là che l’eroe improvvisamente inizia a sparare a destra e a sinistra in difesa di un valore. Siamo senza valori, ne cerchiamo uno e finiamo per aggrapparci a quello sbagliato, ma è l’unico che abbiamo, abbiamo bisogno di certezze e un atto forte è qualcosa di tangibile.

Martina Carpani

Non necessariamente sarò politically correct; sono in parte d’accordo ma in parte no con quello che diceva Margherita. In parte, perché mi sembra che alcune considerazioni siano un po’ autoassolutorie. Cioè distinguerei tra reale e virtuale. Il reale esiste, il reale è la crisi della politica e in particolare delle organizzazioni sociali che, mentre CasaPound distribuisce i beni alimentari ai poveri, si limitano a fare convegni sull’antifascismo, o assemblee d’istituto o convegni dentro l’università. Una modalità con cui si insediano nel territorio. Mi riferisco proprio a quello che dicevi tu, Gianfranco, dell’associazionismo. Si svolgono in tutta Italia assemblee di quartiere in una modalità apparentemente neutra. Io sono di Brindisi, dove prima non esistevano gruppi neofascisti. Oggi si manifestano in assemblee di quartiere e parlano dei migranti da cacciare. Ora vivo a Roma, nel quartiere Tiburtino III e lì è accaduta la stessa cosa. Cioè, assemblee che sembrano neutre, ma in realtà non fanno solo proselitismo, ma anche quello che per noi era il mutualismo, una cosa che la sinistra non fa più, perché è diventata un’altra roba, evidentemente. Quindi, da un certo punto di vista, credo ci sia anche da fare una profonda autocritica. Perché la destra, oggi, si rafforza, per dirla in breve, non in quanto sostegno ai ricchi, ma in quanto destra sociale. E questo è un tema su cui riflettere. Premetto che mi ha fatto molto piacere ricevere l’invito a questa conversazione, perché di solito si parla dei giovani con un pizzico di paternalismo senza mai invitare il giovane a dire quello che pensa. Credo che la crescente presenza dell’estrema destra nel sociale debba far riflettere su noi stessi, come organizzazioni sociali grandi e piccole di giovani e meno giovani. Cosa facciamo noi per evitare l’avanzata delle destre? Non è sufficiente la sola battaglia culturale. Occorre il radicamento nel territorio, un nuovo mutualismo, un’altra azione politica che dia punti di riferimento diversi. Questa è la prima questione.

Seconda questione: l’elemento culturale, che resta centrale. Tu oggi non hai intellettuali di sinistra che propongono alcuni tipi di valori; invece hai a destra il proliferare di case editrici, nuovi giornali, come quello di CasaPound uscito quest’anno per la prima volta in edicola (il Primato nazionale), la possibilità cioè di trovare contenuti, che poi non sono neanche così distanti dai contenuti che la stampa mainstream, purtroppo, fa vedere. Il primo spazio dato alle destre è stato anche quello di Mentana, di alcuni giornali e programmi Tv nazionali. Non solo: oggi mancano degli spazi organizzati dal basso, come era prima nelle organizzazioni sociali, che sicuramente erano più forti e sapevano imporre valori culturali differenti. Mancano gli spazi e gli intellettuali di riferimento. Io non saprei dire chi è un mio intellettuale di riferimento.

Dall’altra parte penso che ci sia un tema strutturale, cioè la società liquida: il neofascismo non si rafforza utilizzando il web, perché l’odio sul web preesisteva; più semplicemente, chi propone questi valori negativi sul web riesce a portare maggiormente acqua al suo mulino. Come i populismi si costruiscono nei media mainstream, così si costruiscono nel web, dove è più facile avere più “mi piace” che dire una cosa sensata. Vi sono, però, delle precise responsabilità politiche. Se, per esempio, l’odio verso gli omosessuali cresce, è perché insieme a Lotta Studentesca (ndr: organizzazione giovanile di Forza Nuova) che faceva gli striscioni contro i gender nelle scuole c’erano anche i pro-life e i cattolici; se cresce l’odio verso i migranti, è perché insieme a chi parlava delle questioni di migranti c’erano anche i partiti. La Lega, ma non solo. In qualche modo, alcune dichiarazioni di Minniti sono molto preoccupanti. Credo sia stato lasciato uno spazio politico alle destre. Questo non vale solo per il fascismo. Se noi leggiamo dell’elemento valoriale, vediamo subito una crisi dei punti di riferimento. È una lettura che oggi molti sociologi fanno anche per quanto riguarda, ad esempio, il fenomeno che riguarda il terrorismo, i foreing fighters, eccetera. Cioè il nichilismo generazionale, l’idea di ricerca di valori. Evidentemente, per loro natura, le organizzazioni neofasciste hanno l’idea del branco, del capo maschio che ti dice cosa devi fare, ed è una risposta molto più facile nella generale assenza di risposte; e soprattutto se sei giovane, non sai cosa fare da grande, sei precario, ogni sei mesi cambi contratto: una cosa che vivo anche su me stessa, non so dove sarò fra sei mesi perché devo fare il tirocinio, magari cambierò città, non so se devo lasciare l’affitto, non so quando mi posso laureare, non so come pagarmi gli studi, eccetera.

Per di più tutto ciò avviene nella crisi generale che è una crisi anche dei partiti e delle istituzioni, che non riescono a dare delle risposte. Questo fenomeno assume volti diversi; in Italia è più legato al neofascismo, in altri Stati ad altro, ma il tema è che la risposta politica non può essere emergenziale. Non può esserci ora esclusivamente la rincorsa degli appelli alla responsabilità, come è stato fatto anche a seguito dei fatti di Macerata. È il momento di alzare un attimo le maniche e mettersi a lavorare sui territori, capendo come davvero risolvere il tema dei bisogni materiali, come provare a dare delle proposte politiche sensate.

Io mi pongo anche altre domande. 7 giovani su 10 non andranno a votare alle elezioni politiche: questo dicono i sondaggi. I sondaggi però dicono anche che è aumentata la partecipazione sociale dei giovani, non specificando in quale direzione. Esistono oggi nuove forme di partecipazione sociale. Che non sono le stesse di una volta, perché non abbiamo visto piazze piene in questi anni. Forse ci si dovrebbe interrogare su come occupare questi spazi come organizzazioni della sinistra sociale diffusa. È quello che secondo me andrebbe fatto nelle scuole, nelle università, nei quartieri, nelle città in generale, e su cui bisogna però avvicinarsi con tanta umiltà, perché non c’è più la politica per come l’abbiamo conosciuta e non è facile per nessuno. Trovare risposte nuove vuol dire leggere con umiltà il contesto che hai intorno. Forse noi non siamo umili abbastanza.

Jacopo Buffolo

Sono molto d’accordo con buona parte dell’analisi di Martina sulla mancanza di punti di riferimento. Senz’altro la destra oggi avanza laddove c’è difficoltà, laddove ci sono le diseguaglianze. Quindi sono d’accordissimo sul fatto che per andare a contrastarla non dobbiamo fare convegni chiusi, non dobbiamo stare a raccontarcela fra di noi, in quello che è un mondo che, bene o male, ha dei contatti, ma che nella la società di oggi è un mondo chiuso su se stesso. Dobbiamo essere in grado di uscire, andare in quei luoghi dove ci sono i problemi, dove la mancanza di un contesto culturale – non solo democratico ma anche proprio di tranquillità economica che permette alle persone di poter vivere tranquillamente – fa sì che chi arriva e ti pone dei valori forti e ti dà delle risposte, in particolare ti dà una risposta alla solitudine trova consensi. Io vengo da una città, Verona, che sicuramente è una città tendenzialmente di destra, ma non è solo questo; però nel momento in cui i neofascisti arrivano e occupano gli spazi sociali, che sono la curva allo stadio, che sono tutta una serie di locali del centro dove si muove la movida giovanile e non c’è nulla che li ostacoli, allora lì diventa molto facile il loro dilagare. E poi abbiamo visto in questi mesi organizzare tutti quei comitati, come diceva bene prima Martina. Io l’ho visto in Veneto: Verona ai Veronesi, Vicenza ai Vicentini… insomma realtà che vedono come unica appartenenza quella, neanche nazionale, ma proprio locale del territorio, che è l’ultima appartenenza che le comunità condividono nei momenti di difficoltà.

Quindi noi dobbiamo lavorare per andare a costruire delle risposte ai problemi delle diseguaglianze, delle ingiustizie che accadono quotidianamente; dobbiamo provare a fare un lavoro di ri-costruzione sociale, ritessitura dei rapporti tra le persone, partendo dai nostri luoghi. Dall’altro c’è tutto un lavoro sicuramente culturale che va fatto, perché quello che diceva Margherita prima, sul fatto che viviamo in un Paese che non ha fatto i conti con se stesso, sicuramente aggrava la situazione. Però la aggrava perché il problema è che a sinistra non c’è la capacità di dare delle risposte, non si sta nei luoghi dove ci sono le fratture sociali. Nei media e anche nelle istituzioni c’è una difficoltà nel chiamare le cose per quello che sono; perché, come diceva Martina prima, non si può “invitare alla responsabilità” quando accadono gesti come quelli di Macerata, non si può continuare a definirli come quelli di un pazzo, di uno squilibrato, come è successo anche quando c’è stato l’attentato a Firenze nel 2011. Queste persone non sono fuori dalla norma, sono persone che hanno dei valori chiari, hanno delle idee chiare e su quelle e su quei principi si muovono. La violenza sicuramente è un tema che le tiene insieme e va riconosciuto che non esiste un fascismo con cui si può dialogare, con cui ci si può confrontare. Il fascismo è violento, punto. E quindi sono fascisti. La stampa questo non lo fa, spesso non lo fanno le istituzioni, quando bollano alcune aggressioni come risse tra balordi della notte, perché quelle risse sicuramente avvengono in contesti particolari e sono aggressioni costruite in una certa maniera e così vanno raccontate. Ci serve la capacità di raccontarle e anche di capire come si fa a dare delle risposte. Un tema importante su cui bisogna ragionare – ed è molto complesso – è quello della sicurezza. A sinistra sono state date risposte molto discutibili, e il tema va ad aggregare proprio quei comitati di quartiere egemonizzati dalla destra estrema, perché è quello il problema che viene sentito e spesso la ragione stessa per cui si costituiscono tali comitati. In mancanza di alternative, se la risposta la dà solo Forza Nuova o CasaPound che fa le ronde di quartiere o le ronde di tassisti, le cose vanno proprio male. Vanno costruite risposte opportune. In questo ambito occorre riqualificare le periferie, ridare vita a degli spazi, a zone grigie, che ci sono, magari nelle stazioni, rendendole più attraversabili, rendendole più vivibili. È una cosa su cui bisogna interrogarsi, dando altre soluzioni e non lasciando loro quegli spazi.

Davide Conti

Io credo che rispetto a quello che si sta manifestando, andrebbero costruite delle coordinate un po’ più precise. Nel senso che molto spesso la rappresentazione pulviscolare, molecolare degli eventi non restituisce un senso di fondo a ciò che accade. La crisi, ad esempio. Noi racchiudiamo in questa parola tutta una serie di eventi-questioni-processi che in realtà fanno capo a una crisi. Cioè, quella che noi stiamo vivendo oggi è una crisi, oppure una transizione storica da un processo che si è esaurito ad un altro processo che si sta avviando? Questo è un punto fondamentale, perché il concetto e la nozione stessa di crisi presuppone l’ipotesi di un ritorno al contesto e alla situazione precedente. Che non sarà. Questo è un primo punto su cui focalizzare il ragionamento, non tanto di carattere “contemporaneo” ma proporzionato a una media durata. Quindi questo discorso ci consente di affrontare i nodi che un po’ venivano sollevati da Gianfranco nell’intervento introduttivo. Innanzitutto la questione della continuità-discontinuità del fenomeno largamente inteso come fascista-neofascista-sovranista eccetera. Anche qui ci sono categorie molto diverse, che diffondono delle pratiche, delle matrici identitarie, dei paradigmi valoriali differenti.

Il primo elemento che mi viene in mente, rispetto al processo di continuità, è la crisi del riformismo. Tra la fine degli anni 60 e la metà degli anni 70 viviamo in Italia, per mantenerci su un’analisi del laboratorio nazionale, una crisi del riformismo, cioè di quell’impianto che sostanzialmente aveva cercato di governare la costruzione del dopoguerra e della crescita economica del cosiddetto boom economico post Seconda guerra mondiale. C’è un bel libro di Giorgio Galli dell’epoca, “La crisi e la destra internazionale”, che appunto spiega e evidenzia che proprio nel segmento di anni tra il ’69 e il ’74 c’è il punto apicale del consenso di massa al fascismo, cioè al partito neofascista del Movimento Sociale, in Italia. Il ’69-’74 è anche il quinquennio in cui si manifesta “la strategia della tensione”. Quindi il primo elemento è quando la crisi del riformismo si manifesta nella sua forma acclarata, cioè si consolida nel suo assetto sociale, e quindi impoverisce sostanzialmente la società; allora c’è una tendenza all’emersione di una semplificazione della natura sociale dei problemi. Questa semplificazione è l’idea della costruzione di una società categoriale, in cui la risposta è la costruzione di categorie sociali e la progressiva esclusione di queste dalla distribuzione della ricchezza: l’immigrato, il disoccupato diventano delle strutture su cui impostare il processo di redistribuzione della ricchezza. Anche in positivo. Quando si parla di politiche per la famiglia, per esempio, automaticamente si fa una scelta di campo, cioè si costruisce una categoria sociale che in sé non ha una composizione “organica”, soprattutto nella società contemporanea. Si sceglie quindi di optare per una distribuzione di una porzione della ricchezza data su quella linea di indirizzo piuttosto che su un’altra. Questo, dentro il concetto dell’emersione del neofascismo, apre un altro punto di ragionamento.

I fascisti nelle varie forme associative, nei loro vari partiti e formazioni rappresentano sostanzialmente un corpo militante assolutamente minoritario. Anche questa rappresentazione della “ondata nera” che viene data non è una rappresentazione che si manifesta in un suo farsi concreto della storia. Diciamo così: siamo di fronte a delle manifestazioni violente che non hanno, per fortuna, ancora delle basi di massa, perché se avessero delle basi di massa sarebbe veramente un problema enorme da gestire. Rimane, per ora, un problema tutto sommato limitato. Ciò per una serie di questioni quasi indipendenti dall’attività della sinistra o dalle risposte, più o meno moderate e conservatrici, in termini di politiche sulla sicurezza, politiche sociali, politiche amministrative e legislative. Per delle particolari peculiarità del contesto italiano la destra non è esplosa come nell’est Europa, come si è manifestata in Francia, in Germania. Perché, appunto, quelle istanze rappresentano una espressione molecolare della società che la destra cerca di cavalcare ma di cui non è espressione diretta. A differenza di altri contesti, invece, fra cui l’Ungheria, per esempio. In Polonia, la destra non solo si è fatta partito, ma si è fatta espressione di un blocco storico che è arrivato alla guida del Paese e quindi è arrivato a incidere sugli equilibri stessi della capacità dell’Unione Europea di governare processi storici come la migrazione. Per esempio, la politica dell’Ungheria di Orban, o della Repubblica Ceca di Zeman, incidono direttamente, nel profondo, sulla meccanica reale di un processo storico non differibile come quello della migrazione degli esseri umani. Quindi, per tornare a noi, la forma partito che l’estrema destra in Italia si è data è sempre stata una forma partito fluida, anche durante il passaggio della Seconda guerra mondiale, quando più forte, e ancora radicata e profonda, era la radice della forma partito storica. Il Movimento Sociale era l’unica formazione del Parlamento italiano che aveva una conformazione assolutamente flessibile rispetto alla propria militanza. Con i gruppi di Ordine Nuovo, Avanguardia Nazionale che erano una sorta di frangiflutti dentro-fuori dal partito storico.

Oggi, questa forma nella crisi strutturale del concetto novecentesco di partito ha trovato naturalmente nell’espressione del magma neofascista un terreno fertile. Ciononostante, si mantiene un loro carattere marginale, e non significa che non sia pericoloso, perché ha una sua pericolosità di ordine sociale e anche di diretto ordine pubblico: nelle piazze e nelle strade si moltiplicano le aggressioni, gli attentati, gli agguati, gli omicidi, i ferimenti. Questo non significa che, in termini di rappresentanza, una povera rappresentazione della sua linea politica si traduca con una minore pericolosità. Quindi, io credo che, più che l’analisi di ciò che la sinistra storica, nelle sue mutazioni progressive, ha messo in campo per rispondere alle tematiche che sono i cavalli di battaglia della destra, vada affrontato il nodo della situazione che a mio avviso è un altro. Occorre affrontare il problema in una maniera diretta e propositiva con delle forti proposte, che siano in grado di affrontare in maniera radicalmente opposta la semplificazione grammaticale, politica del linguaggio. Per esempio: l’Italia è una zattera in mezzo all’acqua, arrivano ogni mese decine di migliaia di persone e arrivano in quella porzione del nostro Paese che è sostanzialmente quella più depressa, storicamente, dall’Unità in poi. Porzione di Paese dove c’è una fortissima migrazione di giovani che vanno a studiare nelle università a Roma, Bologna, Milano, Torino e non rimangono a studiare a Napoli, Palermo, Cosenza. In queste università, per esempio, si potrebbe, dal punto di vista delle proposte forti, costruire dei meccanismi di investimento politico-culturale. Significa che in queste facoltà, in queste università del Sud, si potrebbe investire a partire da un programma anche europeo. Si potrebbe richiedere di investire degli ingenti fondi finalizzati alla formazione dei giovani come linguisti, mediatori culturali, persone che direttamente vadano ad incidere su un fenomeno quello della migrazione, che così non sarebbe più un problema di ordine pubblico, ma un aspetto della trasformazione e un processo sociale. E questo può consentire la smilitarizzazione concreta della questione dei migranti, sottraendo l’arrivo delle persone al problema della gestione dell’ordine pubblico. I migranti non si troverebbero più a dover parlare con un poliziotto che ha un grado di istruzione e una capacità di comprensione limitata a quelle che sono le funzioni della sua professione. Ma si troverebbero di fronte a organizzazioni sociali, strutture dello Stato civili, abitate, in cui operano giovani del Sud, che rimarrebbero al Sud perché diventerebbero dei centri d’eccellenza europei. Un contesto come quello del Sud Italia, su cui si investa in questi termini, sottrarrebbe a Brindisi e alle altre città del nostro Meridione tutto un terreno fertile, che in realtà, invece, rimane nella gestione militarizzata di un fenomeno come quello della migrazione, terreno per la propaganda della destra, anche quella più estrema. E questa linea di proposta deve essere il punto essenziale della formazione culturale della politica della sinistra, secondo me. Perché dire “andiamo nei luoghi dove ci sono i problemi” oggi è molto più complesso e difficile, perché il lavoro è un lavoro precario, perché non esistono più i luoghi adibiti alla politica, e quindi questa dispersione, questa società liquida impone la costruzione di una proposta forte, senza la quale anche andare nei luoghi dove ci sono i problemi non basta. Io vivo nell’estrema periferia est della città, dove ci sono associazioni, dove c’è l’Anpi, dove c’è un coordinamento di genitori e professori nelle scuole. Cerchiamo di lavorare su questo, ma da solo non basta, non può bastare. Perché gli spazi si sono dilatati, gli spazi della politica si sono dilatati.

Da questo punto di vista, lo studio del fascismo, nelle sue forme più o meno nuove, ci può aiutare a dare una linea di indirizzo rispetto a quello che la nostra parte politica deve saper fare. Non tanto in termini di competizione con una porzione minoritaria come quella neofascista, quanto intorno alla proposta di cimentarsi con le grandi trasformazioni che, ripeto, non sono una crisi che a un certo punto terminerà e ci riporterà a come eravamo nel 2008, ma a un termine paradigmatico che ci porterà da un’altra parte. Questo è il terreno nuovo della politica e su questo sono entrati in crisi i partiti politici. È questo il terreno della crisi della politica. I termini della crisi della politica stanno tutti dentro una non capacità di affrontare i termini della trasformazione. E questo invece è il terreno della sfida, della sfida politica contemporanea. E ripeto, da questo punto di vista, è utile osservare i fenomeni fascisti, che comunque sono un punto d’osservazione storicamente interessante, anche perché diversificato a seconda dei luoghi del mondo dove emergono. Perché per la prima volta dopo la Seconda guerra mondiale non siamo noi il laboratorio da dove nasce il fascismo e da dove si esporta quel modello. Nato nel primo dopoguerra, il fascismo fu esportato in oltre 20 Paesi del mondo; ma stavolta quel modello non nasce nel nostro Paese, però dal nostro Paese può essere osservato e quindi può essere una bussola di indirizzo in più per affrontare i temi più generali.

Valerio Strinati

Ascoltando gli interventi, il primo pensiero che ho avuto è che effettivamente l’unica cosa buona che c’è nell’invecchiare è che non devi più fare il giovane. So bene che è difficile, anch’io sono stato giovane. Non si nasce vecchi. Però, in ogni caso, dovendo scegliere uno dei due punti di partenza in questo dibattito, vorrei provare a partire da una serie di considerazioni credo piuttosto semplici, schematiche, su come dall’esterno, un esterno anagrafico, si può provare a ragionare.

Un primo dato è noto ed evidente, ma forse non fa male ricordarlo: tendenzialmente chi ha intorno ai 30 anni è destinato a vivere in condizioni economiche peggiori rispetto a quelle dei propri genitori. La mia generazione è quella che ha vissuto “i 30 anni d’oro”, il periodo della crescita equilibrata, del riformismo. Quell’epoca è definitivamente alle nostre spalle. Non c’è soltanto una maggiore povertà, che potrebbe essere in qualche modo un dato da prendere come un elemento di passaggio di transizione, ma c’è una maggiore precarizzazione delle condizioni generali di esistenza, che toccano non soltanto la condizione materiale, ma anche la condizione psicologica. E questo ovviamente concorre a determinare il clima di disagio e di difficoltà, di incertezza, di mancanza di prospettive sulle quali il neofascismo trova un suo terreno di coltura. È un neofascismo che è cambiato indubbiamente. Qui apro una parentesi: quello che negli anni 70 è stato un neofascismo militante, in qualche modo dava per scontato l’impossibilità di crearsi una base di massa. Era un fascismo fortemente colluso con la strategia stragista, con i settori deviati dei servizi, era in sostanza un’élite. Mentre oggi c’è uno sforzo, un tentativo di costruire una rappresentazione di sé del neofascismo, appunto come diceva Martina, in termini sociali, in termini di presenza sul territorio e di gestione del disagio e della paura sociale. Quello che è successo a Macerata è la punta dell’iceberg. Effettivamente ha ragione Margherita quando dice che ciò che spaventa non è solo il fatto in sé, gravissimo, ma il fatto che si coaguli intorno a questo evento un consenso così diffuso. Qui mi viene di pensare anche un’altra cosa.

Quando noi parliamo di un vuoto di risposta da parte delle forze politiche democratiche, dell’area della democrazia, a problemi che invece sono incombenti e appaiono anche irresolubili, in qualche misura, dobbiamo fare anche un po’ di storia. Io partirei da una considerazione: sono passati 30 anni dalla caduta del muro di Berlino, quindi chi è nato quel giorno oggi è un giovane adulto, chi allora aveva 10 anni è ormai fuori dalla generazione giovanile, eppure c’è un elemento di continuità e, per dirla con gli storici degli Annales, un dato di lunga durata, che è una trasformazione di lungo periodo e antropologica dell’idea stessa della politica. Voglio dire che, con la caduta del comunismo, si debba considerare l’esperienza del comunismo storico un’esperienza da rielaborare. È un’esperienza superata certo. Però non c’è dubbio che con la caduta del muro di Berlino, con la fine del comunismo il mondo occidentale ha assunto come dato, come rappresentazione della politica, l’idea che la politica deve gestire il presente e che qualunque idea forte di trasformazione – Davide diceva delle cose interessanti a questo proposito – sia non solo da evitare ma sia un pericolo. Qualcuno ricorderà, qualche tempo fa, i pennivendoli che andavano in giro a dire che non si può fare politica, non si possono fare trasformazioni profonde perché è un’idea giacobina, come se il giacobinismo fosse una parolaccia. Ma se i giacobini hanno fatto la rivoluzione francese, forse così male non erano. Eppure c’era questa idea che un pensiero politico di trasformazione radicale dei diritti, un modello di globalizzazione generale dei diritti, fosse destinato inevitabilmente a degenerare in un sistema autoritario. Il modello era il giacobinismo, il terrore.

Questa fine dell’idea della politica come progetto, come trasformazione radicale, secondo me ce la siamo portata avanti nel corso di questi anni ed è diventata poi l’elemento forte, profondo, di frattura tra le istituzioni, i partiti, le generazione più giovani. La dico in un altro modo. Io ho lavorato per 30 anni nelle istituzioni ed è una cosa che ho toccato con mano. Gli organi del Parlamento, i deputati e i senatori, sono i rappresentanti del popolo. Cosa significa oggi rappresentare? Un tempo, fino a che sono esistiti i grandi partiti, era abbastanza facile. In qualche modo, come diceva Gramsci, sono nomenclatura delle classi: si sapeva che il Pci più o meno rappresentava la classe operaia, la Dc un segmento di ceti medi, alcuni partiti più piccoli rappresentavano gruppi elitari ma individuabili, per esempio i repubblicani la tecnocrazia più avanzata ecc. Tutto questo è stato completamente spazzato via. La politica è diventato un terreno di contesa, dove quello che alla fine conta e paga è il presente. Tanto è vero che – ha ragione chi lo ha detto – anche io sono sorpreso dal fatto che il segretario del partito che attualmente detiene la maggioranza relativa in Parlamento di fronte al fatto di Macerata dice “bisogna smorzare i toni”. Come bisogna smorzare i toni? Io non li smorzerei di fronte al fatto che uno se ne va in giro a sparare a gente di colore. Francamente, mi preoccupa. Mi sembra che l’invito a smorzare i toni sia qualcosa di irrealistico e di pericoloso. Ma da dove nasce questo? Da un’idea della politica che si è andata progressivamente depotenziando. Su questo, secondo me, c’è una convergenza trasversale tra le forze attuali in campo. Se la politica si riduce ad essere gestione del presente, ovviamente per gestire bene il presente occorre eliminare non solo il futuro, ma anche il passato. E così la memoria e quindi la responsabilità collettiva che, giustamente, il Presidente della Repubblica ha ricordato recentemente nel discorso in occasione del Giorno della Memoria.

Ecco, sono d’accordo su di un concetto che diceva Davide: bisogna cercare di capire che è poco produttivo dare spiegazioni di eventi complessi con delle semplificazioni; la semplificazione la fanno i neofascisti. Per loro è abbastanza facile, no? Si prende un giovane disoccupato, un pensionato, un lavoratore precario e gli si dice: “guarda quello con la pelle nera, la colpa è di quello lì, fa parte del piano di sostituzione etnica, è ricco ma non lo vuole dire, vi porterà via il lavoro, si prende i sussidi”. È un discorso facile, che chiaramente in certi momenti ha una presa notevole.

Io penso che dobbiamo essere chiari. Sul fatto che la società sia liquida non sono così convinto, perché la società liquida è una definizione che prende soltanto un aspetto. In una società complessa il discorso della democrazia è un discorso complesso, e che richiede una elaborazione che sia a livello della complessità dei problemi. È vero, c’è uno stato di abbandono sul territorio delle forze democratiche, che hanno assunto un atteggiamento rinunciatario, proprio in forza e per conseguenza di una certa visione della politica. Però dire questo effettivamente non è sufficiente, se non ci si porta a livello della complessità dei problemi e della difficoltà di ricondurre all’unitarietà di un discorso politico.

Davide mi convinceva molto, e ad esempio da quasi meridionale – da parte di madre – mi sto interrogando sul fatto che ci sono delle aree del nostro Sud che si stanno spopolando inesorabilmente, inevitabilmente. E di fronte a una cosa del genere ci sono stati dei tentativi di invertire la tendenza. Il sindaco di Riace ha messo in piedi un progetto bellissimo (ndr: vedi a questo proposito http://www.patriaindipendente.it/persone-e-luoghi/interviste/riace-il-paese-dellaccoglienza-da-sud-del-sud-a-comune-del-mondo/ ). E sulle riviste americane è stato inserito tra gli uomini più influenti del mondo. Ma questa idea di politica stenta a trovare cittadinanza.

Allora io credo anche per quello che riguarda il tema dell’antifascismo delle giovani generazioni che dobbiamo rassegnarci, in una certa misura, a un percorso di lungo periodo, che richiede costruzioni teoriche complesse e una riarticolazione, una ri-fondazione vera e propria della politica. Uso questo termine anche se suona un po’ desueto, una rifondazione della politica e dei suoi linguaggi e dei suoi modi di comunicazione, nella consapevolezza che oggi, effettivamente, il fenomeno del neofascismo ha anch’esso una sua fluidità, una complessità e una sua proteiformità, che lo rende anche difficile da individuare, da fissare dentro una strategia politica. Però credo che – se la politica non recupera la dimensione di progetto di trasformazione della società e se di questo progetto non si fanno parte dirigente le giovani generazioni – inevitabilmente, rischiamo di finire a fare quelle esortazioni, quelle prediche inutili – tanto per citare un libro di altri tempi – che poi non riescono a mordere sulla realtà.

Gianfranco Pagliarulo

Le cose che avete detto sono davvero interessanti. Mi limito a mettere l’accento sulle questioni essenziali da voi toccate: direi che il tema centrale affrontato da Margherita è il rapporto fra web e violenza oggi; il tema affrontato da Martina è la società e la presenza sul territorio e d’altra parte il tema della rappresentanza; la stessa questione è stata affrontata da Jacopo, con un particolare accento sulla violenza fascista e sulla sicurezza. Davide pone al centro della sua riflessione il cambiamento in corso: non possiamo immaginare la soluzione della crisi – che dal punto di vista etimologico mi pare voglia dire passaggio –come un ritorno all’indietro, al passato, ma dobbiamo prendere atto che si tratta di una transizione, per dirla in soldoni, verso una nuova normalità che ci metterà davanti a un mondo peggiore, davanti a cui occorrono proposte “forti”. Aggiunge Valerio: in democrazia non serve la semplificazione, anzi è dannosa, la politica è ridotta ad amministrazione, l’amministrazione attiene al presente, quindi occorre pensare a un progetto di trasformazione che ci faccia uscire da questo infinito presente e restituisca alla politica la sua dimensione progettuale.


Ed ecco l’audio integrale della prima parte della tavola rotonda “Giovani e antifascismo”:

 

https://soundcloud.com/anpi/tavola-rotonda-giovani-e-antifascismo-prima-parte