Il segretario generale della Uil Carmelo Barbagallo (http://st.ilfattoquotidiano.it/wp-content/uploads/2014/11/carmelo-barbagallo-675.jpg)
Il segretario generale della Uil Carmelo Barbagallo (http://st.ilfattoquotidiano.it/wp-content/uploads/2014/11/carmelo-barbagallo-675.jpg)

La Uil ha fatto realizzare uno studio su ciò che cambierebbe nella Costituzione con la riforma Boschi-Renzi. Uno studio che la sigla confederale sta distribuendo ai propri dirigenti e iscritti, affinché decidano – per usare le parole del segretario generale, Carmelo Barbagallo – con “coscienza e conoscenza”.

 

Segretario, il vostro è un approccio, diciamo così, laico. Si tratta di una pregevole eccezione nel clima infuocato di queste settimane. E già, perché nei talk televisivi e sui giornali si sprecano tante parole ma le ragioni di fondo della nuova architettura costituzionale e dei suoi possibili rischi faticano ad emergere. A questo punto, e con le carte in mano, che opinione si è fatto sul merito del referendum, stante che la strada migliore, quella dello spacchettamento, non è stata percorsa?

 Purtroppo oggi, nei rapporti sociali, politici, civili e in qualche caso anche nell’informazione, prevale la tifoseria becera verso la propria posizione, spesso senza rispetto del pensiero altrui. Il nostro carattere distintivo è la laicità in cui, invece, prevale non la posizione ideologica, ma quella di merito per arrivare a costruire una società in cui le diversità possano esprimersi e confrontarsi a tutti i livelli. Per questo motivo, anche per la vastità della materia sottoposta a referendum, abbiamo ritenuto essenziale informare i nostri dirigenti e i nostri iscritti sul tipo di assetto istituzionale che potrà scaturire dalla consultazione d’autunno. Si tratta di un’analisi completa del disegno di revisione costituzionale fatta “neutralmente” sulle norme e sintetizzando in modo schematico alcune ragioni del Sì e del No, proprio nella convinzione laica che ognuno deve farsi un’idea con la propria testa, senza lasciarsi influenzare da simpatie verso quello o verso l’altro schieramento. 

Nel referendum c’è tutto e il contrario di tutto, dall’abolizione del Cnel (sui cui occorrerebbe spendere forse qualche parola in più, perché il suo lavoro non è da buttare alle ortiche) alle leggi di iniziativa popolare praticamente rese ardue dall’aumento delle firme. Ma il nodo su cui tutto ruota è quello del Senato. Non crede che la nuova assemblea legislativa che è uscita dalla mente della Boschi sia un pastrocchio che alimenterà i conflitti tra le istituzioni?

cnel-referendumÈ ovvio che troppa carne al fuoco può generare confusione. Per quanto riguarda il Cnel, nella Costituzione rappresentava il luogo in cui le parti sociali partecipavano alla formazione delle leggi, con pareri e proposte. Ha avuto una funzione storica importante che, però, si è ridimensionata col passare del tempo. Poiché noi siamo convinti che le parti sociali, in quanto rappresentanze di persone, abbiano pieno diritto a partecipare, crediamo sia giusto individuare un luogo, un organismo simile ma più snello, in cui possa essere svolta tale funzione. Sul conflitto fra istituzioni, è fuor di dubbio che è stato abbandonato quasi completamente il principio contenuto nel Titolo V della Costituzione, in cui si istituiva il potere di decentramento legislativo, a favore di un nuovo accentramento. Il rischio di un conflitto di competenze, dunque, non è escluso.

Per mesi si è battuto molto sul tasto della riduzione dei costi della politica, anche a rischio di alimentare quell’antipolitica che a parole si dice di voler contrastare. Ma allora, invece di questi strappi, non sarebbe stato meglio percorrere strade condivise: ridurre ad esempio il numero di deputati e senatori e ragionare sulle opportune modifiche al bicameralismo perfetto?

 Una piccola riduzione dei costi della politica c’è con un Senato numericamente più piccolo e con membri (consiglieri e sindaci) senza indennità, ma sembra poca cosa rispetto ai costi complessivi di Palazzo Madama. Certamente si poteva fare qualcosa in più. Anche perché si pongono seri dubbi sulla doppia carica dei consiglieri regionali e dei sindaci, che svolgeranno un doppio lavoro e non si sa con quali risultati.

Vede un deficit di rappresentanza nella futura democrazia italiana nel caso vincesse il Sì e con una legge elettorale con un premio di maggioranza abnorme qual è quello disegnato dall’Italicum? Il referendum che doveva tenersi ad ottobre è slittato a dicembre. La Consulta che doveva pronunciarsi sull’Italicum prende tempo e si esprimerà a urne chiuse. Eppure il combinato disposto quesito-legge elettorale, come la Uil ha sottolineato da subito, rischia di essere deflagrante per il sistema politico.

logo_uil-tagliatoLa Uil ha sostenuto che proprio il combinato disposto della riforma Costituzionale e della nuova legge elettorale, da un lato, ridimensiona la sovranità del popolo, in quanto si potrà eleggere una parte minimale del Parlamento e, dall’altro, potrebbe premiare una forza che, pur non avendo raggiunto il 40% e pur essendo andata al ballottaggio con una percentuale minore, ottiene comunque la maggioranza assoluta. È mancata proprio la definizione di un quorum per andare al ballottaggio e questo mina, senza dubbio, il concetto di rappresentanza proporzionale al voto della maggioranza degli elettori. Voglio, infine, ricordare che proprio su questi aspetti, che sono stati amplificati dall’Italicum, la Corte aveva ritenuto il Porcellum anticostituzionale.

simbologia-del-maialeCon l’Italicum – sempre che non intervengano modifiche in queste settimane – potrebbe, in via teorica, accadere che con il 25% dei voti una forza politica si aggiudichi il 54% dei seggi. Una mostruosità che manda in soffitta l’articolo 48 della Costituzione che parla di voto “personale ed eguale, libero e segreto”.

Purtroppo, con la fine del proporzionale, da tempo si è modificato questo principio che lei ricordava. Come ho già detto questa riforma elettorale amplifica tale distorsione.

Non crede che il vero nodo – urgente e pressante – sia quello del recupero di prestigio della politica, della sua messa in sintonia con il Paese? Gli italiani confusi e colpiti da una crisi economica e sociale senza precedenti hanno visto dipanarsi sotto i loro occhi scandali, corruttele, sprechi. Non è forse da qui, a Costituzione vigente, che occorrerebbe partire?

Le politiche neoliberiste affermatesi in questi anni, alla prova dei fatti, si sono rivelate asfittiche e produttrici di ricadute pesanti anche sui sistemi politici. L’insistita richiesta di “meno Stato e più mercato” non solo non ha prodotto i benefici promessi, ma sta mandando in pezzi il sogno europeo e sta alimentando il peggiore statalismo, quello dei muri e degli egoismi nazionali. Contribuisce a questa situazione di delegittimazione anche l’impotenza della politica che alimenta giudizi generici e sommari e suggestioni antipolitiche che producono un avvitamento fatale. Peraltro, poi, in omaggio alla logica della libertà dei mercati, alcuni processi l’hanno resa subalterna all’economia e ai grandi poteri finanziari. Ecco perché la politica, per recuperare autorevolezza, deve riproporsi come il luogo in cui la società si autorappresenta in un progetto alternativo, elaborato collettivamente e strutturato solidaristicamente.

A molti italiani una questione così cruciale come quella della riforma costituzionale appare come una questione interna al Pd o una competizione per aggiudicarsi la guida del governo tra l’una e l’altra forza politica. A confermare questa sensazione è stato per mesi lo stesso premier che ha personalizzato al massimo la questione salvo poi correre ai ripari nelle ultime settimane.

 Certamente, una riforma così importante, come quella Costituzionale, ha bisogno di un coinvolgimento più ampio possibile. Per questo motivo noi vogliamo spiegare a tutti i contenuti della riforma, così che ognuno abbia cognizione di causa e possa esprimere il proprio Sì o il proprio No in piena coscienza. Se prevalesse, invece, l’idea che attraverso il voto si possa cambiare un governo, sarebbe un’impostazione sbagliata.

jpmorganIl fronte del Sì va da Confindustria agli Stati Uniti, passando per la Merkel. Al di là delle sgradevoli ingerenze nelle vicende interne di un Paese, non trova che vi sia un filo comune in chi sostiene il Sì, e cioè che la rappresentanza vada tenuta a bada il più possibile affinché non intralci le scelte di politica economica e sociale? Come leggere altrimenti le parole di Confindustria che ha paventato scenari funesti per l’economia italiana in caso di vittoria del No?

Di fronte a una situazione così difficile e complessa, come raramente si è potuta registrare in passato, sarebbe più responsabile, se non doveroso, valutare tutti insieme come uscire dalla crisi economica e porre il Paese in condizione di rispondere alla sfida dei mercati, della finanza e dell’Europa dell’austerità. Ecco perché sarebbe opportuno non ridurre bensì allargare il confronto e la partecipazione con le forze sociali in merito alle scelte economiche.

Se gli industriali sono compatti o quasi nel sostenere il Sì, lo stesso non può dirsi per le tre sigle confederali. Come mai il sindacato non è riuscito a trovare una posizione unitaria? E che effetti può avere questo diverso posizionamento nelle scelte future?

Non credo che sia una domanda da porre al sottoscritto: da sempre sono un sostenitore di una “nuova” federazione unitaria. Purtroppo ci si è divisi sul merito e spero che questo non incida sulle scelte future che riguardano la rappresentanza dei diversi soggetti. Il sindacato, in questa situazione economica e sociale, trova sempre più difficoltà a contribuire e a partecipare, poiché, fino ad oggi, gli si è voluto negare il ruolo di interlocutore. Sono convinto che il movimento sindacale si deve riposizionare su una nuova e ritrovata unità, ridando smalto ideale a nuove strategie di ampio respiro e attorno a questa filosofia rilanciare la propria azione.

L’ANPI in questi mesi è stata fatta oggetto di una campagna denigratoria per essersi limpidamente schierata per il No. C’è addirittura chi ha accostato i partigiani a Casa Pound. Non trova che anche questo sia il segno di un imbarbarimento della politica? E dove gli anticorpi per reagire a questa deriva?

 L’intolleranza e la denigrazione dell’avversario, comunque si manifestino, non sono accettabili. Se prevalesse questo sentimento, la conseguenza sarebbe un peggioramento complessivo della qualità della vita, soprattutto perché sarebbe scardinato il sistema di solidarietà e di partecipazione codificate dalla nostra Costituzione. Per noi della Uil, laici, la società per essere comunità deve essere governata con princìpi, ideali e valori, altrimenti si vive la propria quotidianità solo sul pragmatismo, sullo spontaneismo e sulle individualità una contro l’altra armate. Per questo ci battiamo per restituire centralità alla solidarietà, alla coesione, alla tolleranza, alla cultura del dialogo e a idee e valori che puntino al rispetto del pensiero altrui.

Giampiero Cazzato, giornalista professionista, ha lavorato a Liberazione e alla Rinascita della Sinistra; oggi collabora col Venerdì di Repubblica